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Trattamenti cognitivi nel disturbo schizofrenico di Gian Luigi Dell’Erba
Il trattamento principale e più frequente nei disturbi psicotici negli ultimi 50 anni è stato senza dubbio l’uso dei farmaci antipsicotici. Mentre tali trattamenti hanno rivoluzionato la gestione generale della condizione psicotica, essi non hanno dato ancora una risposta completa alle sofferenze dei pazienti.Una delle condizioni più frequenti nella complicazione dei trattamenti è certamente la ridotta, o a volte assente, collaborazione ed adesione al trattamento, e quindi la mancata assunzione dei farmaci. Un’altra complicazione, che attiente non tanto al trattamento quanto alla prassi associata ad un trattamento, consiste nella ridotta relazione terapeutica e nella progressiva diminuzione del tempo dedicato ad ascoltare e prendersi cura delle argomentazioni del paziente.Più recentemente, con il sempre più deciso affermarsi della applicazione dei trattamenti psicologici, sempre più professionisti della salute mentale hanno incrementato le attività di colloquio, comprensione e discussione dei sintomi psicotici.Un ruolo chiaramente decisivo è stato svolto dalle tecniche psicoterapiche progettate specificamente per fronteggiare la condizione psicotica.Come discuteremo, vi sono stati nel corso degli anni diversi orientamenti nell’affrontare le psicosi dal punto di vista della psicoterapia.Oggi, si può decisamente indicare che alcuni punti cruciali devono essere messi in risalto:
Parallelamente allo sviluppo della ricerca nel campo dei farmaci antipsicotici, è sempre più marcato l’accento posto sugli interventi psicologici non solo nella generale gestione dei problemi del paziente con disturbi psicotici ma anche, ed in particolare, nei trattamenti dei sintomi produttivi.Tradizionalmente, le applicazioni psicoterapiche hanno avuto fortune alterne nel trattamento delle psicosi, ed hanno risentito della mancanza di collegamento tra ricerca psicologica sperimentale ed interventi in psicologia clinica. Gli studi sulla efficacia delle psicoterapie hanno visto gli approcci tradizionali come non adeguati al trattamento dei sintomi positivi delle psicosi; questa indicazione ha influenzato lungamente il modo di affrontare le condizioni cliniche dei pazienti. Il target privilegiato è stato più strettamente il quadro della sintomatologia negativa, e come interventi più adeguati sono stati considerati i trattamenti comportamentali.Recentemente, con lo sviluppo della ricerca di base in psicologia cognitiva, e con il progressivo sviluppo delle conoscenze sui meccanismi alla base dei singoli sintomi positivi delle psicosi, soprattutto della schizofrenia, l’estendersi dei trattamenti cognitivo-comportamentali ha modificato le conclusioni delle ricerche sulla efficacia dei trattamenti psicologici sui sintomi psicotici.Un altro punto decisivo nel cambiamento di atteggiamento generale sui trattamenti psicologici nella psicosi è stato la crescente consapevolezza che la sintomatologia psicotica ha una natura dimensionale, che non ha un carattere alieno ed incomprensibile e che, pur in un certo grado, è presente nella popolazione normale (non clinica): questo riguarda soprattutto le manifestazioni allucinatorie, ma coinvolge anche le idee prevalenti, le convinzioni incrollabili che sfumano nel delirio. Considerazioni generali Nel campo dei trattamenti delle psicosi si è assistito ad una relativa progressione e modificazione di modelli e concezioni dei trattamenti sia farmacologici che psicoterapici. All’interno del settore psicoterapeutico, sono state portate avanti alcune modificazioni sia nel processo terapeutico che nel modello stesso. A partire da una concezione del trattamento indirizzato ad una sindrome clinica, che ha come caratteristiche alcuni sintomi specifici e spiega i fattori associati o come correlazioni generiche o come sintomi stessi della malattia (avvicinandosi pericolosamente ad una spiegazione circolare), si è passati gradualmente ad una impostazione del trattamento sempre più mirato a sintomi specifici ben determinati, i quali sono stati approfonditi singolarmente a livello sperimentale e clinico, ed hanno giovato di notevoli avanzamenti provenienti sia dal campo delle neuroscienze che dal settore della psicologia sperimentale (Barlow, Durand, 1998; Seligman, Rosenham, 1997). Il modello di trattamento centrato sul sintomo, attualmente il più noto e il più efficace nel campo dei trattamenti psicoterapeutici delle psicosi, come in altri disturbi (Gelder, 1997), è stato sviluppato in modo eterogeneo da diversi centri clinici e di ricerca a livello mondiale. Le applicazioni di tale approccio, ben note nel settore, sono caratterizzate tutte dalla definizione esplicita dei meccanismi del singolo sintomo, dagli antecedenti o fattori associati all’innesco o produzione del sintomi, e dai fattori associati alla diminuzione o scomparsa dell’attivazione sintomatologica.Al modello del sintomo attualmente si affianca una progressiva revisione e modificazione dell’approccio sulla base della sempre più completa conoscenza dei fattori psicologici del soggetto attinenti alla personale vulnerabilità specifica rispetto ad eventi o significati su eventi specifici.Questo modello conosciuto come modello della persona (Bentall, 1990; Kington, Turkington, 1994; Chadwick, Birchwood, Trower, 1996; Perris, 1994) permette di chiarire alcuni dati che il modello del sintomo lasciava oscuri. Un primo elemento è quello attinente alla distorsione cognitiva, che non spiegherebbe perché un soggetto distorca alcuni argomenti specificamente mentre altri rimarrebbero non coinvolti. Un secondo aspetto riguarda il contenuto dei deliri e delle convinzioni associate alle voci che piuttosto che essere genericamente delle elaborazioni deliranti sarebbero più precisamente delle convinzioni deliranti derivate da temi specifici collegati alla vulnerabilità psicologica del soggetto. Inoltre, la stessa nozione di insorgenza dei sintomi non sarebbe ben spiegata dalla nozione di evento stressante (che è generico) ma invece di eventi specifici presenti nella vita del soggetto che sono costruiti in modo tale da presentare una minaccia grave ai bisogni primari e fondamentali dell’individuo (Alford, Beck, 1997; Haddock , Slade , 1996; Karg , Alford , 1997; Perris, 1994)Attualmente, i modelli psicoterapeutici nel trattamento delle psicosi sono diversi e derivati da differenti modelli teorici di base (psicodinamico, cognitivo, comportamentale); ma, differentemente rispetto al passato, da circa 10 anni i trattamenti mirati ai disturbi psicotici si sono uniformati in modo sorprendente proprio per effetto dell’impatto del modello del sintomo, che ha premesso di dimostrare che i sintomi psicotici come i deliri, le voci, le convinzioni paranoidi, sono sensibili al trattamento psicologico.Mentre da un lato i progressi della farmacologia ha permesso di migliorare la efficacia della cura delle psicosi, il trattamento psicoterapeutico si associa come un complemento fondamentale sia efficace che riproducibile.Infine, lo studio dei meccanismi psicologici associati ai singoli sintomi ha permesso di prendere le distanze da un assunto che ha pesantemente condizionato sia la clinica che la ricerca: la celebre affermazione di Jaspers che esiste una frattura incolmabile tra il pensiero normale e il delirio è attualmente poco supportata, a vantaggio di molteplici dati che indicano come il delirio, per quanto bizzarro ed inverosimile, sia una esagerazione che si pone in modo continuo con le diverse tipologie di convinzione definite normali; in pratica si critica il concetto di discontinuità a favore dell’ipotesi della continuità con il funzionamento ordinario dell’individuo (Kington, Turkington, 1994; Chadwick, Birchwood, Trower, 1996 Bentall, 1990).La sintomatologia di riferimento, nei trattamenti psicoterapici è sia quella positiva, deliri e allucinazioni, che quella negativa, quadro anedonico-amotivazionale. Diversamente dal passato, quando i sintomi negativi erano maggiormente il target degli interventi "psicosociali" nella riabilitazione dei pazienti con psicosi, attualmente sono i sintomi positivi che hanno il ruolo di obiettivo principale nei trattamenti specifici. Ciò è dovuto in gran parte al rinnovato interesse per i meccanismi psicologici connessi ai sintomi psicotici (Frith, 1995; Bentall, 1990;, Chadwick, Birchwood, Trower, 1996) ed alla migliore standardizzazione delle procedure efficaci nel trattamento psicologico dei deliri e delle voci (Tarrier e coll., 1994; Chadwick, Birchwood, Trower, 1996; Birchwood e coll., 1995; Fowler e coll., 1995; Liberman, 1992; Falloon e coll., 1995).
Procedure tecniche nella psicoterapia cognitiva delle psicosi Di seguito discuteremo alcune tecniche ed accorgimenti all’interno della psicoterapia cognitiva per affrontare efficacemente i sintomi psicotici e la particolare relazione con il paziente.Prima di discutere nel merito gli aggiustamenti della terapia cognitiva per le psicosi, è utile ricordare che nel lavoro col paziente psicotico vi sono almeno i seguenti problemi da risolvere o tenere in conto.Problemi di empatia del terapeuta: mentre in altri disturbi il terapeuta si confronta con le reazioni emotive conseguenti a preoccupazioni e problemi solitamente intelligibili ed usualmente comprensibili, con il paziente psicotico le reazioni emotive sono attivate da preoccupazioni, problemi e cognizioni spesso lontane dalla "psicologia del senso comune" ed alcune volte il collegamento tra una idea e l’altra avviene attraverso apparenti salti che invece sottendono collegamenti non immediatamente rinvenibili e decifrabili. Questa particolare organizzazione cognitiva può, in professionisti non addestrati specificamente al lavoro con pazienti psicotici, destare stupore e sentimenti di distacco che compromettono la necessaria empatia e comprensione del punto di vista del paziente.Convinzioni del terapeuta su paziente e sul suo disturbo: le convinzioni dell’operatore sanitario influiscono grandemente sull’efficacia del trattamento attraverso il grado di impegno, emozioni espresse, comunicazione esplicita col paziente, e atteggiamenti non verbali durante il lavoro. Se il personale psichiatrico ha delle convinzioni negative sulle condizioni, e non vede un punto di "aggancio" per il trattamento l’atteggiamento risultante potrà essere di scoraggiamento e disimpegno, o distacco e cinismo, o ancora di minimizzazione. Tutto questo potrebbe influire sulla comunicazione terapeutica, e potrebbe essere un fattore di disturbo anche se non veicolato direttamente dal terapeuta che si occupa del paziente.Problemi nel mantenimento della relazione: a causa delle particolari credenze e convinzioni del paziente psicotico, dei fenomeni allucinatori che ne limitano il contatto con la realtà, la relazione terapeutica può spesso essere difficoltosa e intermittente, anche se la costanza e l’esplicito impegno del terapeuta può costituire il punto di orientamento anche in momenti difficili, proprio grazie al mantenimento di un atteggiamento accogliente. Deliri Seguendo il generale modello ABC della psicoterapia cognitiva standard (Dell’Erba, 1998), è opportuno fissare almeno due obiettivi ampi nel lavoro con le convinzioni deliranti. Un primo punto da sviluppare è la prospettiva che i deliri sono le convinzioni del paziente e non i fatti (cioè sono B e non C). Questo deve essere sviluppato senza rendere le convinzioni del paziente delle costruzioni prive di importanza o connotate con un carattere di insostenibilità proprio perché sono distinte dai fatti. Il secondo punto è la condivisione e lo sviluppo di uno schema generale, un razionale, nell’indagine sui deliri.Un primo passo è decisamente la discussione del modello ABC, che il terapeuta discute con il paziente fornendo esempi ed applicando le tre distinte categorie del problema (A, B, e C) ai resoconti del paziente.Il terapeuta può proseguire il processo con l’assessment degli eventi attivanti e degli stimoli interni ed esterni che il paziente inserisce nei resoconti e che naturalmente ingloba nel problema. E’ utile ricordare che il problema del paziente prende la forma di un processo A-C, dove un evento attivante causa una reazione; le stesse cognizioni del paziente sono riferite da lui come causate esternamente (attraverso attribuzioni esterne).Lo sviluppo del modello ABC prosegue con la valutazione delle reazioni emotive e comportamentali, nella quale il terapeuta prende in considerazione la qualità delle emozioni del paziente (la tonalità, come ansia, tristezza, rabbia, ad esempio) e la intensità.Il successivo passo consiste nell’indagine sulle convinzioni (B) che costituiscono la prospettiva del paziente e prendono la forma di interpretazioni subitanee. Le convinzioni dei pazienti devono essere valutate secondo la loro tipologia relativa al contenuto specifico (che potrà essere poi ricondotto ad un tipo particolare e caratteristico di contenuto significativamente inserito nella storia del paziente). Potrà essere così valutato se il contenuto è, ad esempio, benevolo o malevolo, estraneo o familiare al paziente.L’indagine del contenuto è particolarmente importante in quanto costituisce la base su cui si poggerà il tentativo di messa in discussione. In particolare sarà valutata l’entità delle preoccupazioni del paziente relativamente all’oggetto del delirio, i temi salienti, il grado di convinzione, la evoluzione e la storia della sua formazione ed acquisizione; inoltre, sarà particolarmente curata l’analisi delle evidenze. Su quest’ultimo punto vale la pena soffermarsi su alcuni dati derivanti dalla ricerca sperimentale, ed inseriti direttamente nelle precedure della terapia cognitiva. Dai risultati delle ricerche sulla "reattanza psicologica" di Brehm (Brehm, 1966) sviluppati da Frazer Watt e collaboratori (Watt et al.:, 1973) possono essere dedotti almeno 4 punti orientativi nell’affrontare la discussione dei deliri:
Il terapeuta propone, successivamente delle ipotesi probabili nelle quali il paziente immagina uno scenario o situazione priva delle carateristiche deliranti, e tramite tale scenario il paziente ed il terapeuta possono considerare varie alternative di "realtà" potenziale.Dallo sviluppo di tali ipotesi e dalla analisi dei temi prevalenti e caratteristici si può risalire alla individuazione di convinzioni di base che costituiscono una specie di teorie personali (schemi personali) che il paziente ha costruito nel corso della propria storia, ed in particolare nelle fasi più delicate dello sviluppo. Spesso il paziente ha affrontato delle situazioni difficili, e molte volte ritroviamo nella ricostruzione della storia del paziente la presenza di veri traumi o incidenti fisici o relazionali subiti (e non immaginari).Le convinzioni devono essere trasformate in modo sintetico in modo da poter essere sottoposte alla discussione di ipotesi alternative e alla verifica empirica tramite test di realtà che il paziente ed il terapeuta progettano e realizzano insieme (che hanno sempre il carattere di confronto tra ipotesi proposta dal paziente cioè il delirio, e la ipotesi sviluppata insieme al terapeuta in modo condiviso). La procedura di discussione spesso è la seguente: - si chiariscono i concetti di "Fatto" o "Stimolo Esterno" (come vedrebbe una telecamera o 10 giudici osservatori imparziali), "Interpretazione" (valutazione, pensiero istantaneo o spontaneo, punto di vista), "Spiegazione Alternativa" (una spiegazione concreta che giustifichi soddisfacentemente i fatti); - si imposta il modello a tre colonne Fatto/ Interpretazione/ Spiegazione Alternativa, con la determinazione del grado di convinzione della seconda e della terza colonna; - il paziente viene incoraggiato ad esporre un problema o un evento che lo ha colpito; - si chiarisce al soggetto che quanto ha esposto viene preso in seria considerazione, ma non viene né giudicato vero né falso, ma viene preso come problema da esaminare; - il problema viene considerato una interpretazione (B1), che deve essere collegata ad un evento preciso, e viene determinato il grado di convinzione attuale del proprio punto di vista; - il paziente viene esortato a riconsiderare il Fatto e a formulare una Spiegazione Alternativa (B2), con un grado di convinzione, ed eventualmente il terapista sottolinea le principali incongruenze; - si rassicura il paziente che il risultato è significativo, e che può migliorare. Nel corso del trattamento il paziente prende in esame le convinzioni centrali, che costituiscono gli organizzatori di significato che spiegano, dal suo punto di vista, l’evolversi della propria condizione e il perché dei significati così speciali che il paziente costruisce. Allucinazioni Anche nel lavoro con i sintomi allucinatori è necessario verificare se esista una relazione di collaborazione e se non esistano delle convinzioni ostacolanti come il credere che il terapeuta sia controllante, o che il terapeuta non possa comprendere l’esperienza delle voci, o che vi siano ragioni e credenze che rendono il trattamento una minaccia contro le esperienze allucinatorie, nel caso queste siano valutate dal paziente positivamente.Un primo momento dell’intervento riguarda la valutazione delle abilità di coping spontaneo del paziente nel fronteggiare le esperienze delle voci. In questa fase possono essere ritrovate alcune abilità e comportamenti che hanno successo nel contrastare le voci o nel bloccarle, altre che hanno invece un valore di contrasto del loro contenuto. Il terapeuta può insegnare al paziente alcune abilità di coping, e attraverso una serie di brevi prove raggiungere un accordo su quelle pratiche utili e sintoniche con i bisogni del paziente (Chadvick, Lowe, 1994).Le abilità di coping per le voci possono essere definite come quelle condotte che contrastano dia gli antecedenti sia l’esperienza stessa allucinatoria attraverso il blocco del meccanismo del sintomo (Tarrier, 1996). Esse possono essere, ad esempio, leggere a voce alta, parlare, muoversi e fare attività fisica, usare cuffie per la musica, rilassarsi. Alcune ricerche hanno dimostrato come, confrontando l’efficacia delle abilità di coping che impiegavano metodi di distrazione e quelle che impiegavano metodi di focalizzazione sull’esperienza delle voci, le più promettenti sono state le ultime in quanto il paziente può affrontare l’esperienza ed il contenuto senza catastrofizzare e terribilizzare tali stimoli. (Bentall, 1996).Il successivo stadio è costituito dalla valutazione delle voci. L’assessment deve considerare le voci come degli A, cioè degli stimoli interni o esterni, e deve riguardare i contenuti, il locus spaziale, i sintomi correlati, gli stimoli ed i contesti che sono spesso coinvolti nell’esperienza allucinatoria. Dovrebbe essere indagata la specifica situazione tipica in cui il paziente sente le voci ed indagare con estrema attenzione il modo in cui le ascolta. Vari ricercatori hanno definito come "atteggiamento di ascolto" l’atteggiamento tipico del paziente quando sente le voci e dunque tale atteggiamento non sembra essere un risposta all’esperienza delle voci ma è connessa in modo causale con il meccanismo del sintomo attraverso l’alterazione dello stato di coscienza. In questo caso il terapeuta può insegnare al paziente a porre attenzione al proprio atteggiamento di ascolto e di facilitare le situazioni tipiche in senso più tranquillizzante.Il passo conseguente è quello della presa in esame delle cognizioni che potranno essere sia delle inferenze sia delle valutazioni da parte del paziente sulla esperienza delle voci e sul loro contenuto. In tale compito devono essere prese in esame le particolari convinzioni che il paziente ha di tali esperienze, sulla loro forza, sulla identità delle voci, sul significato del contenuto e della stessa esperienza, se i contenuti o la identità sono interpretati come esperienze benevole o malevole.Dopo il laborioso assessment delle voci, il terapeuta è in grado di entrare nel merito dell’intervento cognitivo identificando quali valutazioni e quali inferenze sono connesse con le voci.L’intervento successivo è la messa in discussione di tali cognizioni progettando per le inferenze delle prove e dei test di verifica collaborativa, mentre per le valutazioni la articolazione di spiegazioni ed interpretazioni alternative con il grado di convinzione conseguente e la intensità emotiva conseguente.E’ molto importante sviluppare una collaborazione empirica con il paziente non solo per la finalità della esecuzione di tali interventi ma più generalmente in quanto l’intervento cognitivo è efficace nella modificazione delle convinzioni, e per questo tale risultato può essere sospetto dal punto di vista del paziente paranoide.La valutazione e l’intervento sulle convinzioni e sui contenuti devono essere considerati interventi sui B e non sui C, e per questo il terapeuta indaga insieme al paziente se l’indebolirsi di una certa convinzione su un certo contenuto presente nelle voci può modificare il senso di tale esperienza. Ad esempio, un paziente riferiva che delle persone guardandolo conoscevano il suo pensiero, e gli trasmettevano dei comandi sulle cose da fare tramite commenti ed ordini espliciti. L’intervento è consistito nel ipotizzare delle condotte alternative o dei pensieri alternativi a quelli provenienti dalle voci, in modo che il paziente poteva scegliere se obbedire alle voci, magari rischiando la rappresaglia, oppure scegliere di comportarsi in modo diverso dai comando eteroriferiti. Il paziente poté testare tale ipotesi verificando sia la mancanza di conseguenze (diminuzione del potere delle voci) sia la assenza di costrizione e di passività.Da tale stadio di intervento si identificano quelle convinzioni generale che spiegano il senso di tali esperienze dal punto di vista del paziente. Tali convinzioni sono deliri e sono trattati come B che attivano dei C, e che abbiamo visto più sopra.Infine, come aspetto molto più generale, deve essere affrontato l’argomento delle cause e dello sviluppo di tali esperienze. La maggior parte degli autori è concorde sull’esigenza di condividere un modello di stress, di vulnerabilità, e di eventi critici ed attivanti. La vulnerabilità in particolare è concettualizzata come una spiegazione precoce che il paziente ha costruito in riferimento ad avvenimenti, incidenti o situazioni di fatto che ha affrontato precocemente nella sua vita. E’ bene ricordare che nelle storie di pazienti incidenti, traumi e situazioni di fatto sono molto più comuni di quello che si è pensato in passato. Una ulteriore osservazione è quella di utilizzare i risultati di numerose ricerche che vedono ampi campioni della popolazione normale (priva di diagnosi di psicosi) coinvolti in esperienze allucinatorie in relazione a precisi accadimenti (prevalentemente negativi e disorientanti) presenti nella loro vita. Può essere affermato che, in accordo con i dati della neurobiologia delle allucinazioni uditive, le voci sembrano rispondere alla esigenza di semplificazione ed organizzazione di pensieri che il soggetto non riesce ad integrare e accettare, e che gradualmente sono interpretati come ego-alieni. Linee guida del trattamento psicologico cognitivo-comportamentale nel disturbo psicotico Mentre rimandiamo ad altri lavori l’approfondimento della pratica terapeutica nei disturbi psicotici, sia per quanto riguarda la tecnica che la concettualizzazione del disturbo ( Beck, 1976; Beck, Freeman, 1990; Dell’Erba, 1998; Bellomo, Dell’Erba, Suma, 1999; Fowler e coll., 1995; Bentall, 1990; Chadwick e coll, 1996;Tarrier e coll., 1993; Kington, Turkington, 1994), in questa sede illustreremo solo brevemente alcuni elementi di tecnica psicoterapeutica che si sono dimostrati efficaci complessivamente della diminuzione della sintomatologia positiva del disturbo schizofrenico.Alcuni punti generali dell’impostazione del trattamento specifico sono i seguenti:
Questa breve esposizione del trattamento cognitivo-comportamentale nelle psicosi non esaurisce la complessa pianificazione del trattamento generale che può comprendere diverse tecniche di intervento sul soggetto, sia in modo mirato ai sintomi positivi e negativi, sia avente come obiettivo l’aderenza al trattamento farmacologico; inoltre, lo stesso trattamento generale può includere il lavoro terapeutico con i familiari, con il contesto ambientale, e il supporto agli interventi più specificamente sociali o assistenziali.Questi elementi possono, però, essere definiti aggiuntivi o esterni ad un intervento cognitivo sul delirio e sulle allucinazioni.
Metodologia della ricerca Scopi Al fine di studiare la efficacia delle procedure di intervento psicologico cognitivo-comportamentale è stata organizzata una verifica comparativa tra l’effetto delle abilità di coping (prevalentemente distrattive ed interferenti con il meccanismo del sintomo) e gli interventi di terapia cognitiva standard (prevalentemente ristrutturazioni e test di verifica). Interventi comuni erano l’uso della normalizzazione, l’impegno nella collaborazione, e l’atteggiamento concreto ed empirico nei confronti dei sintomi. Disegno La ricerca è stata caratterizzata da uno schema di confronto diretto interno dovuto al tipo di valutazione prescelta consistente nell'andamento sintomatologico sulla base di una scala di valutazione normativo (BPRS di Overall e collaboratori). La valutazione degli esiti è stata caratterizzata principalmente dalla valutazione degli andamenti psicometrici del test, somministrato a scansione predeterminata, e dalla valutazione clinica. Il disegno utilizzato è lo schema longitudinale conseguente al trattamento, con valutazioni intermittenti ogni 2 mesi. Strumenti Lo strumento usato è stato il BPRS (di Overall e coll., versione 18 items come modificata da Bech, Kanstrup, Rafaelsen, 1986) per le sue qualità di praticità, precisione nella discriminazione dei sintomi degli items, velocità di somministrazione e scoring, fedeltà, validità rispetto all'esame clinico. La manegevolezza dello strumento ha permesso di usarlo a scansione: ogni 2 mesi nel caso di Disturbi Schizofrenici. Dati L'esame dei risultati è consistito nel confronto diretto interno dei punteggi del campione, e nel calcolo della differenza statistica dello scarto tra la prima e l'ultima somministrazione, nei due sottogruppi. Per quanto riguarda il gruppo di pazienti trattati con interventi cognitivi sono disponibili i dati in corso di trattamento.
Valutazioni sintomatologiche BPRS nei soggetti del "gruppo terapia cognitiva" con intervallo di 2 mesi.
Campione Il campione clinico è costituito da 27 soggetti con diagnosi di Disturbo Schizofrenico all’esame clinico e alla intervista diagnostica MINI 4.4 – DSM IV. Nel campione clinico sono stati distinti due gruppi: un primo gruppo (denominato gruppo di coping o "g.cop.") di 16 pazienti riceveva un trattamento mirato alla riduzione dei sintomi di ansia mediante il rilassamento, il potenziamento delle strategie di coping (secondo Tarrier e coll, 1993; Chadwick e Lowe, 1994; Bentall., 1990; Fowler e coll., 1995), esposizione graduata in vivo. Il secondo gruppo (denominato nelle figure gruppo cognitivo o "g.cogn") riceveva un trattamento cognitivo caratterizzato principalmente da tecniche di ristrutturazione cognitive delle convinzioni associate ai deliri ed alle voci (Chadwick, Lowe, 1994; Bentall, 1990; Chadwick, Birchwood, Trower, 1996; Birchwood, Tarrier, 1994).I soggetti erano selezionati secondo il grado di autonomia personale e sociale al momento della intervista diagnostica. I soggetti inclusi erano caratterizzati da un deficit di autonomia personale e sociale relativamente limitato. La scala-criterio per la selezione e la valutazione del grado di autonomia è stata tratta ed adattata da diversi studi sulla valutazione dei deficit sociali nella schizofrenia (Libermann, 1994).Il campione era composto dal 35% circa di soggetti femmine e dal restante 65% di maschi; l’età corrispondeva ad un range di 22-41 anni; lo stato civile era per il 46% di celibi ed il restante 54 % coniugati; tutti i soggetti avevano ricevuto una valutazione diagnostica psicopatologica mediante colloquio clinico, intervista MINI 4.4, BPRS a scansione, colloquio con i familiari, valutazione della autonomia, e tutti i soggetti erano inquadrati come "disturbo schizofrenico" in trattamento. Tutti i soggetti della ricerca presentavano sintomi positivi e negativi della schizofrenia stabili da almeno un anno, ed erano in trattamento farmacologico costante (lo schema farmacologico prevedeva associati almeno un antipsicotico atipico o tradizionale, un ansiolitico, e un antidepressivo).
Risultati e Conclusioni Il campione clinico ha riportato punteggi inferiori statisticamente significativi alla BPRS rispetto alla valutazione iniziale. Dunque, un primo risultato conferma la efficacia del trattamento cognitivo-comportamentale sia in una versione orientata alle strategie di coping sia orientato alla ristrutturazione cognitiva. Un secondo risultato indica una differenza apprezzabile e statisticamente significativa tra i due gruppi, evidenziando che il gruppo con trattamento cognitivo di ristrutturazione psicologica ha ottenuto un maggior decremento della sintomatologia rispetto al gruppo che riceveva intervento con strategie di coping (verso ansia e sintomi psicotici).Un terzo dato indica che in una valutazione longitudinale, almeno per il gruppo cognitivo, alcuni periodi sono più cruciali di altri (ad esempio, dopo il 6° mese).Un dato ulteriore indica che i trattamenti sono equivalenti solo in relazione ad alcuni sintomi (come riportati dalla BPRS) mentre in altri le differenze sono molto marcate.Lo studio pilota indicherebbe che il trattamento cognitivo-comportamentale è un efficace complemento del trattamento farmacologico, e si attesta come intervento di scelta nella pianificazione generale della terapia delle psicosi.
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