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I
PARADOSSI DELLA DROGA
UNA
INDAGINE PSICO-ANTROPOLOGICA
Filippo
Sciacca
Psicologo,
Psicoterapeuta presso l'AUSL n° 1 - Agrigento
RIASSUNTO
La
cultura è un sistema complesso - che include le regole scritte e non scritte,
le usanze, le forme organizzative, la religione, l'arte appartenenti ad un
popolo - che determina nei singoli individui la costruzione della loro visione
della realtà e ne regola il loro comportamento appreso. Molti processi
psicologici importanti dipendono dalla interazione fra individuo e contesto
culturale di appartenenza. Utilizzando in questo articolo il metodo
psico-antropologico, che mira al confronto tra le differenti culture e alla
comprensione delle azioni umane inserite nel contesto sociale più ampio, viene
effettuata una indagine su come i mutamenti della cultura e della società
determinano effetti sia sui comportamenti sia sul modo di costruzione della
identità dei singoli individui. In particolare vengono analizzati gli stati di
alterazione della coscienza strutturati dalla cultura e vengono esemplificate
due diverse modalità storico-culturali di uso di droghe, anche attraverso la
descrizione personale raccontata da due differenti scrittori . A. Artaud che
inserisce la propria esperienza con la droga all'interno dell'uso rituale di
iniziazione . W. Burroughs che, a partire dal secondo dopoguerra, negli Stati
Uniti determina la nascita della forma attuale di consumo di droga. Emerge che
l'uso recente si riallaccia al bisogno adolescenziale di iniziazione, di
rinnovamento vitale, che fallisce, diventa patologico e conduce
all'autodistruzione.
La
culture est un système complexe qui comprend les règles écrites et non écrites,
les coutumes, les formes de l'organisation, la religion, l'art appartenant à un
peuple et qui détermine chez les
individus la construction de leur vision de la réalité en reglant leur
conduite apprise. Beaucoup de procès
psychologiques principaux dèpendent
de l'interaction entre le sujet et le contexte culturel d'appartenance. Dans cet
article qui utilise la méthode psycho-anthropologique pour arriver à la
comparaison entre les cultures différentes et à la compréhension des
conduites humaines dans le contexte sociale plus étendu, on effectue une
recherche sur la manière où les changements de la culture et de la société causent
les transformations des conduites et de la construction de l'identité du
sujet.. En particulier on analyse
les états d' altération de la conscience
structurés par
la culture et l'on expose deux manières
historiques et culturelles d'usage de
drogues, mème à travers les
narrations personnelles de deux différents
écrivains: A. Artaud qui fait son expérience avec la drogue dans le
rituel d'initiation; W. Burroughs qui,
après la deuxième
guerre mondiale, aux Etats Unis détermine la naissance de la forme
actuelle de consommation de drogue.
On peut affirmer que l'usage récent
trouve sa naissance dans le besoin adolescentiel d'initiation, de renouvellement
vital, qui manque le but, devient pathologique et mène à l'autodestruction.
Culture
is a complex system - that includes written and unwritten rules, customs,
organized forms, religion and art belonging to a people - that determines in the
individuals the construction of their vision of reality and regulates their
behaviour. A lot of important psychological processes depend on the interaction
between the individual and the cultural context in which he lives. In this
article where we make use of the psycho-anthropological method aiming at yhe
confrontation among different cultures and at the comprehension of human actions
included in a wider social context, we carry out a survey of how the changes of
the culture and society determine some effects both on the behaviours and on the
way of constructing the identity of the individuals. In particular, we analyse
the altered states of the conscience structured by culture and illustrate two
different historical-cultural methods abouts the use of drugs, also by means of
the personal account made by two different writers. A. Artaud who inserts his
own experience whith drugs in the initiatory rites. W. Burroughs who, after the
2nd World War in the United States, gave birth to the present form of
drug abuse. It comes out that the recent use can be linked to the adolescent
need of initiation, of vital renewal, that fails, becomes pathologic and leads
to self-destruction.
"Allora pensò un'altra cosa Elena, nata da Zeus:
nel
vino di cui essi bevevano gettò rapida un farmaco,
che
fuga il dolore e l'ira, il ricordo di tutti i malanni.
Chi
l'ingoiava, una volta mischiato dentro il cratere,
non
avrebbe versato lacrime dalle guance, quel giorno,
neanche
se gli avessero ucciso davanti, col bronzo,
il
fratello o suo figlio, e lui avesse visto cogli occhi.
Tali
rimedi efficaci possedeva la figlia di Zeus,
benigni,
che a lei Polidamna diede, la sposa di Teone,
l'Egizia.
La terra che dona le biade produce moltissimi
farmaci,
lì: molti, mischiati, benigni; molti, funesti.
Ciascuno
è medico esperto più d'ogni
uomo:
sono infatti della stirpe di Asclepio"
Omero,
Odissea, IV 219-232
1
La guerra dell'oppio
21
agosto 1842. Venne stipulato in questa data il Trattato di Nanchino, in assoluto
il primo trattato politico-commerciale concluso dall'Impero cinese con una
potenza marittima occidentale, la Gran Bretagna. Trattato sfavorevole per
l'Impero cinese, che comportava la concessione della piena sovranità della Gran
Bretagna sull'isola di Hong Kong per un secolo e mezzo e l'apertura al commercio
estero dei porti fluviali, oltre a quello di Canton, di Amoy, Fuchou, Nigpo e
Shangai.
L'antecedente storico del Trattato di Nanchino era stato la Guerra dell'Oppio. I
presupposti che avevano fatto insorgere questo conflitto sono da ricercare nel
brusco impatto tra due mondi, fra due differenti sistemi culturali e politici.
Da una parte l'isolazionismo culturale, politico ed economico dell'Impero
cinese; dall'altra la cultura e la
politica economica liberista e coloniale del Regno Unito.
"Il governo imperiale cinese non aveva una concezione dei rapporti
internazionali corrispondente all'idea occidentale di relazioni diplomatiche
permanenti nell'ambito di un sistema di stati sovrani eguali. Secondo la
filosofia confuciana, la Cina era l'unica fonte della vera civiltà e il suo
imperatore era l'unico legittimo rappresentante della divinità in terra:
essendo teoricamente sovrano di tutto il mondo, i rapporti degli altri monarchi
con lui potevano essere soltanto quelli tra vassalli e sovrano. Questa
condizione di vassallaggio si esprimeva nel pagamento di un tributo e nel
rispetto di un cerimoniale che implicava il riconoscimento della supremazia
dell'imperatore cinese. Il tributo non era quantitativamente oneroso, ma la
corte cinese vi attribuiva importanza non tanto per il suo valore economico
quanto per il prestigio che esso conferiva alla dinastia regnante. Il tributario
era compensato con la concessione di privilegi commerciali in Cina senza
intervento diretto del governo cinese nella politica interna del tributario
stesso" (1).
Incaricata di gestire i rapporti commerciali era il Co hong, un'associazione di
mercanti, poiché il governo cinese consentiva ai commercianti esteri di operare
a Canton senza che fossero stabiliti rapporti diplomatici ufficiali con gli
stati di cui i commercianti erano sudditi.
A tali regole di vassallaggio aderivano
territori come la Corea, il Siam o la Birmania. Pertanto, a differenza di
quanto era accaduto in paesi come l'India già colonia inglese, per molti secoli
la Cina era rimasta "inaccessibile ai viaggiatori e ai commercianti dei
paesi occidentali e, praticamente, impenetrabile alla loro influenza
culturale" (2). Solo i portoghesi, nel 1557, per primi erano riusciti ad
ottenere un punto di appoggio sulle costa cinese a Macao
attenendosi alle regole e al
cerimoniale di vassallaggio.
A ciò si adeguò inizialmente anche la Gran Bretagna, riuscendo nel 1757 a
controllare la maggiore percentuale degli scambi per il tramite del monopolio
svolto dalla Compagnia delle Indie Orientali. Ma ben presto la difficoltà che
la Compagnia ebbe di trovare merci vendibili in Cina per mezzo delle quali
potere pagare il thè e altri prodotti ivi acquistati determinò il deficit
economico.
Quindi, al fine di ridurre il deficit, i commercianti britannici iniziarono ad
esportarvi l'oppio proveniente dall'India. Gli inglesi, per il tramite della
Compagnia, fornivano l'oppio dell'India ai commercianti francesi, olandesi,
americani, nonché inglesi che lo esportavano in Cina. L'oppio fumato
immediatamente si diffuse tra i
funzionari cinesi e fra gli strati della popolazione, ed insieme con esso anche
la corruzione che fu determinata dal commercio clandestino sopraggiunto dopo le
prime proibizioni e restrizioni governative cinesi. In particolare i funzionari
di Canton si arricchirono dal commercio clandestino non facendo aumentare gli
introiti doganali e invertendo la bilancia commerciale ai danni dell'Impero
cinese. Quest'ultimo reagì disperatamente chiudendo i porti commerciali ai
traffici inglesi e facendosi consegnare l'oppio. Nel frattempo, nel 1834, il
parlamento britannico abrogava il monopolio della Compagnia delle Indie
Orientali instaurando un regime di libera concorrenza e nominando un
rappresentante ufficiale del governo come soprintendente del commercio in Cina.
_____________________________________
( 1)
Storia del mondo moderno, Cambrige University Press, Vol. X, Garzanti,
Milano 1970, pp.877- 878.
(2)
Ibidem, p.876.
Quest'affronto
e sfida alle regole e alle tradizioni cinesi portò, a partire dal 1839, a
numerose azioni militari: la Guerra dell'Oppio. I cinesi che la combatterono
erano perdenti fin dall'inizio non solo perché i nemici inglesi erano
imbattibili militarmente, ma perché proprio i loro connazionali già erano
assuefatti al fumo dell'oppio.
Questo drammatico caso storico mette in evidenza come spesso la penetrazione di
una droga e la lotta contro di essa spesso s'identificano con la 'crisi' di
tutta una tradizione culturale e con il dilagare dell'efficientismo commerciale
degli europei. Nel 1842 il Trattato di Nanchino oltre alla cessione dell'isola
di Hong Kong comporterà anche la "nomina di consoli britannici autorizzati
ad avere rapporti con funzionari cinesi dello stesso grado, su basi di
uguaglianza".
2
I cambiamenti della cultura
Questa
premessa vuol essere una esemplificazione di
quanto è già stato rilevato dalle ricerche storiche e di antropologia
culturale, e cioè che una modalità di consumo di droghe è sempre esistita e
che in genere si accentua nei momenti di "crisi" attraversati da una
determinata società. Spesso la crisi è coincisa con la penetrazione dei
modelli culturali occidentali che hanno spezzato quell'equilibrio culturale
faticosamente costruito dalle popolazioni autoctone. Ed inevitabilmente ogni
innovazione o cambiamento socioculturale - secondo la psico-antropologa Erika
Bourguignon - "implica processi psicologici di ogni specie, sia come cause
sia come effetti. Le innovazioni introdotte in una società richiedono
l'apprendimento di modalità nuove e non di rado l'abbandono (o la
trasformazione) di quelle vecchie"(3).
Le innovazioni consistono, infatti, nella trasformazione dell'utilizzo di
oggetti, di pratiche o di idee preesistenti. Pertanto le trasformazioni della
cultura e della società possono imprimere cambiamenti importanti e spesso
drammatici degli atteggiamenti e dei comportamenti degli individui, del loro
senso di appartenenza e della loro identità.
Queste trasformazioni culturali hanno implicazioni psico-antropologiche. E
proprio la psico-antropologia è quella specialità
che si occupa dei rapporti e delle interazioni tra cultura e personalità.
"L'emergere dell'apparato psichico è possibile solo grazie alla presenza
del contenitore culturale che non solo dà una forma alle manifestazioni dello
psichico ma le rende possibili e riconoscibili come tali, ovvero come proprietà
peculiari ed esclusive di ogni soggetto umano. La cultura non è dunque una
sorta di 'capriccio' o un accessorio secondario dell'evoluzione umana. Essa non
è un abito, né un colore, ma rappresenta il fondamento strutturale e
strutturante dello psichismo umano. Non vi può essere infatti alcun
funzionamento psichico senza struttura culturale, così come non vi può essere
fenomeno culturale che non sia alimentato e in una certa misura determinato
dallo psichico" (4)
____________________________________
(3)
E. Bourguignon, Antropologia Psicologica, Laterza, Bari 1983, p.385.
(4)
S. Inglese, Introduzione a T. Nathan, Principi di etnopsicoanalisi,
Bollati Boringhieri, Torino 1996, p.15.
Pertanto
si può affermare che per molte società tradizionali il processo di
occidentalizzazione o di modernizzazione ha impresso una forzata ricerca
adattiva al fine di trovare modalità di venire a patti con le nuove idee, o
integrandole nella loro visione del mondo, cercando di mantenere la propria
continuità psico-culturale o addirittura rielaborando questa loro visione del
mondo attraverso nuove strategie di
adattamento che permettessero la conciliazione con le nuove idee.
Un altro esempio della conseguenza del drammatico impatto che il contatto con le
società occidentali ha avuto sui popoli tradizionali è l'insorgere di culti di
crisi o di movimenti di rivitalizzazione come la Ghost Dance Religion (La
Religione della Danza dei Fantasmi).
"La Danza dei Fantasmi rappresenta una reazione degli Indiani delle
Pianure, e di regioni ancora più a occidente, alla distruzione del loro modo di
vivere conseguente all'insediamento dei Bianchi in quella regione. La religione
della Danza dei Fantasmi, propagata nel 1890 dal profeta Wovoka, sosteneva che
gli Indiani morti sarebbero tornati e avrebbero restaurato l'antico modo di
vivere, mentre i Bianchi e la loro cultura sarebbero stati distrutti. Per porre
fine allo stato di cose attuale, gli Indiani dovevano intraprendere vari
rituali, soprattutto danze rituali. Durante queste danze, le persone entravano
in uno stato di trance durante il quale vivevano l'esperienza di parlare con i
parenti defunti. A mano a mano che questa religione si andò diffondendo tra le
tribù più distanti, nuovi aspetti ed elaborazioni si aggiunsero allo schema
fondamentale. Anche dopo la sconfitta dei Sioux a Wounded Knee, la Danza dei
Fantasmi sopravvisse in forma modificata in vari gruppi di indiani e dette
origine a una serie di movimenti successivi" (5).
Questa forma di resistenza dei pellerossa alla sempre più intensa penetrazione
dei bianchi segnala la contrapposizione tra il mondo euro-americano
desacralizzato ed il mondo indiano centrato sulla iniziazione.
Analizzando invece le trasformazioni psico-antropologiche avvenute nell'ambito
della nostra società attuale, lo psicanalista giapponese Keigo Okonogi riprende
la definizione di 'moratoria psicosociale', indicante il periodo della
giovinezza, utilizzata dallo psicanalista americano Erik Erikson per la sua
teoria sull'identità. Come ben si sa 'moratoria' è un termine preso a
prestito, e, comunemente, sta ad indicare un'autorizzazione legale a pagare i
debiti in ritardo. E pertanto nella psicologia dello sviluppo intende
significare che " la società
concede ai giovani in fase di formazione e di studio un periodo di grazia:
consente cioè di rimandare l'assolvimento dei doveri e dei debiti…una volta
la moratoria aveva termine quando il giovane arrivava ad una certa età.
Diventare adulto, nello sviluppo di un individuo, significava interrompere il
gioco, il temporaneo periodo di prova, ed acquistare una precisa identità
sociale…In pratica il concetto di moratoria psicosociale è complementare a
quello di 'definizione di sé', 'scelta di sé' o 'identità'…Invece, oggi, la
posizione dei giovani nella società
________________________________________
(5)
E. Bourguignon, cit., p.412.
è
diversa. E questo ha fatto cambiare anche la psicologia moratoria tradizionale e
ne ha trasformato i contenuti. Due ne sono i segnali. Uno è la comparsa di una
nuova cultura dei giovani, che afferma il diritto all'esistenza della
giovinezza, l'altro è il fatto che il periodo della giovinezza si è
allungato" (6).
"In una società che cambia rapidamente, i giovani reagiscono subito alle
novità e le fanno proprie, che si tratti di scienza, tecnologia, arte, moda.
Dato che oggi la caratteristica tipica della moratoria non è più quella di
ereditare le 'cose vecchie' dalla generazione precedente, ma di scoprire e
inventare 'cose nuove', la vecchia generazione ha relativamente
perso la propria autorità, mentre la sensazione di immaturità che
avevano i giovani (il loro senso di inferiorità) si è trasformato in senso di
onnipotenza" (7).
Quindi, secondo K. Okonogi, se nel passato
i giovani tendevano ad assimilare e ad adeguarsi ai valori, agli ideali e agli
schemi di comportamento del sistema culturale, oggi essi criticano la società
così com'è e ne prendono le distanze. Di conseguenza ciò ha determinato il
paradosso della 'dissociazione' dei giovani i quali pur rifiutando il sistema (e
la preesistente o predefinita
identità psicosociale) di fatto si trovano nello stato moratorio, dipendendo
pienamente dal sistema.
"Pur essendo dipendenti, non sentono un vero e proprio desiderio di
autonomia, perché si credono onnipotenti. E, pur vivendo in una situazione per
cui dipendono dalla buona volontà e dalla generosità degli altri, non hanno
mentalità da dipendenti. Di conseguenza c'è in loro una forte dissociazione
tra l'essere inferiori nella pratica, visto che dipendono dai genitori e dagli
adulti in genere, e il sentirsi sicuri in teoria" (8).
La loro voglia di indipendenza si trasforma in un atteggiamento apatico e la
ricerca di una identità scivola verso la depressione e i comportamenti anomici.
"L'inclinazione psicologica appena descritta, a contatto di fenomeni
sociali quali l'estendersi della classe media, la trasformazione dei valori,
l'assenza di ideologie o prospettive storiche, ha fatto gradualmente perdere
alla gioventù moratoria i suoi desideri tradizionali: coltivare un'ambizione,
discutere di politica, aspirare a un ideale e essere indipendenti. Oggi prevale
tra i giovani l'apatia caratterizzata da mancanza di vitalità, di interessi, di
responsabilità ed essi non riescono a trovare significato in nulla, né ad
avere valori stabili. Si impegnano soltanto casualmente in cose di breve durata.
Sono capricciosi e stravaganti; non hanno aspirazioni né ambizioni, né ideali,
né tanto meno la voglia di diventare indipendenti. Però, nonostante tutti
questi cambiamenti, rimane il fatto che i giovani si trovano ancora nello schema
della psicologia moratoria e nello stato moratorio. Non hanno ancora conquistato
un ruolo" (9).
_______________________________________
(6)
K. Okonogi, Il mito di Ajasé e la famiglia giapponese, Spirali, Milano
1986, p. 10.
(7)
Ibidem, p. 14.
(8)
Ibidem, pp. 15 - 16.
(9)
Ibidem, p. 16.
K.
Okonogi ipotizza quindi che tale condizione giovanile paradossale ha origine
nella struttura stessa del sistema e ne individua alcune importanti
caratteristiche:
1.
Carattere di provvisorietà: sono i rapidi cambiamenti sociali che hanno
svuotato dei contenuti fissi e precisi i ruoli e le professioni
e che non sono più in grado di dare alle persone un'identità definita;
2.
Divisione delle responsabilità: questa provvisorietà di vita coincide
con gli interessi del sistema di evitare che qualcuno abbia del potere
personale;
3.
Essere sempre 'su richiesta': il sistema ha un preciso corso di
promozioni basato sul merito o sull'anzianità, ma tale per cui la gente non può
mai trovare la sua identità nel
presente, vissuto come provvisorio, ma proietta la sua identità in qualcosa che
sta nel futuro restando sempre in attesa della vera identità;
4.
Una struttura che controlla e protegge: se le persone accettano tutto
questo, il sistema si prende cura di loro e le protegge. In pratica, se un
individuo osserva certe regole, "se si trattiene dal mettersi troppo in
evidenza, se evita di assumersi gravi responsabilità, fa una vita tranquilla.
Il modo migliore di adattarsi alla società è quello di rimanerne 'ospiti.
Tutto questo dimostra che è la struttura stessa del sistema a costringere i
suoi membri ad adottare una psicologia simile a quella moratoria" (10).
K.
Okonogi conclude la sua analisi affermando che l'atteggiamento di fuga dalle
responsabilità è presente in molti aspetti interni al sistema e la mutata
psicologia moratoria tradizionale è indotta dal sistema divenendo un
"carattere sociale".
3
C'era una volta l'iniziazione
Un'altra
importante trasformazione psico-antropologica avvenuta nella società
occidentale moderna è il fenomeno della
scomparsa della iniziazione.
Mircea Eliade sostiene che una delle grandi differenze tra il mondo tradizionale
e il mondo moderno ed industrializzato sta proprio nella scomparsa della
iniziazione. Tale scomparsa è un fenomeno relativamente recente, portato avanti
per la prima volta proprio dalla società occidentale moderna.
L'iniziazione ha svolto un ruolo istituzionale presso tutti i popoli
primitivi o nella nostra antichità classica e lo svolge ancora in certe società.
Il giovane, attraverso i riti di entrata o di passaggio, era promosso a una
classe di età o di raggruppamento sociale valutato come superiore.
L'iniziazione, attraverso il passaggio rituale in due fasi di morte simbolica e
rinascita, metteva fine all'uomo naturale e
introduceva l'iniziato alla cultura della propria società di
appartenenza.
"La società in cui l'iniziazione aveva un ruolo istituzionale era anche
una società in cui la morte aveva un posto ufficiale"(11). La morte
indicava un'esperienza di trasformazione psico-antropologica. Infatti
l'iniziato, rinascendo, 'iniziava' (in
un nuovo stato nascente) a vivere pur sempre nel mondo.
______________________________________
(10)
K.
Okonogi, Il mito di Ajasé e la famiglia giapponese, cit., p. 24.
(11)
M.
Eliade, Initiations, rites, societés secrètes, Gallimard, Paris 1959, p. 12.
Oggi
al contrario, se si eccettuano le chiese, le istituzioni sono orientate sempre
di più all'ottenimento di risultati pragmatici, lasciando al singolo individuo
il problema del suo sviluppo interiore. Tuttavia, proprio nella nostra cultura
occidentale, l'esigenza di iniziazione ritorna come rimosso culturale, non
ufficiale, attraverso la nascita di numerose sette segrete che esercitano
rituali altrettanto segreti. Il bisogno di iniziazione, un tempo soddisfatto ma
negato dalla cultura ufficiale, si ripropone in termini occulti e inconsapevoli.
Le società tradizionali durante il
rito della morte simbolica facevano,
ed in parte ancora fanno, ricorso alla induzione di stati di alterazione della
coscienza, spesso attraverso l'uso
di droghe. Tuttavia questi stati di alterazione della coscienza sono sempre
stati strutturati dalla cultura (rientrano in uno schema culturale ed il
soggetto è consapevole di ciò che l'aspetta) ed hanno una persistente
aspettativa di rigenerazione. Sono preceduti da purificazioni, addestramenti,
rinunce, delimitati da rituali che
ne assicurano continuamente l'appartenenza a un contesto.
Esistono alcune droghe estratte da piante come il Peyotl, la Banisteria Caapi,
la Coca che tradizionalmente sono state usate da alcune tribù del Messico e del
Sud America per scopi rituali, in particolare nei riti di iniziazione. Ad
esempio la Banisteria Caapi, che viene chiamata anche Yage e che è una specie
di vite, è un narcotico allucinatorio che produce un profondo turbamento dei
sensi. Questa vite è usata dai giovani iniziandi della tribù degli Jivaro, che
abitano nella zona compresa tra il nord del Perù e l'Ecuador meridionale, per
mettersi in contatto con gli spiriti dei loro antenati ed essere
dettagliatamente istruiti riguardo alla loro vita futura. Lo Yage produce in
questi iniziandi uno stato di anestesia cosciente perché devono subire prove
dolorose come l'essere frustati con viticci arrotolati o venire esposti ai morsi
delle formiche. Inoltre ancora lo Yage viene usato come guarisci-tutto nel
trattamento di varie malattie.
E. Bourguignon riporta un interessante resoconto di una ricerca sperimentale
effettuata con due gruppi di soggetti appartenenti a due distinte culture:
"Nel 1959 A.F.C. Wallace ha fatto un confronto particolareggiato tra le
reazioni degli Indiani dell'America del nord che prendono il peyote nell'ambito
dei loro rituali religiosi, e i soggetti bianchi che lo prendono nell'ambito di
un esperimento clinico. Sia il comportamento che le esperienze soggettive dei
due gruppi presentavano differenze sorprendenti. Gli Indiani partecipavano a un
rituale religioso e sperimentavano sentimenti di riverenza e spesso anche di
sollievo da qualche malattia fisica. I Bianchi si trovavano in un assetto
sperimentale senza alcuna preparazione culturale che impartisse un particolare
significato alla cosa. Sperimentarono forti sbalzi di umore, che andavano da una
depressione agitata all'euforia. I Bianchi mostravano inoltre un crollo delle
inibizioni sociali e adottavano comportamenti che la società disapprova,
laddove gli Indiani conservavano il dovuto decoro. I cambiamenti della
percezione del sé e degli altri spaventavano i Bianchi, mentre per gli Indiani
coincidevano con le loro aspettative religiose. Analogamente, gli Indiani
avevano visioni che corrispondevano alle loro credenze e che seguivano uno
schema culturale, laddove le 'visioni' o allucinazioni dei Bianchi, che si
formavano senza alcun modello culturale, variavano da un individuo all'altro.
Inoltre, mentre negli Indiani l'esperienza con il peyote provocava cambiamenti
sia nel comportamento che nell'equilibrio psichico, i Bianchi, stando a quello
che la ricerca riuscì a stabilire,
non sperimentarono né cambiamenti di lunga durata né benefici
terapeutici" (12).
Le conclusioni date da Wallace alla sua ricerca furono che la droga non ha un
suo proprio 'contenuto' ma si limita a modificare per un certo tempo la
coscienza umana e che i differenti risultati ottenuti sono da mettere in
relazione con le differenze culturali dei due gruppi e cioè con la
formazione mentale con la quale hanno affrontato l'esperienza, il
contesto del gruppo e il significato simbolico dell'evento. L'esperienza degli
stati di alterazione della coscienza incide sull'ulteriore sviluppo
dell'individuo, sulla posizione nella società e sulla sua visione del mondo
ispirata all'esperienza di eventi straordinari legati al sé e agli spiriti.
Secondo Wallace l'essenza del rituale è la comunicazione tra gli esseri
umani e gli spiriti degli antenati, e in
particolare parla di una
riorganizzazione rituale dell'esperienza, "una sorta di apprendimento
attraverso il quale il mondo risulta semplificato agli occhi dell'individuo: il
mondo complesso dell'esperienza si
trasforma in un mondo ordinato di simboli. Contemporaneamente accade una
trasformazione dell'individuo, il quale acquisisce nuove strutture cognitive e
una nuova identità trasformata" (13).
4
La droga ieri e oggi: due esperienze a confronto
L'esperienza
di Antonin Artaud con la droga, specificatamente col Peyotl, che è un cactus i
cui germogli contengono mescalina, si può collocare all'interno di quest'uso
rituale delle sostanze allucinogene, esperienza compiuta presso la tribù dei
Tarahumara del Messico nel 1936. Presso questa tribù egli era andato non da
curioso ma per ritrovare una 'Verità'
che sfugge al mondo europeo e che
la razza Tarahumara ha conservato. Questa verità è racchiusa nel Rito del
Peyotl (che i Tarahumara chiamano Ciguri) che sta alla sommità della religione
Tarahumara e che consiste in una danza del Peyotl per l'appunto. Ecco la
descrizione che Artaud fa di questa tribù: "Con i Tarahumara si entra in
un mondo terribilmente anacronistico e che è una sfida a questi tempi. Ma
oserei dire che è tanto peggio per questi tempi e non per i Tarahumara. Ed è
così che per usare un termine oggi totalmente in disuso i Tarahumara si dicono,
si sentono, si credono una Razza-Principio e lo provano in tutti i modi…In
questa razza vi è una incontestabile iniziazione: colui che è vicino alle
forze della natura partecipa dei suoi segreti…E' falso dire che i Tarahumara
non hanno civiltà, quando si riduce la civiltà a pure facilitazioni fisiche, a
comodità materiali che la razza Tarahumara ha da sempre disprezzato" (14).
C'è da dire che Artaud, scrittore e uomo di teatro francese appartenuto al
movimento surrealista, abbandona nel '36 il suo impegno teatrale e va alla
ricerca dei Tarahumara perché attraverso l'iniziazione al rito del Peyotl vuol
guarire da un suo profondo malessere che gli si manifesta come cataclisma
corporeo ogniqualvolta si sente vicinissimo a una fase capitale della propria
esistenza. Così nel suo libro "Viaggio al paese dei Tarahumara" egli
descrive questa volontà di guarigione:
"Ormai bisognava che quel qualcosa di sepolto dietro quella pesante
triturazione (del proprio corpo) e che uguaglia l'alba alla notte, quel qualcosa
venisse tirato fuori, e servisse, servisse
_____________________________________
(12)
E. Bourguignon, Antropologia psicologica, cit. pp.306 - 307.
(13)
Ibidem,
p.310.
(14)
A.
Artaud, Viaggio al paese
dei Tarahumara, in A. Artaud, Al paese dei Tarahumara, Adelphi, Milano
1981, p. 91.
appunto
con la mia crocifissione.
E sapevo che il mio destino fisico era irrimediabilmente legato a quello. Ero
pronto a tutte le bruciature, e aspettavo la primizia della bruciatura, in
previsione d'una combustione presto generalizzata" (15).
Dai Tarahumara egli sa che troverà la danza di guarigione con il Peyotl. Ma
presso di loro, perché sia agente di guarigione, il Peyotl occorre saperlo
prendere nella giusta dose senza abusarne perché ogni abuso provoca un'ebbrezza
disordinata, ma soprattutto si disubbidisce a Ciguri stesso che è "il dio
della prescienza del giusto, dell'equilibrio e del controllo di sé. Chi ha
bevuto il metro e la misura vera di Ciguri è un 'Uomo' e non un 'Fantasma
indeterminato', sa come sono fatte le cose e non può più perdere la ragione
perché dio è nei suoi nervi, e da qui li dirige" (16). Il mistero
dell'azione terapeutica del Peyotl è legato alla proporzione che si prende.
Dice Artaud che: "Superare il necessario è saccheggiare
l'azione" (17). Il rito di Ciguri è un rito di creazione. Le radici
ermafrodite del Peyotl raffigurano l'immagine d'un sesso di uomo e di donna
uniti. Esse rappresentano i Principi Maschio e Femmina della Natura.
Dunque Artaud parteciperà al Rito di Ciguri che è appunto la Danza del Peyotl
e avrà una 'visione' alla quale giunge dopo essere passato attraverso un
laceramento e un'angoscia forti, dopodiché si sentirà come riversato
dall'altra parte delle cose tanto da non capire più il mondo che ha appena
lasciato. Ed egli vive questo riversamento
come una forza che consente di essere 'restituiti' a quel che esiste
dall'altra parte. Artaud descrive ciò come un momento in cui non si sentono più
i limiti del corpo, ma ci si sente molto più felici di appartenere
all'illimitato che non a se stessi perché ciò che si è, è provenuto dalla
'testa dell'illimitato'. Artaud conclude quest'esperienza iniziatica affermando
che il Peyotl riconduce l'Io alle sue vere sorgenti e, dopo essere usciti da un
tale stato di visione, non si può più confondere la menzogna con la verità.
Da quanto finora detto, si può affermare che l'uso tradizionale di queste
sostanze segnala un passaggio all'interno dei riti di iniziazione e dei riti di
guarigione. Questo passaggio è segnato dalla morte simbolica del soggetto,
dalla 'visione' consentita dalla droga portatrice di un altro mondo, dalla
costruzione della nuova personalità del soggetto. L'uso di droghe compiuto da
Antonin Artaud, e descritto nei suoi libri, rappresenta ancora una
modalità che storicamente si inserisce nel contesto culturale della iniziazione
rituale.
Al contrario l'utilizzo di droghe fatta e descritta da William Burroughs
rappresenta, a partire dal secondo dopoguerra negli Stati Uniti, la nascita
della forma attuale del consumo di droga. Nella forma attuale la 'visione', se
ancora ricercata, perde la sua importanza, la sua sacralità ed il suo
significato collettivo di funzione innovatrice.
Anch'egli, nei suoi libri, descrive le implicazioni soggettive relative all'uso
delle sostanze stupefacenti.
_____________________________________
(15)
A.
Artaud, Viaggio al paese dei Tarahumara, cit., p. 86.
(16)
A.
Artaud, Il rito del peyotl presso i Tarahumara, in A. Artaud, Al paese dei
Tarahumara, Adelphi, Milano 1981, pp. 138 - 139.
(17)
Ibidem,
p. 139.
Questo
scrittore drogato, o meglio prima drogato e poi scrittore, appartiene a quella
che è stata definita 'beat generation' (generazione bruciata), che è stata da
una parte una tendenza, uno stile di vita dei giovani americani del secondo
dopoguerra e, da un'altra parte un fenomeno letterario e di poesia. I critici
letterari Fernanda Pivano (18), Vito Amoruso (19), Gérard Georges Lemaire (20),
che di questo fenomeno generazionale si sono occupati, sono tutti concordi nel
trovare una intima relazione tra i comportamenti dei giovani americani e gli
scrittori e i poeti della beat generation. Parlare di questi scrittori equivale
a parlare di un modo di vita e di costume della gioventù bruciata americana.
Questo fenomeno beat è costituito da un vertiginoso equilibrio tra i giovani
ribelli del dopoguerra, mistici, vagabondi, apolitici, emarginati e l'avventura
letteraria, la trascrizione letteraria della loro anarchia disorientata e della
tumultuosa e generica affermazione di una nuova moda (fino a dei limiti
folkloristici).Secondo la Pivano il dramma di questi giovani è un dramma
morale, definendo questi giovani come degli 'incompresi' che si sono trovati a
vivere in una società alla quale non credevano e che hanno ritenuto incapace di
rispondere alle loro domande. Spesso la sfuggivano e vivevano in piccole bande
più o meno segrete secondo un codice primordiale basato sulla inviolabilità
dell'amicizia e delle confidenze. A volte passavano a stadi di violenza e di
teppismo, di cui qualche vecchio film di M. Brando in motocicletta o J. Dean ne
era il prototipo. Questi due personaggi rappresentavano il prototipo e non
l'ideale perché erano l'esatto ritratto di quello che questi adolescenti erano
e non di quello che volevano
diventare. La caratteristica di queste bande era quella di non volere compiere
gesti di rivolta verso la società, ma di estraniarsene. Erano bande
anticollettivistiche. I genitori li consideravano degli amorali, irresponsabili,
viziosi, criminali, capaci di fare tutto quello che un genitore darebbe la
propria vita pur di non vedere fare al proprio figlio. A questa dilagante massa
di ragazzi reticenti e scontrosi, tristi e freddi, appartenevano appunto gli
scrittori della beat generation. Risulta utile fare, a questo punto, delle
necessarie distinzioni fra alcune generazioni letterarie. Innanzi tutto bisogna
distinguere tre generazioni letterarie negli Stati Uniti:
1)
La 'Lost generation' o generazione perduta
2)
La Generazione ribelle
3)
La 'Beat generation' o generazione bruciata
La
'Lost generation' è quella generazione di artisti americani che nel primo
dopoguerra si rivoltò contro il conformismo borghese. Ad essa appartengono
scrittori come E. Hemingway, F.S. Fitzgerald, W. Faulkner e altri. Questi
scrittori erano scrittori di denuncia e di violenza. Svelavano, ad esempio, alle
madri inorridite che spesso le cosiddette fanciulle al momento del matrimonio
avevano esperienze sessuali più cospicue di quelle materne. Secondo la Pivano
questi artisti hanno combattuto una battaglia estetica per affermare un nuovo
stile.
________________________________________
(18)
F.
Pivano, Prefazione a W. Burroughs, Il pasto nudo, Sugarco, Milano 1980.
(19)
V.
Amoruso, La letteratura beat americana, Laterza, Bari 1969.
(20)
G.
G. Lemaire, William Burroughs: una biografia. La mappa di una scrittura, Sugarco,
Milano 1983.
La
'Generazione ribelle' invece, nel ventennio seguito alla crisi economica
americana del '29, ha combattuto una battaglia sociale, ad esempio contro il
razzismo. Vi appartengono scrittori come R. Wright, I. Show e altri.
Al contrario, i giovani scrittori della beat generation, della gioventù
bruciata, non avevano nessuna battaglia estetica da combattere poiché la
battaglia dell'arte moderna aveva ormai vinto su tutti i fronti. Il dramma della
beat generation non è estetico , ma è un dramma morale. Questi giovani sono
perlopiù disperati e inquieti, respingono i sistemi morali e sociali
precostituiti e vogliono scoprirne da sé degli altri nuovi. Questi giovani
irrequieti bevono molto, fumano molto, hanno girato l'America in
autostop, si sono esaltati ascoltando o improvvisando jazz. Si potrebbe
fare un parallelo con i giovani
francesi nati dal nulla creato da Sartre, ma essi si muovono nel nulla, in una
nausea che non è neanche più disperazione. Gli scrittori beat questo nulla che
hanno scoperto da sé si sforzano di vincerlo come possono. Pur restando i
portavoce dei delinquenti minorili e dei drogati è un fatto che una delle loro
caratteristiche è il misticismo o le pratiche pseudo-religiose. E il misticismo
crea la grande differenza con la 'Lost generation', è una caratteristica di
scrittori come J. Kerouac o A. Ginsberg che rivelano gli aspetti più segreti
della misteriosa vita degli adolescenti sempre più lontani e sempre più
sconosciuti ai genitori. La loro fuga nell'individualismo, secondo un altro
critico, Vito Amoruso, non descrive una parabola esistenziale perché non
implica una ricerca conoscitiva che ristabilisca il posto dell'individuo nella
società, ma rimuove la società e nullifica l'individuo. Compiono l'elisione
mistica della storia, di ogni storia, anche di quella più strettamente
individuale. I mezzi di cui si servono cercano sempre di svincolare il soggetto
dalle leggi morali e intellettuali: la droga, il jazz, la velocità folle, o la
totale inazione, l'anarchia o il buddismo Zen. Secondo la Pivano, questi giovani
esercitano una violenza su se stessi "per svincolarsi da un impianto morale
che a loro è estraneo...cercano di distruggere in se stessi quanto rimane di
immesso dagli 'altri' " (21). La droga e l'alcool, la promiscuità sessuale
o il rock and roll viscerale sono mezzi per riscoprire una identità smarrita.
E' utile citare la definizione di beat che ne ha dato J. Kerouac in
un'intervista: "Entrai un pomeriggio (nel 1954) nella chiesa della mia
fanciullezza, S. Giovanna D'Arco a Lowell nel Massachusetts, e improvvisamente
con le lacrime agli occhi ebbi la visione di quello che dovevo realmente
intendere per 'beat' allorché percepivo nel silenzio santo della chiesa (ero
solo lì dentro, erano le 5 del pomeriggio, i cani abbaiavano fuori, i ragazzi
gridavano, le foglie cadevano, le candele sfarfallavano per me), la visione
della parola Beat che doveva significare beatifico" (22).
William Burroughs è uno di questi scrittori beat. Anche se non è affatto
mistico, però ha introdotto gli altri suoi amici scrittori all'uso delle
droghe. Era nato il 5 febbraio 1914 a St. Louis, nel Missouri, ed è
recentemente scomparso il 2 agosto 1997. Nel
'42 , all'età di 28 anni, andò ad abitare a New York e qui cominciò a fare
uso di morfina.
__________________________________________
(21)
F.
Pivano, Prefazione, cit., p.5.
(22)
V.
Amoruso, La letteratura beat americana, cit., p.4.
Visse
insieme a Kerouac fino al luglio del '45. Dal 1942 al 1957 farà uso di svariate
droghe, per complessivi 15 anni.
Durante questi anni farà anche ripetuti tentativi di disintossicazione, ma vi
riuscirà solo nel '57 con una cura di apomorfina a Londra. Dopodiché si
dedicherà alla scrittura. Ma ancor prima di interrompere l'abuso di droghe
aveva già pubblicato il suo primo libro autobiografico 'Junkie' (tradotto
in italiano con il titolo 'La scimmia sulla schiena') cui sottotitolo è
'Confessioni di un drogato non pentito'. In questo suo libro parla sia della sua
infanzia, ma soprattutto di come ha incominciato a prendere droga e a diventare
morfinomane.
Tramite il lavoro di ricettazione, un suo amico ladro una volta gli aveva
procurato, insieme a un mitra da vendere, anche una scatola piena di fiale di
morfina. Burroughs all'inizio vendette alcune di queste fiale, ma
successivamente cominciò a provarle anche lui. A quell'epoca chi consumava
droga erano i musicisti jazz che usavano prevalentemente la marijuana. Ma
stavano cominciando a prendere piede gli stupefacenti pesanti: l'eroina, la
morfina, ecc. Questi stupefacenti fino ad allora erano stati usati solo dagli
anarchici o dai discendenti del dadaismo e della 'Lost generation'. Ma per
queste ultime generazioni la vera grande droga era stata l'alcool. Pertanto se
questi gruppi rappresentavano un certo stile di vita, Burroughs è stato
senz'altro colui che ha rappresentato la sostituzione
della droga all'alcool consolatore e polemizzatore del primo dopoguerra.
C'è una domanda che si ripresenta spesso in questo libro: "Perché si
diviene tossicomani?" oppure "Perché si sente il bisogno dei
narcotici?" (23). Queste domande vengono poste da qualcuno, da un ipotetico
interlocutore o da un medico. Innanzitutto Burroughs dice che l'uomo che pone
questa domanda al tossicodipendente non capisce nulla in fatto di droga. A
queste domande egli risponde che "si
scivola nel vizio degli
stupefacenti perché non si hanno forti moventi in alcun'altra direzione. La
droga trionfa per difetto. Io la sperimentai
a titolo di curiosità…Non si decide di diventare tossicomani. Un
mattino ci si desta in preda al 'malessere' e lo si è" (24).
"Di solito l'individuo non intende divenire dedito al vizio. Non ci si
sveglia un mattino decidendo di darsi alla droga. Occorrono almeno tre mesi di
punture praticate due volte al giorno per scivolare nel vizio degli
stupefacenti. Non si sa realmente che cosa sia la smania della droga fino a
quando le assuefazioni non siano divenute numerose. Mi occorsero quasi sei mesi
per divenire affetto dalla mia prima tossicomania" (25).
"La droga è un'equazione cellulare che insegna al tossicomane verità di
validità generale. Io ho imparato molto ricorrendo alla droga: ho veduto la
vita misurata in pompette contagocce di morfina in soluzione. Ho provato la
straziante privazione che è il desiderio della droga e la gioia del sollievo
quando le cellule assetate di droga la bevono dall'ago. Forse ogni piacere è
sollievo. Ho appreso lo stoicismo cellulare che la droga insegna al tossicomane.
Ho veduto una cella di prigione piena di tossicomani in preda alle sofferenze
per la privazione della droga, silenziosi e immobili ciascuno nella sua
individuale infelicità.
_____________________________________
(23)
W.
Burroughs, La scimmia sulla schiena, Rizzoli, Milano 1976, p.32.
(24)
Ibidem,
p. 33.
(25)
Ibidem,
p. 32
Sapevo
che, fondamentalmente nessuno è in grado di aiutare il prossimo suo: non esiste
chiave, non esiste segreto in possesso di qualcuno e che possono essere ceduti.
Ho imparato l'equazione della droga. La droga non è, come l'alcool o come la
marijuana, un mezzo per intensificare il godimento della vita. La droga non è
euforia. E' un modo di vivere" (26).
Da questi brani traspare innanzitutto che Burroughs dà un'importanza decisiva
alla questione metabolica e chimica cellulare della tossicodipendenza. E' una
spiegazione costante che egli dà sia in 'Junkie' ma che ripropone anche in
altri libri successivi. Si stabilisce nell'organismo del tossicomane quella che
egli chiama l'Algebra del bisogno, una equazione cellulare. L'importanza della
droga per il tossicomane sta nel fatto che
essa dà assuefazione. Nessuno sa che cosa sia la droga finché non prova
il 'malessere' ed inoltre la dipendenza è assoluta anche tra il tossicomane e
colui che gli fornisce la droga, come il palombaro dipende dal tubo che gli
fornisce l'aria. Questa situazione, secondo Burroughs, non esisteva prima che
egli cominciasse a usare la droga e prima della conseguente assuefazione.
L'organismo del tossicodipendente funziona grazie alla droga. Il malessere da
mancanza di droga, di cui egli parla e
che distingue dall'euforia, equivale alla nascita del bisogno. E il bisogno
diviene la 'brama'. "Il tossicomane senza la droga è impotente come un
pesce fuor d'acqua, fuori del suo mezzo, 'boccheggiante' dice chi ha il vizio
degli stupefacenti" (27).
Per chiarire meglio questo paragone egli fa un altro esempio. La morfina è,
come la tenia , un agente parassita che penetra e si stabilisce nell'organismo.
Questo agente chimico parassita, la morfina, vive nel medium della morfina e
grazie a esso, e gli occorre il medium della morfina per esistere. Poi dice:
"E l'agente invasore può potenziare tale necessità nel suo ospite
mediante uno sbarramento di sintomi invalidanti
allorché la morfina grazie alla quale esso agente vive viene sottratta. Questi
sintomi sono i fenomeni di astinenza noti a tutti gli intossicati: sbadigli e
boccheggiamenti, occhi lacrimosi e brucianti, diarrea, insonnia, debolezza,
lieve febbre, crampi alle gambe e allo stomaco, talora la morte per collasso
cardiocircolatorio e choc. E soprattutto la 'brama' dell'intossicato nei periodi
di astinenza, una brama assoluta, irresistibile, di droga. Una necessità che
equivale al soggiogamento totale. Il tossicomane è letteralmente un 'maniaco
della droga', e la 'mania' è precisamente uno stato di assoluta necessità, che
conosce, e può conoscere soltanto, il proprio bisogno" (28).
Si può affermare pertanto che lo svariato abuso di droghe introdotto e
sperimentato in prima persona da Burroughs segnala la attuale e diversa modalità
di consumo ansioso, impaziente, distruttivo di sostanze stupefacenti. Si tratta,
oggi, di un consumo che ha luogo nella fretta, nell'avidità, nell'ansia, senza
alcuna integrazione nell'ambito del contesto culturale di appartenenza. Ciò che
con il tempo viene a connotarsi di tinte sempre più negative è il rapporto che
c'è tra il soggetto e la sostanza.
_________________________________________
(26)
W.
Burroughs, La scimmia sulla schiena, cit. p. 34.
(27)
Ibidem,
p. 231.
(28)
Ibidem,
p. 232 - 233.
Se
nell'uso rituale l'uso di droghe segnava il passaggio all'interno dei riti di
pubertà o di iniziazione, con la morte simbolica del soggetto e la costruzione
'ex novo' della nuova personalità dell'iniziato (e la 'visione' consentita
dalla droga era portatrice di un Altro mondo) l'uso recente sembra un'esperienza
adolescenziale di iniziazione, di rinnovamento vitale, fallita e divenuta
patologica: una esigenza che, morta la mitologia, persegue il risultato
innovativo, l'euforia maniacale, rovesciando le due tappe del modello iniziatico:
rinascita come fase immediata ed esperienza di morte come fase conclusiva.
5
Una iniziazione al contrario
Sono
interessanti le affermazioni dello psicanalista junghiano Luigi Zoja, secondo il
quale analizzare il bisogno di iniziazione nella società attuale è
"particolarmente interessante per la comprensione della
tossicodipendenza" (29). Egli distingue tre elementi costitutivi della
tossicodipendenza:
1)
una assuefazione organica;
2)
una abitudine psicologica, che tende ad assumere la forma di
condizionamento (soprattutto di gruppo);
3)
un motivo para-religioso, responsabile della formazione spontanea di
rituali, della tendenza all'esoterismo, al fanatismo e alla ideologizzazione del
ricorso alla sostanza stupefacente.
In
particolare Zoja approfondisce l'analisi del terzo elemento. La
tossicodipendenza odierna sarebbe la corruzione finale dell'uso di
sostanze verso le quali le popolazioni tradizionali si erano rivolte con
aspettative in origine iniziatiche, archetipiche, magiche, rituali. In effetti
tali sostanze hanno portato con sé speranze antiche che includevano sia il
risanamento e la liberazione, sia l'ottenimento di esperienze psicologiche nuove
e più complesse. La prima tappa di ogni iniziazione
è costituita dalla morte simbolica del soggetto, dall'annullamento della
personalità fino ad allora esistente. La seconda tappa iniziatica, infatti, la
costruzione della nuova personalità, non è una semplice aggiunta alla
personalità di prima, ma è il sorgere di una identità e di un ruolo nuovi.
L'iniziazione fa nascere l'uomo secondo un modello mitico, gli conferisce
un nuovo potere, una sorta di sicurezza e di intoccabilità. All'interno
di ciò la 'visione' ottenuta con la droga ha la funzione di far accedere a una
saggezza che non poteva essere descritta o rivelata perché andava al di là
delle parole che si usano per comunicare.
Zoja suppone che anche negli adolescenti della cultura occidentale esista un
generale bisogno latente di eventi iniziatici, ma più che di iniziazioni
puberali generalizzate in occidente si vedono nascere surrogati di sette
segrete, di gruppi culto-esoterici. Ma la differenza sostanziale fra
l'iniziazione primitiva ed il settarismo attuale sta nel rapporto con la droga.
Mentre nelle società primitive si ha a che fare con l'elemento rigeneratore e
individuante della 'visione', al contrario il tipico abuso attuale del
tossicomane avviene nell'ambito del
modello consumista occidentale.
_____________________________________
(29)
L. Zoja, Nascere non basta. Iniziazione e tossicodipendenza, Raffaello Cortina,
Milano 1985, p. 7.
"
La nuova visione che la droga può favorire non trova, in generale, integrazione
nella cultura circostante. Ma contemporaneamente non ha modo di inserirsi
neppure nella personalità del singolo e tende a svanire con la scomparsa del
semplice effetto chimico. Si ha dunque il bisogno di nuove assunzioni e il
rischio che questa necessità si presenti a cadenze sempre più ravvicinate. Il
consumo non procede a un passo volontariamente stabilito. Inizialmente (il
tossicomane) tenta forse di farlo, ma è difficile marciare da soli, senza
ritmo, cadenze e accompagnamenti esterni. Presto più che marciare, rotola per
inerzia…Il consumo precipita verso il fondo, crescendo costantemente di
velocità e di mole" (30).
Dunque gli impulsi distruttivi, la ricerca della morte, nel tossicomane
potrebbero essere ancora interni ad una ricerca di rinascita collettiva ma che,
in mancanza di sbocchi concreti e di una mitologia paradigmatica per la
costruzione di una nuova personalità, è costretta a manifestare solo la fase
preparatoria, quella distruttiva. La ricerca di un'esperienza trascendente,
sempre sfiorata, non è mai raggiunta e impone un inseguimento sempre più
frenetico e maniacale. L'esigenza di iniziazione, di rinnovamento vitale,
fallisce e non riconoscendo più il rituale, la rinuncia preparatoria, persegue
immediatamente il risultato innovativo: l'euforia maniacale. In tal modo viene
rovesciato il modello iniziatico: rinascita come fase immediata; esperienza
di morte come fase conclusiva. Si ha così il rischio che la necessità di
nuove assunzioni si presenti ad intervalli sempre più ravvicinati, decadendo
così nella spirale della dipendenza.
Così Zoja definisce quest'iniziazione negativa: "Un'iniziazione
distruttiva e inconscia che tende, come unico rinnovamento, alla perdita della
condizione o della personalità fino allora sussistenti; che non ne inaugura di
nuove e nella pura perdita trova la sua realizzazione e il suo
completamento" (31). L'errore del tossicodipendente sta nella fretta
"ricalcata sugli schemi consumistici, che gli fa rovesciare questo modello:
il quale principia con il rinnovamento e termina con l'esperienza di morte"
(32).
Quindi il tradizionale modello culturale iniziatico decade nel modello
consumistico. Ed il 'sacrificio' del
tossicodipendente diventa un sacrificio deritualizzato e improduttivo. Il
soggetto, che lottava par la conquista della identità e dell'affermazione di un
ruolo nella società, assume una identità in negativo e - tramite la fuga, la
rinuncia, l'indisponibilità - si dissocia dalle leggi sociali e morali, vissute
come arbitrarie e prive di senso. Nel nostro attuale contesto sociale la
tossicomania è un fenomeno giovanile. E proprio i giovani, gli adolescenti,
vivono uno dei problemi cruciali che li caratterizza: la ricerca dell'identità
e della identificazione soddisfacente con i modelli culturali.
Da quanto ho esposto in questa indagine psico-antropologica si può dunque
affermare che, da una parte, la sopraffazione di tipo coloniale ha determinato
l'incontro/scontro tra due diverse culture, con la conseguente penetrazione di
nuovi modelli culturali che hanno prodotto notevoli
___________________________________________
(30)
L. Zoja, nascere non basta, cit., p. 126.
(31)
Ibidem, p. 37.
(32)
Ibidem, p. 97.
mutamenti
sociali e psicologici, creando ampi
squarci nella tela culturale tradizionale, intesa come rete di senso. Altresì
all'interno della nostra società moderna, fondata sull'economia del consumo, si
sono attuate profonde trasformazioni psico-antropologiche che hanno prodotto
numerosi fenomeni paradossali. Un acuto testimone della trasformazione
antropologica avvenuta nella specifica società italiana è stato Pier Paolo
Pasolini che - tra gli anni '60 e '70 - ha intravisto nel cosiddetto 'sviluppo'
radicale quello che lui stesso ha
definito: "un fenomeno di 'mutazione' antropologica" (33).
In un altro articolo, del luglio '75, intitolato "La droga: una vera
tragedia italiana" osserva: "Per quanto riguarda la mia personale, e
assai scarsa esperienza, ciò che mi par di sapere intorno al fenomeno della
droga, è il seguente dato di fatto: la droga è sempre un surrogato. E
precisamente un surrogato della cultura. Detta così la cosa è certo troppo
lineare, semplice e anche generica. Ma le complicazioni realizzanti vengono
quando si esaminano le cose da vicino. A un livello medio - riguardante 'tanti'
- la droga viene a riempire un vuoto causato appunto dal desiderio di morte e
che è dunque un vuoto di cultura….Dunque noi oggi viviamo in un periodo
storico in cui lo 'spazio' (o 'vuoto') per la droga è enormemente aumentato. E
perché? Perché la cultura in senso antropologico, 'totale', il Italia è
andata distrutta. Quindi i suoi valori e i suoi modelli tradizionali (uso qui
questa parola nel senso migliore) o non contano più
o cominciano a non contare più" (34).
E ancora più avanti aggiunge: "Si tratta, insisto, della perdita dei
valori di una intera cultura: valori che però non sono stati sostituiti da
quelli di una nuova cultura (a meno che non ci si debba 'adattare', come del
resto sarebbe tragicamente corretto, a considerare una 'cultura' il
consumismo" (35).
Nell'attuale contesto sociale gli adolescenti, quindi, hanno percepito e vissuto
la rottura della rete di senso, in quanto proprio la stessa realtà sociale
produce paradossi. L'ideale ricerca della propria autonomia e della propria
libertà si scontra con la profonda dipendenza dal sistema culturale di
appartenenza, con le sue moderne regole, con la sua nuova organizzazione. La
ricerca di identità si trasforma in comportamenti caratterizzati da
irresponsabile appartenenza sociale, disimpegno morale, disincanto affettivo: un
epilogo dalle conseguenze imprevedibili e, a volte, irreparabili.
____________________________________________
(33)
P.P.Pasolini, Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia, in Scritti
corsari, Garzanti, Milano 1975, p. 49.
(34)
P.P.Pasolini, La droga: una vera tragedia italiana, in Lettere luterane,
Einaudi, Torino 1976, pp. 86-89.
(35)
Ibidem, p. 90.
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