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TRA ELFI, POKEMON E STREGHE.

COME AIUTARE ALICE AD USCIRE DALLO SPECCHIO  

E' parere condiviso tra psicoterapeuti, pedagogisti ed esperti della comunicazione diretta alle categorie più facilmente plasmabili e indifese, che i contenuti offerti da TV e mass media vanno protetti e controllati da adulti. I pokemon, enfatizzati da alcuni e demonizzati da altri, finiscono per essere emblematici delle modalità comunicative e relazionali della nostra società. Tenendo conto che nascono in un'altra cultura, quella giapponese, dove assumono significati legati a quel contesto, più che proporre un'interpretazione psicoanalitica che non potrebbe tenere nella dovuta considerazione la loro origine, diventa interessante chiedersi che senso acquistano nella nostra cultura. Il problema non è demonizzarli, ma capire cosa spinge un bambino ad appassionarsi ad essi. Ma cosa sono i pokemon? Sono simpatici animaletti, piccoli mostriciattoli che abitano un'isola omonima, una specie di paradiso terrestre dove il cielo è sempre azzurro, le nuvole sempre soffici e bianche, l'erba è sempre verde. Le 150 specie di pokemon vivono pacificamente, con la naturale predisposizione ad aiutarsi reciprocamente, finchè non arriva qualche "stupido umanoide" adolescente che li cattura per farli combattere tra loro. Da un lato colpisce che in questi cartoons le immagini siano semplici e "grezze", che manchi una storia sostituita da tante avventure, dove l'unica morale è che chi è più forte vince e chi è debole non solo perde ma disinvoltamente muore; dall'altro lato colpisce il modo in cui i bambini guardano al mondo degli adulti. I grandi diventano esseri lontani, tiranni, grandi manipolatori e approfittatori anziché figure rassicuranti, mediatrici delle emozioni e progettuali. Gli adulti ingabbiano anziché stimolare la crescita. Colpisce anche il modo in cui gli adulti guardano al mondo dei bambini, come vittime innocenti di mostri in cui poi si trasformano. Viene in mente analogamente l'eterna lotta tra Peter Pan e Capitano Uncino nell'isola che non c'è, dove i bambini restano bambini, soli, orfani e contenti. Ma in questo film viene esplicitato chiaramente che gli adulti hanno perso il contatto con i loro bambini e con la loro infanzia. Su milioni di bambini che guardano cartoni animati e filmati di questo tipo solo alcuni finiscono per compiere azioni pericolose, come lanciarsi dalla finestra per volare come il drago volante o porsi davanti ad un camion per fermarlo come Mazinga. E' evidente in questi casi che la fiction viene drammaticamente confusa con la realtà. Come psicoterapeuti sappiamo che si tratta di casi individuali e che in tale ottica vanno visti e compresi. Ci chiediamo quindi cosa ha visto Matteo, 4 anni, prima di lanciarsi nel vuoto. I pokemon? Beep Beep e Willy il coyote? La trasmissione di Geo sui condor? O Peter Pan? Dovremmo chiederglielo. Noi da bambini avevamo bambole, soldatini e compagni di gioco, mentre oggi i bambini spesso hanno solo uno schermo che guardano da soli, dove paure e pericoli si confondono animatamente. E' agghiacciante pensare che 2 milioni di bambini in Italia abbiano la TV in camera da letto, che di fatto possono guardare liberamente senza nessuna protezione. Certi modelli possono essere pericolosi per i piccoli, che hanno bisogno dell'adulto per potersi orientare nel mondo, per distinguere finzione e realtà, dove orientare non significa controllare o soffocare ma piuttosto implica l'ascolto e la comprensione dell'intero ambiente in cui il bambino è immerso. Non è l'immagine che entra, come non è la bambola che parla che possono indicare la direzione del gioco. E allora più che impegnarsi in compiti titanici di rimozione di tutti i pericoli, diventa più salutare prendersi il privilegio di giocare con i propri figli aiutandoli a proteggersi. Dobbiamo radere al suolo la foresta solo per impedire che i nostri figli possano arrampicarsi sugli alberi rischiando di cadere? Dobbiamo tagliare tutti gli alberi contro cui si uccidono i giovani d'oggi, o dobbiamo togliere loro la macchina educandoli prima a rispettare la loro vita e a difenderla ? E allora in una società senza padri, ben venga un padre che scopre un ruolo nuovo, che mette a confronto il suo mondo con quello del figlio, scoprendo che su questo terreno il dialogo è difficile e tutto da costruire, dove anche la fascinazione del gioco come obiettivo deve colorire di fascino tutto il difficile percorso. Si può dire allora che il senso del drammatico gesto di Matteo oppure di Erika nell'uccidere madre e fratello va ricercato nella complessa relazione tra genitori esterni ed interni. Là dove è possibile comprendere questo gioco relazionale si scopre che il genitore non c'era là dove c'era un bisogno affettivo importante per il bambino, e magari c'era troppo su altri versanti superflui per il figlio. Figli ricoperti di oggetti ma vuoti di sogni rischiano di essere destinati a un mondo privo di colore. "La vita non è un problema da risolvere ma un mistero da vivere" (Osho).

 

Dott.ssa B. Rossi, psicologa e psicoterapeuta

Dott. E. Coppola, psichiatra e psicoterapeuta

 

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Aggiornato il: 01 maggio 2001