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La Psicologia del Pensiero nelle Scienze Cognitive di GianLuigi Dell'Erba Introduzione Che cos'è il pensiero? Una possibile risposta è ciò che sta tra la percezione e l'azione. Qual'è il ruolo di questa dote "collocata" tra i segnali provenienti dal mondo e il comportamento dell'organismo? Possiamo rispondere che, tradizionalmente, si considera il pensiero funzionale ai rapporti dell'organismo con i propri stati futuri, al contrario della percezione che permette la relazione con gli stati presenti, e della memoria che ha relazione con gli stati passati.Se pensiamo ad un robot cellulare, quale un batterio o un protozoo, possiamo renderci conto che le interazioni dell'organismo con l'ambiente circostante avvengono tramite regole che l'individuo in questione già possiede e tramite le quali risponde con una relazione diretta tra gli stimoli e la risposta. Un paramecio, ad esempio, è un organismo unicellulare che nuota nell'acqua grazie al battito coordinato delle sue ciglia vibratili. Se urta contro un ostacolo fa marcia indietro, per nuotare poi in un'altra direzione. Certo, si è tentati di supporre che il paramecio si sia accorto che il suo cammino era bloccato e abbia deciso di cambiare strada. In realtà, esso non costruisce nessuna rappresentazione del mondo esterno e non pensa affatto. L'urto depolarizza la sua membrana cellulare e i cambiamenti chimici risultanti fanno si che le ciglia invertano la direzione delle battute, con la conseguenza che il paramecio nuota in senso opposto. Si direbbe che il movimento sia guidato dal pensiero, ma in realtà il paramecio non costruisce rappresentazioni del mondo e non ha alcuna vita mentale.A cosa servono queste rappresentazioni mentali che altri organismi più complessi invece sembrano avere? Sulla base di rappresentazioni mentali vengono fatte inferenze sugli stati futuri del mondo, e quindi sono prese delle decisioni sulle azioni da compiere.Di cosa sono fatte e come sono caratterizzate le rappresentazioni mentali? Naturalmente, il loro veicolo ultimo sono i processi biologici dell'organismo, dunque sono basate su proteine, ma la loro caratterizzazione risiede invece nella loro funzione, che appunto, è quella di costruire un modello presente, passato e futuro dei propri stati e degli stati del mondo, e ciò allo scopo di massimizzare le azioni funzionali al proprio adattamento.Il pensiero è appunto basato sull'attività di elaborazione delle informazioni che sono strutturate come rappresentazioni mentali: queste elaborazioni possono essere inconsce, automatiche o coscienti. Tradizionalmente, si assegna al pensiero la elaborazione cosciente delle informazioni; ma ultimamente, si è puntualizzato il ruolo importante del pensiero basato su elaborazioni di informazioni automatiche (o semi-automatiche); solo alcuni arditi studiosi hanno azzardato, specie in passato, un pensiero inconscio (Freud, ad esempio) (per ulteriori approfondimenti si veda il paragrafo sulla conoscienza).Alcuni autori (Johnson-Laird, 1993; Girotto, 1994; Karmiloff-Smith, 1992; Kosslyn, 1987; Piaget, 1971; Gardner, 1985; Clark, 1989;) hanno proposto delle tassonomie per descrivere i tipi di pensiero, come pure i tipi di prodotti del pensiero. Una interessante proposta sembra essere quella di Johnson-Laird (1990). La figura di seguito rappresenta una tassonomia basata su alcune distinzioni fondamentali.
Obiettivo? No SI Associazione Deterministico? No Si Punto di partenza preciso? Calcolo No Si
Creatività
Aumento dell'informazione Si No Induzione Deduzione Un esempio di tassonomia del pensiero
I processi di pensiero sono governati da un obiettivo, come nella soluzione di un problema? Sono deterministici, nel senso che lo stato successivo del sistema dipende solo dal suo stato corrente e dal suo ingresso? Hanno un obiettivo preciso - come quando si vuole determinare la validità di una ipotesi - o sono semplicemente vincolati da fattori di ordine generale, come nella creazione di un'opera d'arte? Comportano aumento di informazione semantica alla conoscenza di base posseduta? Come si può vedere dalla figura, e come si può intuire, la gamma del pensiero umano va dai calcoli dell'aritmetica mentale all'associazione di idee. Ma né il calcolo né l'associazione rappresentano bene il tipo di pensiero umano. Si tratta piuttosto di due estremi, anche se nella tradizione vari autori hanno basato le loro teorie sul pensiero e i suoi disturbi sia sul calcolo mentale sia sulle associazioni di idee (per fare due esempi opposti, Fodor e Freud, ma anche tra filosofi come Spinoza e Locke).Sembra molto più proficuo e rappresentativo, nello studio del pensiero, basarsi su ciò che vi è in mezzo, cioè deduzione, induzione e creatività, che senz'altro riflette i processi più comuni, più centrali, più potenti, e probabilmente, più implicati nel pensiero quotidiano e i suoi disturbi, come anche nel pensiero patologico.
Deduzione e induzione: differenze di elaborazione Facendo riferimento al processo di elaborazione delle informazioni (Neisser, 1967; Miller, Galanter, Pibram, 1960; Tulving, 1973; Broadbent, 75; Norman, 1968; Johnson-Laird, 1988), al cosiddetto "flusso dello stimolo", possiamo rappresentare la differenza tra queste due principali componenti e funzioni del pensiero.Una prima differenza è quella riguardante la natura della informazione trattata nelle due componenti: nella deduzione abbiamo informazione "vecchia", old information, cioè la conoscenza organizzata già posseduta, mentre nell'induzione si tratta informazione "nuova", new information, cioè lo stimolo in entrata, che per definizione è nuovo.Un'altra differenza è quella attinente al ruolo attivo del sistema di conoscenza nel trattare lo stimolo: nella deduzione vi è l'assimilazione dello stimolo a strutture informative già esistenti e già assemblate in memoria, nell'induzione si ha invece l'accomodamento delle strutture di dati possedute per accogliere i nuovi dati non altrimenti trattabili.Una terza differenza, ovviamente collegata alle precedenti, è la direzione del flusso di elaborazione: nella deduzione l'attività del sistema è portata dall'applicazione degli schemi posseduti verso i dati in ingresso, direzione detta top-down (dall'alto al basso), nell'induzione invece la direzione del flusso è bottom-up (dal basso verso l'alto).Una differenza rilevante è quella riguardante gli obiettivi e le funzioni specifiche da raggiungere: nella deduzione il sistema si orienta verso la definizione delle informazioni in virtù di scopi conoscitivi che sono al contempo dei meccanismi della conoscenza - il dettaglio, la discriminazione, l'analisi; nell'induzione lo scopo conoscitivo e quindi i meccanismi risultanti sono l'astrazione, la sintesi, la generalizzazione.Come vedremo più avanti, questi diversi livelli di spiegazione nel processo del pensiero ci dicono molto non solo del pensiero quotidiano, ma anche dei fenomeni patologici più severi come nei processi del pensiero nella schizofrenia paranoide.Dunque, nella deduzione trova spazio quella parte della psicologia del pensiero che si è occupata dello studio della organizzazione delle conoscenze, delle euristiche di ragionamento, delle aspettative; mentre nello studio dell'induzione trova spazio la parte della psicologia che ha affrontato lo studio della formazione dei concetti, della scoperta, dell'apprendimento (inteso come "accrescimento dell'informazione posseduta"). Un spazio a parte è dedicato alla psicologia del giudizio e alle sue distorsioni valutative, dove si riscontrano entrambe le due componenti fondamentali.
Deduzione La capacità di agire in modo razionale è al centro della vita umana. Abbiamo certe credenze e certi desideri e bisogni: il nostro compito è inferire dalle nostre credenze che cosa dobbiamo fare per raggiungere i nostri scopi, e poi eseguire le azioni così determinate.Ci sono state tuttavia delle posizioni che sia in passato che nel panorama contemporaneo hanno assunto una prospettiva di scetticismo riguardo la razionalità umana, fino a posizioni di franco irrazionalismo. Si può rispondere a queste posizioni in modo pratico: se un pensatore, filosofo o scienziato, "annunciasse" la tendenza irrazionalistica dell'agire umano, che credenziali avremmo noi per prenderlo sul serio? E inoltre, non sembra ciò il famoso rompicapo: "Tutti gli Ateniesi mentono": dunque, come derivare la loro affidabilità? Ma vi è un'altra risposta, sebbene più ironica ma non meno efficace in generale, che è quella di Jerry Fodor: <<non ascoltate ciò che essi dicono, osservate ciò che fanno>> (Fodor, 92).Al cuore della razionalità è la capacità di trarre deduzioni valide. Si tende a considerare le deduzioni come basate sulla logica formale: ciò non solo è riduttivo, ma è falso nel pensiero quotidiano. Per affrontare la deduzione, come uno dei fondamenti del pensiero, prendiamo brevemente in considerazione sia il campo della logica sia quello della psicolinguistica, ed infine della psicologia del pensiero contemporanea. Logica La logica è la disciplina che ha per oggetto la validità delle deduzioni. Molti sostengono che il solo modo di dimostrare che un argomento è valido sia derivarne una dimostrazione formale in un calcolo logico. I logici distinguono tra i metodi della teoria della dimostrazione che fanno uso di regole di inferenza formali dalla teoria dei modelli che dimostrano la validità per via semantica. Ad esempio: Se un individuo rincorre un treno, allora sta cercando di prenderlo - un individuo rincorre un treno - quindi sta cercando di prenderlo.
In casi come questo si cerca di determinare una forma logica, cioé: se p allora q - p - quindi q.
La deduzione è valida se sono valide le premesse, e ciò avviene dunque a prescindere da un singolo caso particolare, ma deriva da una premessa di ordine generale.Guardando la cosa dal punto di vista della semantica vorrebbe dire derivare tutte le possibili combinazioni delle premesse che sono vere nelle possibili situazioni. Per fare questo è necessario costruire una tabella, tavola di verità, dove ad ogni premessa è associato un valore di verità, cioè vero e falso, e quindi si scartano i casi insostenibili. Come ebbe ad osservare Sherlock Holmes <<quando avete scartato l'impossibile, quel che resta, per quanto improbabile, deve essere vero>>. Non c'é alcuna situazione nella quale le premesse siano vere e la conclusione falsa.L'intento è quello da una parte di costruire un metodo di generazione e controllo del pensiero "corretto e valido" attraverso un sistema di regole che definiscono e gestiscono le componenti di una asserzione, cioè attraverso una sintassi del pensiero (Chomsky, 80; Henle,1962; Fodor,1988); dall'altra parte, altri logici hanno elaborato metodi di relazione e corrispondenza tra gli oggetti dell'asserzione e il mondo esterno, cioè una semantica del pensiero (Johnson-Laird, 1983; Searle, 1983; Van Dijk e Kintch, 1983).Naturalmente, come spesso avviene, i due sistemi non sono compatibili, come avevano sperato logici del calibro di Frege, nel 1879 (Frege, 1965), e Tarski nel 1936 (Tarski, 1956); questa dimostrazione, in parte, discende da un celebre logico matematico, Kurt Godel (1967) che ha formulato il teorema dell'incompletezza nella formalizzazione coerente in aritmetica. Dunque, la validità semantica non è riconducibile alla dimostrazione sintattica.
Regole di inferenza Il compito di fare una deduzione può essere suddiviso in tre momenti: 1) Comprendere: si deve afferrare il punto di partenza della deduzione (premesse espresse in forma verbale, percezioni in una situazione, ricordo, o immaginazione, ...) 2) Generare una conclusione: si deve generare una conclusione provvisoria. 3) Valutare la conclusione: si deve sottoporre a verifica logica e valutazione critica per stabilire se segue validamente dalle premesse oppure no. Il problema esistente con la logica formale, e in particolare con le regole della forma logica degli enunciati, e che date certe premesse è possibile avere varie conclusioni valide, ma non è possibile scegliere e trarre informazioni per agire. Nessun individuo sano di mente deriverebbe le possibili conclusioni da una asserzione (tranne in alcune particolari professioni!). Dunque, i formalisti non spiegano bene la "meccanica" del pensiero umano; tuttavia, predicono alcuni casi che sono stati poi verificati in psicologia sperimentale, in laboratorio e sul campo, da ragionatori in "carne ed ossa".Particolari asserzioni sono più difficili da trattare che altre; in particolare, sono difficili i casi negativi nelle premesse, i casi incassati, i casi disgiuntivi.Naturalmente, i problemi con la logica non sono solo questi. Ad esempio, si da il caso che le nuove premesse possono solo aggiungere qualcosa all'insieme delle conclusioni valide. La asserzione <<gli uomini hanno due gambe>> posta come conclusione può dover fare i conti con un caso di individuo ad una gamba (ad es., amputazione) il che però non può modificare la precedente conclusione derivando che l'asserzione <<gli uomini hanno due gambe>> è falsa, il ché sarebbe un gran danno. La logica si ferma su punti come questi, che evidentemente hanno l'evidente apporto del caso reale (pragmatico). Alcuni autori, tra cui Marvin Minski (1986), hanno introdotto la nozione di valori per difetto per poter gestire le evenienze dei casi particolari (si veda più avanti sulla organizzazione della conoscenza).
Tentativi di integrazione: regole contenuto-specifiche Come abbiamo già ricordato la sintassi riguarda la forma delle espressioni, la semantica, invece, riguarda la relazione tre le espressioni e gli stati del mondo. Se si ammettono delle regole che possano relazionarsi all'esterno tuttavia mantenendo il loro valore logico predeterminato allora può aversi un metodo di controllo logico che dice qualcosa sul significato. Si pensi ad esempio, a espressioni relazionali come sopra, sotto, alla destra di, davanti a, ecc. Anche in questo caso, però, se le espressioni sono valutate nella loro forma, sono perfettamente logiche e, a dispetto del loro nome, non stabiliscono alcunché nel mondo esterno (vi sono evidenti ambiguità nelle conclusioni), ma sono squisitamente sintattiche. Deduzione umanizzata Gli esseri umani, nel ragionare, danno prova di un'intelligenza che è largamente assente nei sistemi logico-formali. Essi sono cioè capaci di farsi guidare dal "buon senso", ed inoltre sono parsimoniosi (al contrario della logica formale).Tre aspetti sono caratteristici dell'attività deduttiva umana: la rapidità, l'uso di notazioni, l'uso di conoscenze generali.Numerose ricerche in psicologia sperimentale hanno evidenziato che pur potendo aspettare per esaminare le condizioni informative dello stimolo i soggetti "preferivano" emettere presto la risposta, dunque trascurando l'analisi esaustiva e risparmiando sul tempo (senza necessità). Anche i vari studi sulla psicologia del ragionamento, in contesti quotidiani (Tversky e Kahnemann, 1973; Kahnemann D., Slovic P., Tversky A., 1982; Nisbett e Ross, 1980; Legrenzi P., Girotto V., Johnson-Laird P.N., 1993 ; Rumiati, 1990; Girotto, 1994; Piattelli Palmarini, 1993; Mancini, 1996) hanno notato un singolare uso dell'analisi dei dati e un uso 'trascurato" del tempo per ragionare. Tutto ciò depone a favore di una tendenza degli individui (come vedremo più avanti) ad utilizzare "pacchetti" già pronti di conoscenza, le euristiche.Per quanto riguarda il problema delle notazioni, gli esseri umani traducono in linguaggi formali le informazioni, cioè codificano e quindi rileggono in un linguaggio proprio; ad esempio, se qualcuno ascolta delle persone parlare in un dialetto regionale diverso dal proprio, ammesso che lo comprenda, comprende e rielabora le interazioni verbali nel proprio linguaggio privato. Tutta l'attività di scambio degli individui avviene sulla base di linguaggi codificati, con certe regole stabilite convenzionalmente (pragmatica, uso sociale), dunque avviene mediante notazioni in codice. Può avvenire di avere scambi tra codici diversi, o di dovere continuamente tradurre e ritradurre nel corso delle interazioni tra persone, ciò ha un costo sulla prestazione e sulla efficienza cognitiva in quanto la elaborazione ausiliaria "pesa" sul risultato in termini di memoria di lavoro (working memory) e di attenzione (range and span attention).Per quel che riguarda l'utilizzo delle conoscenze generali (come si vedrà più avanti) gli individui applicano alle informazioni in entrata i concetti e gli schemi già posseduti, cioè attraverso la catalogazione in categorie possedute (categorizzazione), e quindi gran parte del lavoro si basa sul riconoscimento. Ad esempio, la comprensione di una frase non avviene certamente sulla base di un calcolo logico dei predicati contenuti nella asserzione, il ché porterebbe il soggetto verso una esplosione combinatoria data la vaghezza del linguaggio quotidiano, semmai il soggetto applica alla frase un modello, che può anche essere proposizionale, ma che si basa su informazioni date arbitrariamente, o per difetto, che sono l'applicazione delle conoscenze possedute dal soggetto (non è importante ora determinare se siano innate o apprese nel corso dell'esperienza). Se le informazioni ulteriori contraddicono i valori per difetto, essi sono corretti, strada facendo, come casi particolari. Fortunatamente gli enunciati del linguaggio quotidiano sono brevi, e quindi sono necessarie soltanto un piccolo numero di correzioni.Questa relazione tra pensiero deduttivo e conoscenza generale richiama in gioco la organizzazione della conoscenza e il concetto di prototipo (Rorsch, 1977) e e di schema concettuale (si veda più avanti).Un segno distintivo della intelligenza umana è la capacità di trarre conclusioni; ma se le conclusioni derivabili sono infinite, cosa fa si che si scelga in un certo modo? Inoltre, se la derivazione delle conclusione sarebbe una diretta discendenza delle premesse, come si può allora superare un certo ostacolo ragionando? E, infine, se il calcolo logico è complesso e laborioso, per la forma dei predicati logici, come può aversi una conclusione efficace e veloce? La risposta a questi tre problemi deriva dal tipo peculiare della intelligenza umana, la quale non solo decide in base a regole euristiche, non solo distorce l'informazione in arrivo, e i dati del problema, per poter comodamente applicare la propria conoscenza, ma anche risponde ai dati a partire dalla conoscenza che ha disponibile in memoria.Come ha felicemente espresso Simon (1982) << i ragionatori umani tendono ad accontentarsi di conclusioni soddisfacenti>>.
Induzione L'induzione ha un posto importante sia nel pensiero quotidiano che nel pensiero scientifico. Grazie ad essa abbiamo una guida sempre pronta per comprendere le persone e il loro comportamento e per orientarci nel mondo.Ma l'induzione è un affare rischioso. Alcuni tra i più grandi disastri della storia sono dovuti proprio da una inferenza induttiva mal riuscita. Facciamo il caso che un esperto sostenga una certa performance calcolata sulla propria solida esperienza, in un certo campo che abbia un importante costo (salute, ecologia, sicurezza, ...), e mettiamo che vi siano delle oscillazioni delle performances reali attorno ad alcuni valori "attesi", e poniamo ancora che vi sia una escursione al di fuori dei limiti: cosa concludere? L'esperto può essere portato a concludere che l'escursione oltre i limiti previsti è una variazione statistica, oppure è un artefatto del metodo in quanto caso raro, o ancora è un errore dello strumento. In questi casi l'applicazione delle conoscenze derivate dall'esperienza, e le aspettative di base, possono condurre al disastro. In pratica ci si aggrappa ostinatamente all'illusione che il caso confermi l'esperienza e la pratica.Quello che emerge è che una regola è stata disattesa sulla scorta di una aspettativa basata sull'esperienza.L'induzione ha luogo in tre momenti: il punto di partenza è costituito da un insieme di dati, proposizioni asserzioni verbali (primo momento). Si passa poi a formulare una ipotesi che permetta una descrizione o comprensione migliore di questa informazione in relazione ad uno sfondo di conoscenze generali (secondo momento). Questa conclusione può discendere sia dalle premesse che dalle conoscenze di sfondo; in ogni caso una induzione va oltre l'informazione semantica di base delle premesse. Infine, il ragionatore prudente valuta la conclusione e, di conseguenza, la conserva, la modifica, o l'abbandona (terzo momento).Possiamo definire l'induzione come qualunque processo di pensiero che generi una conclusione che accresca l'informazione semantica contenuta nelle osservazioni o premesse iniziali.Per contro, come già visto, le deduzioni non accrescono l'informazione di base.Facciamo un esempio: Tu hai la febbre o il termometro è guasto, o entrambe le cose. - il termometro è guasto - tu non hai la febbre. Come si può ben notare la conclusione non è contenuta nelle premesse, infatti è una induzione. Se invece escludiamo, avendolo esaminato, che il termometro non è guasto, allora: - il termometro non è guasto - quindi, tu hai la febbre. E' questo il caso di una deduzione perfettamente discendente dalla premessa fondamentale di base e dalla congiunta.La conoscenza derivante dalla induzione è tesa alla riorganizzazione della struttura semantica. Infatti, il pensiero induttivo organizza i dati in forma di schemi e concetti nuovi per effetto del processo di accomodamento della conoscenza. L'induzione è il motore dell'accrescimento delle informazioni; ma i meccanismi sottostanti allo sviluppo di questa forma di pensiero sono automatici ed inconsci, ed è soltanto il prodotto di questi processi elementari che diviene cosciente. Ad esempio; quando impariamo ad andare in bicicletta, scopriamo sempre più modi nuovi di stare in equilibrio, di muovere i pedali, di tenere il manubrio, e l'effetto di queste scoperte ci conduce poi ad apprendere a pedalare liberamente ed in modo automatico; ma i meccanismi del come ciò avviene sono in gran parte automatici e non coscienti.
Concetti I concetti sono gli elementi costitutivi del pensiero. Senza di essi l'induzione sarebbe impossibile perchè tutto si ridurrebbe a unità. Cose differenti devono essere considerate simili per certi scopi e cose simili devono essere considerate differenti per altri scopi. I concetti costituiscono il sistema che permette di categorizzare, suddividere, e mettere il relazione le cose.La prima idea dell'induzione è che essa sia una ricerca di ciò che accomuna i membri di un insieme. Di conseguenza, se tutti gli esempi positivi di un concetto hanno un elemento in comune, esso può definire il concetto. Se gli esempi negativi e positivi differiscono solo per quest'elemento, allora esso è l'elemento critico.Questa teoria, appartenente all'empirismo, ha ispirato numerose ricerche psicologiche, infatti una versione celebre è:<<una caratteristica più o meno comune a tutti i cani e non comune a tutti i gatti, bambole, e orsacchiotti di pezza>> è il significato di CANE (Hull, cit. in Reed, 1988).Altri ricercatori hanno condiviso, almeno in sostanza, questa versione (James, Piaget, Vygosky).Vi è però una seconda idea sull'argomento; la esponiamo con Wittgenstein:<<... sicché i cani non hanno nulla in comune tra di loro. I criteri di caninità certamente includono l'aver quattro zampe, peli, e la capacità d'abbaiare, ma queste non sono condizioni necessarie: un cane potrebbe esser muto, privo di peli, e con tre zampe>> (Wittgenstein, 1967) .Ecco ancora il concetto di prototipo.L'idea dei prototipi ha condotto un'esistenza sotterranea finché non è emersa nei lavori di Eleonor Rorsch (1973, 1977), secondo la quale le entità del mondo reale hanno caratteri correlati fra di loro - le penne sono correlate con le ali, le squame con le pinne, la pelliccia con le membra - e sono rappresentate nella mente mediante prototipi. Questa ipotesi è stata corroborata dalla scoperta che non tutti gli esempi di un concetto sono ugualmente rappresentativi - un terrier è un cane prototipico ma un chihuahua no - e che il tempo necessario per dare un giudizio su un esempio di un concetto dipende dalla distanza che separa l'esempio dai prototipo (Reed, 1988; Osherson, Smith, 81). Rosch (1977) ha sostenuto che in qualsivoglia gerarchia concettuale, ad esempio terrier-cane-animale, c'è un livello di base. E' a questo livello che esistono i prototipi, che gli oggetti cono categorizzati inizialmente, e che gli esempi di un concetto hanno il massimo in comune l'uno con l'altro e il minimo in comune con gli altri concetti dello stesso livello. Alcuni autori hanno, però evidenziato che in ognuno dei livelli esiste una organizzazione prototipica (Joliecoeur, Gluch, Kosslyn, 1984).Un momento fondamentale nella formazione di nuovi concetti è la generalizzazione. La generalizzazione permette la costruzione di un modello che si applica ai casi omologhi, e la derivazione di questa piccola teoria , che è la generalizzazione, è opera di induzioni, sotto forma di inferenze ipotetiche, che una volta esplorato e raccolto nuovi dati essi vengono sintetizzati in una organizzazione informativa che è nuova alla conoscenza di base.Una operazione è una generalizzazione se e solo se accresce l'informazione semantica contenuta in una ipotesi, così da ammettere almeno una situazione esclusa come falsa nella premessa; essa è una caso particolare di induzione. Questa operazione consiste nell'eliminare possibili stati di cose, e così diventa comprendente eliminando i possibili criteri e vincoli.Per contro una operazione è una specializzazione se e solo se riduce l'informazione semantica; essa è una caso particolare di deduzione.Un fattore critico nella costruzione di modelli, e di rappresentazione mentale dei dati, è l'azione della conoscenza in quel momento rappresentata nella mente. Tversky e Kahneman (1973) hanno svolto il lavoro pionieristico sull'argomento evidenziando che il modo di rappresentarsi i dati in mente influenza il modo di ragionare e rispondere efficacemente alle situazioni. Un elemento è la disponibilità di conoscenze pertinenti, che vengono usate rapidamente, senza esame ulteriore della loro plausibilità (euristica della disponibilità). E' l'effetto dovuto ai dati recenti, o che sono rimasti a fondo impressi, e che in tal modo sono rievocati dalla memoria più frequentemente e più probabilmente di altri meno rilevanti. Un altro elemento è l'effetto dovuto alla tipicità delle conoscenze collegate ai dati, di modo che i dati vengono ricondotti in una sorta di effetto alone, o di effetto stereotipo (euristica della rappresentatività). Oltre a queste fondamentali trappole del ragionamento (in realtà non è esatto identificarle come induttive né come deduttive in quanto il loro processo è induttivo e deduttivo in un ciclo continuo: riconoscimento del dato (deduzione), raccolta di evidenza (induzione), definizione del campo (deduzione), ipotesi inferenziale (induzione), tendenza alla conferma (deduzione), ...), alcuni autori ne hanno evidenziate altre presenti nel ragionamento e nella soluzione di problemi, sia in laboratorio, sia in ambiti quotidiani naturali (Piattelli Palmarini, 1993, 1994; Nisbett, Ross, 1980; Kahnemann D., Slovic P., Tversky A.,1982; Tversky A., Kahneman D., 1973; Kahneman D., Tversky A., 1972; Boudon, 1994).La costruzione delle concettualizzazioni e teorie personali avviene dunque a partire dalla disponibilità e rappresentatività personale delle informazioni possedute, e quindi anche dalle variabili contestuali, ambientali e culturali del soggetto.Tuttavia, possono essere definite alcune strategie che sembrano essere comuni e fondamentali alla formazione dei concetti empirici, così come presentati in un esperimento. Lo studio di Bruner, Goodnow e Austin sull'argomento è uno dei lavori che sono considerati unanimemente come la data d'inizio della psicologia cognitivista: A Study of Thinking del 1956 (Bruner, Goodnow, Austin, 1956).Descriviamo brevemente un loro tipico esperimento.I soggetti dovevano formare per induzione concetti ad hoc come "due triangoli verdi". Essi ricevevano dapprima un esempio positivo del concetto; poi veniva presentata loro una serie di esempi tra i quali scegliere e, per ciascun esempio scelto, veniva detto loro se fosse o no un esempio del concetto. Il processo continuava così fino all'individuazione del concetto. Una strategia descritta da Bruner e collaboratori consiste nel tener presenti tutte le ipotesi compatibili con l'evidenza dei fatti, e scegliere gli esempi che eliminano il maggior numero di ipotesi possibile (esplorazione simultanea). Una strategia meno gravosa consiste nel considerare una singola ipotesi alla volta, sceglierne degli esempi positivi, e adottare una nuova ipotesi solo quando l'ipotesi corrente viene confutata (esplorazione successiva). Un'altra possibilità consiste nel partire dall'esempio positivo iniziale - ad esempio due triangoli grandi verdi con un bordo semplice - per poi scegliere esempi differenti per un singolo attributo (focalizzazione conservativa) o per più attributi (azzardo nella focalizzazione). Se il nuovo esempio appartiene anch'esso al concetto, allora gli attributi per i quali differisce dall'esempio iniziale sono irrilevanti. Se il nuovo esempio non appartiene al concetto, allora gli attributi mutati sono critici. In tal caso il ragionatore che si sia comportato in modo conservativo e abbia cambiato un solo attributo può concludere che la proprietà originale è parte della definizione del concetto; ma se il ragionatore ha provato a cambiare più di un attributo l'azzardo non è andato a buon fine, giacché è impossibile determinare quale delle proprietà cambiate sia critica.Queste strategie sono state ritenute valide in più studi sul pensiero, ma a patto che i concetti siano definiti in termini di una congiunzione di elementi comuni, e non in modo disguntivo. I concetti sono innati? Per rispondere a questa domanda, peraltro molto tradizionale, utilizziamo il campo di applicazione della linguistica. Dobbiamo principalmente definire in che modo i concetti siano definiti ai pensieri che hanno un contenuto proposizionale. Così facendo, evidenziamo la relazione svolta dalle parole in un enunciato. In un enunciato, ad esempio dichiarativo, le parole esprimono un pensiero di contenuto proposizionale che può essere vero o falso. I sintagmi nominali, in sostanza, rappresentano in un enunciato i concetti, ed essi posso avere delle condizioni (nel mondo) di soddisfazione, e le relazioni interne dell'enunciato sono regolate da specifiche relazioni. Perciò, il pensiero espresso proferendo un enunciato si basa sui concetti corrispondenti alle parole dell'enunciato e sul modo in cui queste parole si combinano grammaticalmente: i concetti corrispondono al significato delle parole.Se è possibile costruire il significato della frase componendo i sintagmi tra loro - un X più un Y più un Z è un W - allora è possibile anche che componendo più concetti si giunga ad un concetto nuovo.Infatti, ciò è proprio quello che avviene comunemente quando si acquisisce un nuovo concetto: il megafono, l'areostilo, la colpa, il diritto, ecc... , sono appunto esempi di concetti che si acquisiscono nel modo suddetto.Alcuni autori provenienti dalla logica matematica hanno sviluppato delle spiegazioni interessanti, la teoria delle funzioni ricorsive, su come da un certo numero di concetti principali è possibile derivare altri concetti senza fine (Alonzo Church, 1932; Boolos e Jeffrey, 1989; ): sebbene stimolante, anche per le suggestioni kantiane (oltre che computazionali), non è possibile in questa sede approfondire ulteriormente l'argomento (si veda comunque Dennett, 1987, 1990; Hoffschttader, 1979; Johnson Laird, 1988). Organizzazione concettuale Un individuo in grado di classificare oggetti può acquisire conoscenze circa le loro proprietà e i loro comportamenti e, sulla base di queste conoscenze, può fare predizioni al loro riguardo. L'individuo ha bisogno di costruire rappresentazioni di classi di entità così da poterle identificare, apprendere cose e fare inferenze su di esse. Il riconoscimento di oggetti artificiali, ad esempio, richiede spesso l'identificazione della loro possibile funzione.Sulla base di contributi celebri (Quine, 1960; Putnam, 1975; Wittgenstein, 1967; Dennett, 1987; Keil, 1991; Searle, 1990; Armstrong, 1983; Fodor, 1987; Johnson-Laird, 1983) possiamo riferirci a quella che, con i dovuti accordi, sarebbe la nostra ontologia della vita quotidiana (cioè i differenti generi di cose per cui vi sono concetti): entità, che sono cose discrete, sostanze, o unità numerabili; proprietà di entità; relazioni di entità.Questa visione (sintetica) contemporanea aggiusta alcune teorie sulla natura e sulla organizzazione dei concetti. Per prima cosa deve essere considerato il ruolo di elementi analitici, che hanno delle condizioni necessarie e sufficienti (ad esempio, i criteri per un triangolo). Un'altra correzione deve essere indirizzata alle teorie dei generi naturali che si basano, come sostenuto dalla Rosch, su tendenze centrali cioè il prototipo. Il problema sarebbe qui determinare come possono sorgere questi tipi di classificazioni, dato che non corrispondono, se non per approssimazione e per difetto ai casi naturali.A questi problemi ed interrogativi rispondono delle nuove teorie concettuali, che hanno dato prova di "tenere" al banco della sperimentazione. Una di queste teorie è quella di Miller e Johnson-Laird (1976), che riesce a conciliare le evidenze dei prototipi, con la esigenza di concetti analitici fondamentali.Secondo questi autori, i concetti si distinguono i tre principali categorie: i concetti analitici, che hanno condizioni necessarie e sufficienti, e che sono nozioni appartenenti a <<mondi chiusi>>, come le relazioni spaziali, o le relazioni di parentela; i concetti naturali, che dipendono dalla scienza per la loro scoperta, e dipendono anche dalle teorie quotidiane che ci costruiamo, e sono dunque incompleti e contengono valori per difetto; i concetti costruttivi, che hanno una base convenzionale o deontica, e possono variare da una cultura all'altra. Di conseguenza, queste categorie ontologiche, cioè entità, proprietà e relazioni formano la base della organizzazione della conoscenza. Spesso osserviamo che alcuni concetti non sono scomponibili in altri più semplici, ad esempio "quella gita a Cortina i primi di Giugno '92", altri invece si prestano maggiormente. Per rendere conto di questi casi, si è introdotta la nozione di "subconcetti": essi sono unità concettuali irriducibili che sono alla base delle rappresentazioni mentali. Sono questi gli elementi costitutivi necessari a formare pensieri - cioè proposozioni intorno a situazioni reali o immaginarie - e a costruire modelli che esplicitino esempi particolari di questi pensieri. Certi subconcetti soggiacciono alla costruzione dei modelli percettivi: sono i subconcetti di colori, forme e tessiture nel caso della visione, e i subconcetti di suoni, gusti e odori nel caso di altre modalità sensoriali (Miller, Johnson-Laird, 1976); altri subconcetti sono relativi a stati fisici ed emotivi - sono associati a condizioni interne dell'organismo; altri ancora - i subconcetti di possibilità, permissibbilità e intenzionalità (ad esempio) - sono relativi a condizioni mentali. I subconcetti si combinano per formare rappresentazioni proposizionali che possono essere usate da una varietà di procedure volte a costruire e manipolare modelli.I concetti di generi naturali e di oggetti artificiali sono costruzioni complesse basate, in parte, su subconcetti che specificano valori per difetto.In definitiva, i subconcetti sono parte della base innata del pensiero; sono analoghi alle operazioni primitive delle funzioni ricorsive (teoria già citata più sopra). Per proporre una metafora con il calcolatore, sono come l'insieme di istruzioni di base a disposizione dell'unità centrale di elaborazione, sono cioè cablate nella macchina, sono incorporate circuitalmente nell'unità centrale. Per continuare la metafora informatica, i concetti sarebbero come le istruzioni in linguaggio di programmazione, ad esempio, LISP o BASIC o altro, quando li si usa per pensare devono essere compilati nella forma di un linguaggio primitivo fondamentale, nella metafora le istruzioni proprie della unità centrale, nel pensiero sono i subconcetti. Vincoli dell'induzione L'induzione è la ricerca di un modello coerente con l'osservazione e le conoscenze di sfondo. Anche se l'induzione può avvenire con una sola operazione essa può implicare un esame di una gamma infinita di casi da implicare una esplosione combinatoria. Dunque, l'induzione deve essere contenuta da vincoli. In effetti, il pensiero induttivo presenta dei vincoli particolari: la specificità, la disponibilità, la parsimonia.La specificità è un potente vincolo dell'induzione. E' utile formarsi l'ipotesi che è soddisfatta dal minor numero possibile di esempi di un concetto. Questo vincolo è essenziale quando è possibile osservare solo esempi positivi del concetto; ad esempio nell'acquisizione di concetti, della fonologia, della sintassi, del lessico i bambini, come è stato più volte evidenziato (Berwick,1986; Reed, 88), seguono la regola del minor numero possibile di ipotesi. Il sistema induttivo inizia con l'ipotesi più specifica per poi passare ad una ipotesi più generale ogni volta che incontri un esempio positivo estraneo all'ipotesi corrente.La disponibilità è un altro vincolo generale dell'induzione; essa deriva dal meccanismo che permette il recupero delle conoscenze pertinenti. Certe informazioni vengono in mente più facilmente che non altre e la disponibilità delle informazioni, come si è detto più sopra, può distorcere il giudizio. La disponibilità è una sorta di distorsione, ma per far fronte all'intrattabilità dell'induzione quel che serve è appunto una distorsione.La parsimonia si riferisce al numero minore di concetti più semplice, cioè con un numero minore di combinazioni; è applicabile a domini dove la natura delle informazioni ha un carattere prevalentemente combinatorio.Una ulteriore fonte vincolante è l'uso delle conoscenze esistenti. Una ricca teoria sul dominio riduce il numero di induzioni possibili.L'induzione, che serve per interpretare il mondo, costruire un modello, migliorare le categorizzazioni rendendole più efficaci, e infine simulare i fenomeni, è soggetta a degli errori che sono simili agli errori presenti nei processi deduttivi. Come abbiamo già accennato parlando delle euristiche di ragionamento, i soggetti si rappresentano in mente le informazioni esplicite dei modelli, non tenendo i conti i valori negativi e quelli disgiuntivi, come dimostrato anche in laboratorio; dunque, il calcolo e il ragionamento basato su rappresentazioni deve ammettere un limite: l'uso di una parte della informazione, mentre l'altra (quella più ostica) viene ignorata, ma che è sempre disponibile per future eventuali correzioni. (Piattelli Palmarini, 93, 94; Dennett, 1990; Bruner et al., 1956).
Creatività Spesso i problemi sia nel mondo reale sia in laboratorio richiedono la emissione di un comportamento nuovo, un cambiamento nel modo di agire e di pensare.Tradizionalmente, si è sempre considerato il pensiero creativo come basato si 4 stadi principali: preparazione incubazione, illuminazione e verifica. In sostanza prima si eseguono alcune prove, e si catalogano alcune esperienze e considerazioni, poi tutto deve essere riconsiderato e riorganizzato, anche per avere qualche nuovo sviluppo e qualche dato emergente che permetta ulteriori passi; ciò è dovuto al fatto che la mole di idee e di dati sono difficili da trattare senza riorganizzazione e schematizzazione, solo poi possono emergere dati nascosti, difficili da cogliere a prima vista. In seguito si ha, nel caso positivo, l'idea chiave che porta al comportamento risolutorio. Infine, rimane il verificare se l'idea porta a buon fine. Se il lavoro di riorganizzazione è fatto finemente la verifica è spesso positiva.Vari autori, solo con trascurabili varianti, hanno seguito questa impostazione nello studio della creatività e della scoperta (Freud, 32; Wertheimer, 1945 ; Duncker, 1945 ; Koestler, 1964; Piaget, 68, 71 ; Mednick, 1962).Nonostante gli sforzi di vari ricercatori, poche teorie si impongono come interessanti e credibili, mentre altre sono più che altro folkloristiche e stravaganti. Un esempio, che deve essere però rivisto sotto una nuova luce è la teoria del pensiero "laterale": mentre uno è impegnato in un compito, il suo inconscio lavora per trovare una soluzione creativa allo stesso compito (!) (G. Wallas, 1926).Come vedremo più avanti alcuni criteri e alcune regole devono essere seguite per giungere ad una performance (qualsiasi processo intendiamo come esempio di creatività), anche se, come appunto vedremo, alcuni passi devono essere ancora fatti.Nella creatività ci sono restrizioni da soddisfare all'interno dei campi di applicazione, ed una performance che consista semplicemente di una serie di lontane associazioni sarebbe probabilmente giudicato folle piuttosto che creativo. Vale la pena ricordare che spesso questa considerazione viene ignorata, e dunque l'artista viene assimilato al folle, e viceversa (con le ovvie conseguenze di una completa riduzione del fenomeno al grottesco); inoltre, non è secondario ricordare che certe forme d'arte ricercano "ad arte" queste affinità, ad esempio i dadaisti.
Una definizione Cosa è un processo creativo? Per quanto difficile possa essere il dare una definizione di un processo così tradizionalmente sfumato e scivoloso, proviamo a definirne almeno il dominio. 1) Il processo creativo, come tutti i processi mentali, parte da alcuni elementi dati; infatti sarebbe inverosimile pensare a qualcosa che viene creato dal nulla. 2) Il processo non ha uno scopo preciso, ma soltanto alcune restrizioni preesistenti, e deve soddisfare alcuni criteri. 3) Un processo creativo fornisce un dato che è nuovo per l'individuo, non puramente ricordato o percepito, e non costruito a memoria o per mezzo di una semplice procedura deterministica. La creazione, infatti, richiede di più che il calcolo o l'imitazione.Bisogna, naturalmente, distinguere ciò che è creativo da ciò che originale; tale distinzione non sempre è considerata. Un processo mentale può essere creativo anche se altre persone hanno avuto, separatamente ed indipendentemente la stessa idea, mentre ciò che è originale dipende da criteri espressi in una data comunità sociale mediante criteri espliciti o impliciti.Mentre può essere definibile psicologicamente un processo creativo, la spiegazione psicologica di un processo originale è, per ora, fuori dalla portata di una spiegazione accettabile.Ci sono almeno tre possibili processi che, almeno dall'esame delle varie teorie, emergono come spiegazioni della creatività.Un primo processo prevede almeno due stadi: un primo stadio che genera possibili prodotti, idee, elementi; un secondo stadio invece fa uso di restrizioni che eliminano i prodotto non adatti. Questa teoria, che è il concentrato di un numero vasto di posizioni di diversi autori (vedi Johnson Laird, 90), somiglia notevolmente ad un processo evoluzionistico darwiniano. Questa architettura è estremamente inefficiente poiché genera prodotti che per la maggior parte di essi sono inadatti, in assenza di restrizioni che guidino la produzione iniziale delle idee. Questo processo ha bisogno di continui passaggi per giungere ad un prodotto ac4cettabile, ed inoltre sembra improbabile che si generino idee su una base totalmente combinatoria casuale senza una base di restrizione e di vincolo.Una seconda tipologia prevede ad un primo momento una serie di restrizioni di partenza per la generazione guidata di prodotti adatti; ma dato che la generazione di elementi è appunto guidata saranno quasi tutti plausibili anche se in numero esiguo in quanto filtrati dal criterio di base. La conoscenza ha guidato la generazione delle idee creando appunto in funzione dello specifico vincolo e restrizione. Se vi sono più prodotti la scelta sarà necessariamente arbitraria. Questo tipo di processo ricorda molto da vicino la teoria dell'evoluzione lamarckiana.Un terzo tipo di architettura di processo creativo prevede restrizioni nel momento della generazione delle idee come anche nella selezione. Si distingue dai precedenti in quanto tiene conto del dato che le idee anche se vengono generate sulla base di un criterio possono venire imperfette o incomplete; l'individuo le può valutare sulla base di nuovi criteri o ulteriori elaborazioni, e così sono continuamente riviste e rielaborate. La procedura è ricorsiva, e il prodotto generato è valutato, il quale viene ricombinato per poi essere rivalutato, e così via.Questo tipo di processo creativo è definito da una architettura "multistadio" (Johnson-Laird, 1988).Una considerazione necessaria è la seguente: come mai gli esseri umani sono più disposti e più propensi a giudicare i prodotti che invece a generarli? Molte ricerche (vedi Reed, 1988) hanno evidenziato che gli individui elaborano queste due performance in due modalità diverse, l'una sotto il controllo cosciente, proposizionale, sulla base di criteri (anche espliciti), mentre l'altra, cioè la generazione, sia sotto il controllo di "moduli" non accessibili ad esplicite rappresentazioni (processi automatici, procedurali, taciti) (Tulving et al., 73; Polany, 66; Dennett, 87, 90; Fodor, 87 ; Humphrey, 1983)( vedere oltre, sull'Immaginazione).
La creatività artistica e la creatività scientifica Alcuni autori (Dunker, 1945; Thagart, Holyoak, 1985) definiscono l'uso dell'analogia come uno degli ingredienti presenti in un processo creativo. L'analogia, in questo caso, stabilirebbe delle corrispondenze da un dominio ad un altro, ad esempio per meglio rappresentarlo e favorire la riorganizzazione e rielaborazione.L'analogia ha la funzione di disporre di un modello, che sia gestibile del soggetto, che sia sufficientemente familiare, che sia applicabile con una certa plasticità a diversi domini. La differenza tra uso scientifico e uso artistico del pensiero creativo potrebbe consistere nell'importanza assegnata al criterio di accettabilità della performance agli scopi prefissi, che nel caso della scoperta scientifica sono verificabili in quanto risolvono un problema (criterio di utilità), nel caso invece della creazione artistica il criterio è per definizione diverso (criterio estetico). Il peso del criterio di accettabilità può essere più rigido e selettivo nella scoperta scientifica dove dopo una fase di generazione selezione le possibilità in base al utilità che ne deriva; nella creazione artistica invece il criterio di accettabilità può essere più o meno variabile, e al limite anche largo ed accogliente in quanto il criterio si basa su standard socioculturali definiti in un momento storico piuttosto che in un altro. In entrambi i casi è comunque importante il giudizio della comunità di appartenenza o di riferimento che può premiare o rifiutare la performance sia in base alla sua utilità sia in base al suo stile estetico.
Pensiero immaginativo Il pensiero immaginativo implica una modalità che si discosta dal pensiero proposizionale deterministico, come ad esempio la deduzione, e somiglia per certi versi al pensiero creativo per i prodotti non convenzionali di questo processo.Il pensiero immaginativo può includere in genere vari tipi di pensiero: l'immaginazione, le fantasticherie, il sogno.Nell'immaginazione il soggetto manipola i modelli rappresentativi delle proprie conoscenze, percettive, verbali, concettuali. La modificazione delle rappresentazioni avviene in modo relativamente libero, sebbene non completamente. L'influenza di altre funzioni mentali, come l'attenzione, la vigilanza, la coscienza, l'intenzionalità, la memoria, influenzano grandemente i prodotti della immaginazione. Spesso ciascuno di noi può trovarsi a pensare in modo libero ad una varietà di argomenti e situazioni, passando da una idea all'altra velocemente e liberamente: in tali casi le idee richiamano altre idee le quali ancora si collegano ad altre informazioni della nostra conoscenza. Le informazioni contenute nel pensiero immaginativo sono informazioni possedute nella MLT, e in alcuni casi con il contributo "on line" di informazionie stimoli in arrivo dai sistemi sensoriali. Ciò che è caratteristico del pensiero immaginativo è la rielaborazione di tali informazioni. Molti autori, da sempre, hanno sottolineato il concetto di "associazione tra idee", e in base a tale costrutto si è descritta l'immaginazione come caratterizzata da una "scarsa forza direzionale" (senza uno scopo). Le associazioni di idee descrivono il processo di collegamento tra informazioni nella memoria, e sono appunto influenzate dalle reti di organizzazione di tale funzione mentale (vedi capitolo sulla memoria).Nella fantasticheria il soggetto sembra essere più "svincolato" da una pianificazione e da uno scopo che comunque appartiene all'immaginazione.La fantasticheria permette all'individuo di accedere ad una attività non deterministica, non pianificata, che sembra essere sotto il controllo di "moduli" non intenzionali e di livello inferiore nella organizzazione del sistema cognitivo (Fodor, 1983; 1987; Dennett, 1987; 1990; Johnson-Laird, 1990; 1988; 1983). Tutti noi conosciamo l'attività del "sognare ad occhi aperti" la quale è intenzionale nel senso dell'accesso ad essa, anche se però con un certo allenamento (mental imagery), ma è non intenzionale nei suoi prodotti. Ma di quali informazioni è composta l'attività del fantasticare? Anche essa è composta da materiale informazionale contenuto nella MLT, ed eventualmente dei dati in entrata, ma le elaborazioni nella rappresentazione, che può essere molto vivida per tutti i sistemi sensoriali (maggiormente per il sistema visivo ed acustico), sono la caratteristica più spiccatamente decisiva e saliente. In alcuni soggetti tale attività è predominante, e le influenze delle altre attività e funzioni mentali sono peculiari. In soggetti che fantasticano facilmente, soggetti che "sognano ad occhi aperti", le misurazioni di parametri elettroencefalografici e le attività metaboliche cerebrali sono caratterizzate da un profilo che sembra indicare che tali soggetti siano "predisposti" ad un accesso e ad una attivazione di moduli in modo più elevato rispetto alla norma (Kosslyn, 1987, 1983; Joliecoeur P., Gluch M., KosslynS.M., 1984; Greenberg, Farah, 1986; Epstein, 1979; Cutting, 90; David, Cutting, 93; Frith, 93). Anche i risultati degli studi neuropsicologici depongono fortemente a favore di una localizzazione delle attività immaginative, in modo più deciso per le fantasticherie. Gli studi sulla specializzazione emisferica cerebrale individuano alcune aree dei lobi temporali sinistri come responsabili (nel deficit o nella iperstimolazione) della assenza o presenza dell'attività del fantasticare (Cutting, 85, 90, ; Epstein, 1979; ). Inoltre, alcune ricerche hanno correlato in un modo impressionante l'attività delle fantasticherie, quando sono spiccate, con alcuni parametri biometrici (EEG, SCL, PET, Movimenti Oculari di Inseguimento), alla attività allucinatoria, sia visiva sia uditiva (Magaro, 80; Bentall et al., 91). Molti tentativi sperimentali sono tuttora in corso, con soggetti schizofrenici, tendenti alla modificazione assistita (dal Biofeedback) dei suddetti parametri e quindi dei sintomi allucinatori .Anche nell'attività onirica l'attività del pensiero è guidata da organizzazioni modulari non intenzionali della conoscenza. Il sogno, sebbene composto di materiale derivante dalla MLT, e dai sistemi sensoriali che sono però fortemente attenuati dall'attività inibitoria centrale, è quasi-combinatorio nel modo di trattare gli elementi "sub-concettuali" del pensiero, come pure le informazioni immagazzinate nella MLT.Spesso, il sogno riflette, anche se in modo peculiare, l'attività pianificata del pensiero intenzionale dell'attività cosciente, ciò dimostra la rielaborazione di grandi quanità di informazioni che sono trattate, e che sono rappresentate così come sono state generate (certamente in modo non proprio uguale); inoltre, si può notare come le informazioni contenute nei sogni siano informazioni organizzate "per difetto", disponibili alla modificazione e rielaborazione, così da essere in continuo mutamento e in continua connessione con altri elementi.I sogni, infatti, a volte evidenziano e rappresentano possibilità del tutto nuove.
Problem Solving I problemi sono o situazioni nuove che richiedono comportamenti nuovi o situazioni per cui non si hanno soluzioni soddisfacenti.Quando non possiamo rispondere ad una domanda usando la nostra informazione contenuta nella memoria, o quando non possiamo comportarci in una situazione come abbiamo fatto l'ultima volta o si solito, allora siamo di fronte ad un problema.Alcuni problemi sono difficili da risolvere perché "ci mettono", o ci mettiamo da soli, su una pista sbagliata. Quando ciò succede si dice comunemente che vi è una impostazione negativa. Altri problemi, invece, sono difficili perché richiedono una impostazione molto poco probabile nella media dei ragionatori, e per cui è necessario comporre i dati in modo insolito e creativo (vedremo più avanti).
Pensiero produttivo Come già accennato, in alcuni problemi può aversi una organizzazione dei dati, e una loro rappresentazione, non utile e non adeguata alla soluzione di un problema; altre volte, le tante soluzioni che vengono con più facilità non sono sbagliate in modo assoluto, ma sono le più sconvenienti: la soluzione più efficace può essere quella più insolita.Sulla base di queste osservazioni alcuni psicologi gestaltisti (la corrente della psicologia della Gestalt) nella prima metà del secolo hanno studiato a fondo il fenomeno della organizzazione dei dati in relazione al comportamento risolutorio, ed alcuni di essi fra cui il caposcuola Max Wertheimer, e un suo assistente Karl Duncker, hanno coniato il termine di pensiero produttivo. Esso sottintende la prestazione positiva del pensiero nella soluzione di un problema. Lo studio di questo processo (per alcuni, una tendenza) ha infatti evidenziato alcuni tipici stadi o passaggi necessari affinché la prestazione risulti efficace.In numerosi, e ormai celebri, esperimenti questi psicologi hanno focalizzato finemente le "riorganizzazioni di campo" e le variazioni di composizione delle informazioni a disposizione necessarie alla risoluzione finale.In particolare, Duncker ha sottolineato che la maggior parte degli errori nella risoluzione è determinata proprio dalla incapacità, e a volte dalla comune difficoltà, di mutare atteggiamento valutativo e invece conservare un uso familiare e consueto, anche se errato, delle informazioni; questo comune processo inefficace alla risoluzione è chiamato fissità funzionale (Duncker, 1945). E' fin troppo evidente come questi processi del pensiero che conducono all'errore o al comportamento disadattivo siano il contributo dei processi deduttivi usati in modo scorretto e massivo; anche se da una parte economizzano nel tempo e nello sforzo risolutorio (euristiche), essi distorcono ed eliminano dalla rappresentazione elementi utili ad una diversa e nuova organizzazione (accomodamento-induzione). (vedere capitolo sull'Intelligenza, il paragrafo sul rapporto tra problem solving ed intelligenza).
Che relazione c'è tra la comprensione linguistica e soluzione dei problemi? Molti autori definiscono la situazione problemica come un ostacolo che l'organismo, l'individuo, l'agente devono superare per raggiungere una meta che è ritenuta importante.L'analisi del linguaggio e l'analisi dei problemi possono, in certi casi, essere collegate. Nei casi nel cui ambito si può parlare di soluzione intelligente di problemi è utile rilevare che un problema sorge, come ha affermato Kanitza, quando <<un essere vivente, motivato a raggiungere una meta, non può farlo in forma automatica o meccanica, cioè mediante un'attività istintiva o attraverso un comportamento appreso. L'esistenza di una motivazione e la presenza, nella situazione problemica, di un impedimento che non permette l'azione diretta, creano uno stato di squilibrio e di tensione nel campo cognitivo dell'individuo>> (cit. in Girotto, 94). Per ristabilire quest'equilibrio, cioè risolvere il problema, il soggetto può andare per prove ed errori, per tentativi casuali, provando varie forme di comportamento, e trovare a caso la via adeguata per passare alla situazione insoddisfacente a quella perseguita; il soggetto, però, può anche mettersi a pensare e pervenire alla soluzione mediante un "atto" intelligente. Date queste premesse, possiamo senz'altro affermare che la forma linguistica posseduta dal "problema" influenza e governa le modalità accessibili di soluzione (ad esempio le soluzioni influenzate dalle versioni pseudo-parallele del testo problemico).In senso generale questo stretto rapporto tra linguaggio naturale, discorso, e risoluzione dei problemi non deve affatto stupire, essendo il discorso un processo vicino alla attività di pensiero e ragionamento. Il fatto stesso che nella vita quotidiana usiamo espressioni del tipo "pensa bene prima di parlare" ci indica che il discorso sia la modalità più complessa ed articolata di espressione del pensiero, ed è classicamente caratterizzato da quella consequenzialità ed unitarietà che è tipica del fluire delle nostre idee e del nostro ragionamento in un contesto naturale. Inoltre, l'analisi d'insieme di dati di un problema tipicamente si snoda in forma di "discorso", in un senso linguistico stretto (dando risalto alle sequenze di elementi e alle relazioni tra questi elementi).Sebbene i meccanismi cognitivi della comprensione del linguaggio e quelli del pensiero produttivo o del problem solving siano simili (o identici), esiste una interessante relazione tra forma linguistica e risoluzione dei problemi. In sostanza, con l'uso delle "versioni parallele" vari ricercatori hanno verificato che la forma espressa dal testo problemico influenza notevolmente il comportamento risolutorio. E' una variabile stilistica, propria del mezzo, o è una variabile intellettiva-cognitiva mascherata linguisticamente? Sembra che la forma di certe frasi sia più complicata e più "ambigua" da elaborare rispetto ad altre.In generale, possiamo definire il comportamento risolutorio come quella condotta o quell'atto cognitivo teso al raggiungimento di una meta che è rilevante per il soggetto.Anche se c'è una notevole differenza tra la comprensione del linguaggio e il problem solving, le due cose però si avvicinano nell'attività di comprensione dei problemi perché l'enunciato o la prescrizione devono essere prima di tutto interpretare, il che viene fatto ponendo questi elementi in relazione con il contenuto della Memoria a Lungo Termine.I problemi matematici danno una semplice idea di questo. Essi consistono in un confronto di semplici configurazioni, almeno negli adulti, dove la risposta al problema è parte costitutiva di questa configurazione.A parte i casi di memoria prodigiosa, dove viene recuperata, e quindi mantenuta, l'intera configurazione d'insieme del problema, solitamente quello che si fa è il confronto tra schemi e configurazioni e l'uso di procedure per trattare di volta in volta i casi.In operazioni complesse, la configurazione è piuttosto complessa, ed è costituita dai termini del problema, ai quali si applicano le procedure che sono anch'esse parte della configurazione generale d'insieme.Quando si giunge alla applicazione di queste regole e procedure (addizione, sottrazione, incolonnamento, riporto, altre regole, ....) il problema è stato già rappresentato su una struttura appropriata di conoscenza.Vari ricercatori hanno messo in luce che quanto più efficaci si è nel risolvere problemi (di vario tipo) tanto più è stata di aiuto una buona rappresentazione del problema.Un problema viene compreso, e quindi risolto, sulla base di ciò su cui è rappresentato (modello), anche se questo limita la possibilità di altre rappresentazioni.In sostanza, ci si può rendere conto che i nuovi input vengono interpretati sulla base dei termini delle vecchie strutture della memoria.Inoltre, gli stessi termini possono, e solitamente lo sono, essere collegati a patterns emotivi, schemi di significato con contenuti specifici aventi un determinato scopo funzionale; quando un termine evoca qualcuno di questi schemi il soggetto può attivare il proprio repertorio cognitivo-emotivo-comportamentale nella direzione specifica indicata da quello schema interpretativo (Alford, Beck, 1997; Dell’Erba 1993b; 1992). Gli stessi tratti di personalità possono agire come schemi di significato influenzando il processo attribuzionale e valutativo nella direzione coerente con i propri scopi importanti (Alford, Beck, 1997; Dell’Erba, 1993a; Miceli, Castelfranchi, 1993).
Decisione e Giudizio I problemi che abbiamo discusso finora implicano delle certezze, e riguardano situazione nelle quali vi sono informazioni sufficienti per trovare la soluzione; solitamente vi è una sola risposta giusta, tutto è trovarla.Nella vita quotidiana invece incontriamo situazioni problematiche le quali richiedono una presa di decisione in condizioni di incertezza. Non abbiamo una sola risposta esatta, e le informazioni non sono complete. L'informazione è invece probabilistica, e le decisioni che prendiamo sono in realtà delle scommesse sul futuro. Quanto siamo abili a prendere tali decisioni?Prendere delle decisioni di solito richiede la valutazione di almeno due alternative che differiscono rispetto a diversi attributi. La selezione di un alternativa richiede che il decisore combini l'informazione presente sui vari attributi per formare una valutazione complessiva per ciascuna alternativa. Lo studio di come le persone ricercano l'informazione fornisce evidenza riguardo alle strategie decisionali.Alcuni studiosi del settore hanno definito dei modelli decisionali e ne hanno formalizzato le caratteristiche.Un primo modello, detto compensatorio, tiene conto della somma degli attributi positivi e negativi delle due alternative (detto anche modello dei pro e contro). Un altro modello compensatorio, delle differenze, calcola la differenza tra l'una e l'altra delle alternative. I due modelli sono diversi in quanto a procedura: mentre l'uno esamina esaustivamente una alternativa prima di passare all'altra, invece il secondo esamina ogni singolo attributo nelle due alternative contemporaneamente (uno procede per alternative, l'altro per attributi).Vi sono poi i modelli di tipo non compensatorio che considerano la procedura detta eliminazione per aspetti: questo metodo esamina la lista di attributi secondo un criterio restrittivo , e al primo aspetto negativo elimina l'intera alternativa. In questa procedura, vengono eliminate gradualmente le alternative meno gradevoli, e non richiede di effettuare alcun calcolo ed è molto veloce, però se c'è da accontentarsi tra una lista di alternative di basso livello tutto il peso grava sul criterio che deve essere ben calibrato; il rischio è di scartare tutte le alternative e rimanere senza nessuna scelta, anche se di bassa qualità.Le ricerche sulla selezione delle strategie decisionali dimostrano che essa dipende dalle caratteristiche del compito. Comunque, gli studi sui processi decisionali di decisori sperimentali, sia artificiali sia naturali, hanno indicato che ad esempio le importanti decisioni richiedono una certa complessa strategia analitica a) se la decisione è importante, b) se la decisione non può essere modificata, c) se essi sono personalmente responsabili per la decisione presa (Beach, Mitchell, 1978; McAllister, Beach, Mitchell, 1979).La decisione in condizioni di rischio si riferisce alle situazioni di incertezza - per esempio, la valutazione del potenziale pericolo di un reattore nucleare, l'acquisto di un'assicurazione, la diagnosi di malattie. Per prendere buone decisioni è necessario stimare accuratamente le probabilità. Le stime di probabilità sono prese dagli umani sulla base di euristiche, che sebbene veloci, non sempre garantiscono delle stime ragionevoli (Tversky e Kahneman, 1973; 1986). La disponibilità e la rappresentatività sono due tipi di euristiche comuni. In base all'euristica della disponibilità, le persone valutano la probabilità di un evento giudicando la facilità con cui riescono a ricordarsi i casi in cui si è verificato. In base all'euristica della rappresentatività, la probabilità di un evento è stimata in funzione del grado di somiglianza con le proprietà essenziali della popolazione cui appartiene Kahneman e Tversky, 1973; Nisbett e Ross, 1980; Piattelli Palmarini, 1993, 94; Rumiati, 90).Vi sono anche altri modelli della presa di decisione che fanno uso di procedimento di analisi più sofisticato e matematicamente assistiti, ma che in questa sede non ci riguardano da vicino: il modello della stima del valore atteso, e quello della utilità attesa; in quanto non riflettono i processi di pensiero umano ma sono procedura di assistenza alla decisione, decidiamo di non trattarle.Ulteriori indicazioni modellistiche provengono dalle teorie della detenzione del segnale secondo le quali le probabilità associate a due eventi distinti sono valutate sulla base delle stima di frequenza positive e sulle stime di errore in due curve gaussiane confinanti; dalla stima associata si potrebbe derivare, almeno teoricamente, i casi veri-positivi, falsi positivi, veri-negativi, falsi-negativi. Questo modello descriverebbe l'apporto delle conoscenze di base nel confronto con l'apporto delle informazioni nuove; inoltre, esprimerebbe il rischio del soggetto di decidere, ad esempio riconoscendo un segnale nuovo piuttosto che noto o viceversa, seguendo un processo induttivo o dedutivo. Il risultato delle scelte dei soggetti, come vedremo più avanti, è spesso coerente con la propria personalità e organizzazione più stabile delle conoscenze.
Euristiche per la diagnosi guidata Ricordiamo brevemente alcuni suggerimenti tratti dalle celebri ricerche di Elstein (1978; 1979) sull'uso di euristiche di decisione e di giudizio nella pratica diagnostica in attività cliniche. 1) Generazione di ipotesi alternative. a) Molteplici ipotesi in competizione tra loro. Il pensare a diverse possibilità diagnostiche compatibili con i principali sintomi dichiarati e con i risultati preliminari. Il non fare diagnosi affrettate. b) Probabilità. Il considerare per prima cosa le diagnosi più comuni. c) Utilità. Il considerare con attenzione quelle diagnosi per le quali sono disponibili terapie efficaci e quelle in cui un mancato trattamento costituirebbe una seria omissione. 2) Acquisizione dei dati. d) Controllo pianificato. Il costruire un piano ragionato per il controllo delle ipotesi, in grado di considerare le probabilità e le utilità in gioco. Il definire una sequenza di esami di laboratorio alla scopo di controllare per prima cosa le malattie più comuni (probabilità) e successivamente le malattie che più hanno bisogno di trattamento (utilità). e) Visita del paziente. L'esame fisico del paziente dovrebbe utilizzare procedure gerarchiche, in modo da rendere superflui esami eccessivamente dettagliati. f) Calcolo costi/benefici. Il considerare gli effetti collaterali di un esame e il costo. Il confrontare tutto ciò con l'informazione che ne potrebbe essere ricavata. g) Precisione. Il cercare di ottenere dal test un grado di precisione proporzionato all'importanza della decisione. Un grado di precisione maggiore non è necessario. 3) Combinazione dei dati e selezione dell'azione. h) Evidenza disconfermatoria. Il cercare e il valutare l'evidenza che tende a falsificare qualsiasi ipotesi così come quella che tende a confermarla. i) Diagnosi multiple. Il non dimenticare la possibilità che un paziente con diversi malesseri possa avere più di una malattia. j) Revisione delle probabilità. Il rivedere le probabilità dopo avere acquisito i dati. Se i risultati mostrano come più probabile la diagnosi A rispetto alla diagnosi B, il rivedere la propria opinione a favore di A. k) Probabilità e utilità. Una volta intrapresa una terapia, il considerare sia la probabilità delle diagnosi per cui quella terapia è appropriata sia i costi e benefici che ne seguirebbero. Il combinare queste due considerazioni per stimare il valore atteso e lo scegliere in maniera tale da massimizzare il valore atteso. Tali suggerimenti sono il risultato di un tentativo di integrazione delle intuizioni derivate dai modelli normativi della decisione con quelle derivate dai modelli cognitivi, al fine di definire uno strumento pratico.
Distorsioni valutative e di giudizio Vari autori hanno osservato tipici errori logici o distorsioni nel giudizio e nelle valutazioni che si riscontrano in soggetti che soffrono di disturbi mentali.Questi errori possono condurre gli individui a conclusioni errate anche se la loro percezione dalla situazione è accurata. Se, invece, la situazione è percepita erroneamente, queste distorsioni valutative possono amplificarne l'impatto.Tali distorsioni di pensiero sono il risultato della applicazione inefficace e impropria di euristiche di giudizio e valutazione che discendono da un uso massivo e disfunzionale di processi di tipo deduttivo (schema theories, top-down biases). Alcuni autori ricollegano le distorsioni di giudizio al difettoso sviluppo del pensiero maturo e logico-formale dell'adulto evidenziando le distorsioni comuni nel bambino "egocentrato" (Rosen, 1989; Piaget, 1968). Tali distorsioni, a ben considerare, non sono distanti dai meccanismi presenti nelle euristiche di ragionamento; il loro scopo è, evidentemente, di risolvere "in fretta" una certa situazione (pratica, affettiva, interpersonale) senza modificare la conoscenza di base posseduta. Queste modalità di pensiero, di ragionamento e giudizio, rilevanti per la psicopatologia, sono peraltro comuni ed utilizzati nel ragionamento quotidiano quando le condizioni di tempo e di complessità lo richiedono. Semplificare e accellerare sempre e comunque, non può essere sempre una soluzione razionale.Sono elencate alcune comuni distorsioni valutative, in parte tratte dai lavori di autori come Beck (1976), Ellis (1994), Piaget (1971), Kohlberg (1984), Kelly (1955). Pensiero dicotomico: Le cose sono viste in termini di categorie mutualmente escludentisi senza gradi intermedi. Ad esempio, una situazione o è un successo oppure è un fallimento; se una situazione non è proprio perfetta allora è un completo fallimento. Ipergeneralizzazione: Uno specifico evento è visto come essere caratteristica di vita in generale piuttosto che come essere un evento tra tanti. Ad esempio, concludere che avendo qualcuno mostrato un atteggiamento sconsiderato in una occasione, non considerare le altre situazioni in cui ha avuto atteggiamenti più opportuni. Astrazione selettiva: Un aspetto di una situazione complessa è il focus dell'attenzione, ed altri aspetti rilevanti della situazione sono ignorati. Ad esempio, focalizzare un commento negativo in un giudizio sul proprio lavoro trascurando altri commenti positivi. Squalificazione del lato positivo: Le esperienze positive che sono in contrasto con la visione negativa sono trascurate sostenendo che non contano. Ad esempio, non credere ai commenti positivi degli amici e colleghi dubitando che dicano ciò solo per gentilezza. Lettura del pensiero: Le persono sostengono che altri individui stanno reagendo negativamente senza alcuna prova evidente di ciò che affermano. Ad esempio, affermare di sapere che l'altro pensa di sé negativamente anche contro la rassicurazione di quest'ultimo. Riferimento al destino: L'individuo reagisce come se le proprie aspettative negative sugli eventi futuri siano fatti stabiliti. Ad esempio, il pensare che qualcuno lo abbandonerà e che lo sa già, e agire come se ciò fosse vero. Catastrofizzazione: Gli eventi negativi che possono capitare sono trattati come intollerabili catastrofi piuttosto che essere visti nella giusta prospettiva. Ad esempio, il disperarsi dopo un brutta figura come se fosse una catastrofe terribile e non come una situazione semplicemente imbarazzante e spiacevole. Minimizzazione: Le esperienze e le situazioni positive sono trattate come reali ma insignificanti. Ad esempio, il pensare che in una cosa si è positivi ma che essa non conta in confronto ad un'altra più importante. Ragionamento emotivo: Considerare le reazioni emotive come reazioni strettamente attendibili della situazione reale. Ad esempio, decidere che siccome ci si sente sfiduciati, la situazione è senza speranza. Doverizzazioni: L'uso di "dovrei", "devo", "bisogna", si deve", ecc... per assicurare la necessaria motivazione e controllo al comportamento. Ad esempio, il pensare che un amico deve stimarci, perchè bisogna stimare gli amici. Etichettamento: Attaccare una etichetta globale a qualcuno piuttosto che riferirsi a specifici eventi o azioni definite a specifici settori o nel tempo. Ad esempio, il pensare che si è un fallimento piuttosto che si è inadatti a fare una certa cosa. Personalizzazione: Assumere che uno è la causa di un particolare evento quando nei fatti, sono responsabili altri fattori. Ad esempio, considerare che una momentanea assenza di amicizie è il riflesso della propria inadeguatezza piuttosto che un caso. Tali errori di giudizio derivano, come già evidenziato, sia da studi sperimentali che da evidenze cliniche (Miceli M., Castelfranchi, C., 1995; Piattelli Palmarini M. 1993,1994; Leahy R., 1996; Boudon R., 1994; Elster J., 1979; Nisbett R.E., Ross L., 1980; Rumiati R., 1990; Kahnemann D., Slovic P., Tversky A., 1982; Mancini F., 1996; Rosen H., 1993; Ingram R.E., 1986; Magaro P.A., 1981; Fowler D., Garety P., Kuipers E., 1995).
Elaborazione dell'informazione e psicopatologia del pensiero. Livelli di elaborazione nella schizofrenia Già da una ventina d'anni alcune ricerche sottolineano l'importanza dello studio del livello di elaborazione dell'informazione ai fini di una migliore descrizione dei disturbi del pensiero, o in generale di un maggior contributo alla comprensione della psicopatologia.L'influenza della flusso informativo si applica sia verso l'alto (bottom-up) sia verso il basso (top-down). Quando l'influenza dei dati si manifesta in modo massivo con una scarsa possibilità di regolazione correttiva allora il risultato del processo del pensiero sarà distorto, e con una certa probabilità anche disadattivo.Varie ricerche (Magaro, 1980; 1984; 1986; Frith, 1994) hanno evidenziato le differenze nel flusso di elaborazione e quindi nel tipo di pensiero che caratterizza due sottotipi della schizofrenia, quella "paranoide" e quella "non paranoide". Nella prima il processo sarebbe massivamente deduttivo, con tutte le caratteristiche già descritte; nella schizofrenia non paranoide invece vi sarebbe una elaborazione prevalentemente induttiva. Quindi, mentre la prima conduce verso una conoscenza già posseduta (assimilazione) e verso una tendenza alla conferma, la seconda conduce verso una tendenza al mutamento e alla disorganizzazione (accomodamento), e quindi all'impatto dei dati sul sistema conoscitivo, così tipico dell'"inondamento" sensoriale della schizofrenia.
Pensiero veloce e pensiero rallentato Alcune ricerche hanno approfondito l'aspetto "motorio" del pensiero (Weimar, 77; Magaro, 80; 81) (da altri autori definito come aspetto "energetico" del pensiero, ad esempio...). Questi studi descrivono le interazioni tra modificazioni biologiche, attraverso l'uso di sostanze, la somministrazione di farmaci, la osservazione di pazienti con determinate performance, e gli studi condotti con rilevazioni biometriche (Cutting, 85; 90; David, Cutting, 93; Frith, 92). Si è evidenziato che i soggetti che presentano performance definite come tachipsichismo, logorrea, distraibilità, accellerazione del pensiero, velocità associativa, "giochi di parole", associazioni non convenzionali, sono correlate alla iperattività dopaminergica (Cutting, 1985, 1990; Bentall et al, 1991; Owen et al, 1978; 1985). Mentre performance quali il rallentamento psicomotorio, il blocco delle idee, la scarsa fluidità verbale (non dovuta a deficit nell'area di Broca), la tendenza alla chiusura, il ritiro, sono correlate alla ipoattività dopaminergica, e alla iperattività serotoninergica (Owen et al., 1978, Beitman, Kelrman, 1984). Alcuni ricercatori (Cutting, 1985; Frith, 1987, 1992) hanno definito la presenza di una iper- o ipoattività dopaminergica come una variabile lungo un continuum che descriverebbe i casi suddetti.Altri neuropsicologi (Frith, 1992; Cutting, 1990; David, Cutting, 1993) hanno invece evidenziato, attraverso lo studio dei pazienti cerebrolesi, la dipendenza della velocità del pensiero dalla zone della lesione: ciò che si rileva è un interessamento dell'emisfero sinistro nelle zone di Broca e di Wernicke; dunque, ci sarebbe una corrispondenza tra i disturbi afasici (comprensione e scarsa fluenza verbale, cioè Afasia di Broca come opposta a scarsa comprensione e logorrea, cioè Afasia di Wernicke).Questi risultati spiegherebbero la tradizionale associazione tra disturbi produttivi (schizofrenici, maniacali, e simili) e "creatività" di tipo artistico ed inventivo. In sostanza, la produttività accellerata nella generazione delle idee, e la continua combinazione degli elementi subconcettuali determinerebbe la "materia prima" delle produzioni non comuni, peculiari, e divergenti comuni nei disturbi del pensiero, senza quindi giovarsi della funzione di selezione e ricombinazione operata della pianificazione rispetto ai criteri (artistici, scientifici, ecc.).
Sistemi di elaborazione e psicopatologia Numerose ricerche, sia nel campo della psicologia del pensiero che nel settore della neuropsicologia, sia mediante l'armamentario sperimentale psicologico sia mediante strumentazione neurologica per immagini (PET, EEG mapping), hanno evidenziato una relazione tra tipologie di pensiero e specifiche funzioni cerebrali o moduli. Anche limitatamente allo studio "funzionale" del pensiero non può essere negata le presenza di almeno due sistemi diversi di elaborare le informazioni. Dagli studi esaminati (Kosslyn, 1987; Mosher, 1985; Magaro, 1980, 1981; Bentall et al, 1991; David, Cutting, 1993) si rileva che due sistemi governano alcune funzioni del pensiero; funzioni che possono estendersi dal puro ragionamento logico al riconoscimento di stimoli. I due sistemi sono denominati "What System" e "Where System" a seconda della modalità del proprio funzionamento tipico. Il primo, "What System", è caratterizzato dalla elaborazione in funzione del "che cosa" è rilevante, mentre il secondo elabora in funzione del "dove", cioè del frame, sia esso logico o pragmatico.Il What System è definito dalle caratteristiche seguenti: - modo categoriale - deduttivo - relazioni proposizionali - regole logico-sintattiche - iper-linguismo - letteralità - modo associativo Il modulo specifico indentificato è stato chiamato "speech-controller" (controllore linguistico) proprio per la sua principale caratteristica operativa. Le sue basi neurali sono state individuate nella zona definita come Sistema Ventrale nell'emisfero sinistro del cervello.Il Where System è definito dalle seguenti caratteristiche: - relazioni spaziali - identificazione come unità - applicazione per difetto - ricerca coordinate esterne - pragmatica - uso contestuale linguaggio - illusione di familiarità Il modulo indicato è stato chiamato "search-controller" (controllore di ricerca) per le sue caratteristiche specifiche di funzionamento. Le sue basi neurali sono individuate nel Sistema Dorsale nell'emisfero destro.Ora, è immediato collegare il fatto che una correlazione tra modalità di funzionamento e stile di pensiero e locus cerebrale può rendere conto di una larga serie di fenomeni psicopatologici sia a livello descrittivo sia a livello causale; naturalmente, il debito continuo riscontro è obbligato, ma le recenti ricerche nel settore sembrano confermare la relazione tra funzionamento locale cerebrale (con i propri meccanismi di regolazione e disfunzione) e modalità specifiche di funzionamento del pensiero.Un esempio di specificità del funzionamento del pensiero, anche se non sovrapponibile alle precedenti distinzioni, è quello indicante le caratteristiche di modalità di funzionamento in senso deduttivo o induttivo con un forte accento nell'uno o nell'altro senso attinente al "flusso dello stimolo". Una schematizzazione può essere la seguente: caratteristiche iper-induttive: - incoerenza - depersonalizzazione - derealizzazione - illogicità caratteristiche iper-deduttive: - egocentrismo - rigidità - ostinazione - distorsioni cognitive - delirio Tale distinzione, forse estrema, rende comprensibili molti degli errori e distorsioni del pensiero, e indica distinzioni di modalità di pensiero utili allo studio differenziale dei vari quadri psicopatologici, considerati almeno per questa principale funzione della mente.
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