L’INTERVENTO
PSICOLOGICO in Abruzzo
ESPERIENZA
DA PSICOLOGO CISOM (Corpo Italiano di Soccorso Ordine di Malta)
di
Matteo Simone
Psicologo
– Psicoterapeuta Gestalt
Il
Corpo Italiano di Soccorso dell'Ordine di Malta (C.I.S.O.M.)
è un'articolazione specificatamente dedicata alla Protezione Civile
dell'Associazione del Cavalieri Italiani del Sovrano Militare Ordine di
Malta (A.C.I.S.M.O.M.).
Nel
1991, il Sovrano Militare Ordine di Malta e
la Repubblica Italiana
hanno sottoscritto un accordo in materia di assistenza in caso di gravi
calamità (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale - Supplemento Ordinario -
n. 164 del 15 luglio 1991), a cui ha fatto seguito uno scambio di note
finalizzate all'attuazione dell'intesa.
In
virtù del predetto accordo e della dislocazione su tutto il territorio
delle articolazioni operative del CISOM, il Corpo Italiano di Soccorso
dell'Ordine di Malta è inserito nell'elenco delle organizzazioni di
Protezione Civile di rilevanza nazionale presso
la Presidenza
del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Protezione civile.
Il
Corpo Italiano di Soccorso, nell'ambito delle funzioni di Protezione
civile, opera nelle seguenti attività:
·
interventi
in caso di calamità naturali o derivanti dall'attività dell'uomo, a
livello nazionale ed internazionale
·
interventi
in caso di emergenze regionali e local
·
supporto
alle attività di emergenza ed urgenza sanitaria
·
interventi
connessi all'organizzazione di grandi eventi e per le maxiemergenze
·
attività
in collaborazione con enti ed istituzioni
·
formazione
ed informazione rivolta ai cittadini
La Direzione
di Comando e Controllo (Di.Coma.C.) è una struttura centrale mobile della
Protezione Civile Nazionale che viene attivata solo a seguito di grandi
eventi e rappresenta il livello decisionale dislocato sul territorio e che
fornisce, direttamente nell’area interessata dall’evento un supporto
al coordinamento locale gestito dai diversi Centro Operativo Misto (C.O.M.).
La struttura della Di.Coma.C., allestita in occasione del terremoto
dell’Aquila presso
la Scuola Allievi
Sottoufficiali della Guardia di Finanza di Coppito, ha compiti e funzioni
svolte dai diversi rappresentanti delle Istituzioni e del mondo del
volontariato che operano sotto il coordinamento diretto del Dipartimento
di Protezione
Civile.
Il
Centro Operativo Misto (C.O.M.) è una struttura operativo/amministrativa
che durante l’emergenza copre un’area più o meno vasta di territorio
e racchiude più comuni. Il Dott. Guido Bertolaso, Commissario delegato
per la gestione dell’emergenza che ha colpito la regione Abruzzo, con
decreto n. 1 del 9 aprile
2009, ha
istituito
7 C
.O.M. con i relativi comuni afferenti.
Gli PSICOLOGI
del CISOM sono stati chiamati a fornire la propria
professionalità per aiutare le persone ad affrontare le inevitabili
conseguenze psicologiche scaturite dal trauma subito, e per sostenere gli
operatori del soccorso ad affrontare le situazioni traumatiche.
L’operato è stato rivolto
principalmente a tutta la popolazione che lo ha richiesto, a tutte le
fasce d’età, ma anche ai volontari stessi e/o a favorire
l’integrazione delle conflittualità nei rapporti tra le persone e/o le
organizzazioni promuovendo l’espressione della comunità locale verso il
miglioramento della qualità di vita e del senso civico.
L’intervento si
è sviluppato in un contesto ad alta valenza emotiva ed è stato diretto a
favorire l’empowerment delle risorse umane. Si è sviluppato un
intervento mirato a costruire e ri-costruire relazioni e pensieri
progettuali individuali, gruppali e comunitari.
Ci
siamo trovati catapultati nel contesto Abruzzese per fare un lavoro di
squadra con colleghi mai visti prima.
Alloggiavamo
in un campo di accoglienza (S.Felice d’Ocre) popolato e, quindi, il
nostro intervento era sia nel nostro campo che negli altri campi del COM4.
Eravamo
una squadra di 4 psicologi ma intervenivamo, in base alle situazione,
anche a coppie o singolarmente.
Le
maggiori problematiche e disagi espressi dagli ospiti del campo sono
state:
-
il
continuare a vivere nel campo, in tende con persone con le quali non vi
era una relazione o non ci si sentiva rispettati;
-
l’insicurezza
sul futuro a breve e lungo termine in quanto le scosse continuavano e
quindi le persone erano scoraggiate sulla possibilità di rientrare nelle
proprie abitazioni danneggiate o sulla possibilità di iniziare i lavori
di ristrutturazione o sui tempi di permanenza che si procrastinavano;
-
le
preoccupazioni per successive scosse più gravi;
-
il
lavoro/attività persi e quindi scoraggiamento su un eventuale altro
lavoro/attività.
Si
è cercato di essere delle figure di riferimento per gli ospiti attraverso
una presenza costante dai primi momenti della giornata, infatti già
durante la colazione si era presenti e si girava tra i tavoli fermandosi
dove si veniva chiamati o dove si riteneva poteva essere indicata un
nostra presenza.
Abbiamo
cercato di renderci visibili e farci conoscere in modo che le persone che
ne sentivano la necessità si avvicinavano con i loro tempi
e le loro modalità; siamo stati disponibili all’ascolto e questo
ha permesso alle persone di fidarsi, affidarsi e cercarci successivamente
per chiedere aiuto/consulenza.A fine serata eravamo stanchi, esausti, ma
dovevamo compilare il report che riassumeva il nostro operato
permettendoci anche di supervisionarci a vicenda.
Eravamo
soddisfatti della nostra esperienza, del nostro operato, ci eravamo
incontrati, confrontati, avevamo operato assieme con modalità differenti
ma con un obiettivo chiaro e comune, eravamo lì non per noi ma per gli
altri.
Nel
contesto degli interventi a sostegno delle vittime di eventi catastrofici
è necessario
prestare massima attenzione ai problemi di ordine psichiatrico-psicologico
che possono manifestarsi sulle popolazioni colpite e sui loro
soccorritori. Essi possono palesarsi in fase acuta o evolvere in modo
subdolo, con ripercussioni anche nel lungo periodo.
E’
inoltre opportuno osservare che le catastrofi possono produrre sugli
individui effetti
di lunga durata e mettere a dura prova le capacità di reazione e di
adattamento sia del singolo individuo che dell’intera comunità. Si
assiste infatti in questi casi al venir meno delle risorse di
autoprotezione, normalmente presenti in un gruppo di individui che
condividono le stesse abitudini di vita, e pertanto è necessario che gli
interventi psicosociali adottati tengano in massima considerazione le
caratteristiche specifiche di quel territorio e della comunità che lo
abita.
La
Direttiva
del
Presidente del Consiglio dei Ministri 13 giugno 2006: “Criteri di
massima sugli interventi psico-sociali da attuare nelle catastrofi”
descrive:
-
L’EQUIPE
PSICOSOCIALE PER LE EMERGENZE
E’
compito delle Regioni e delle Province Autonome disporre affinché si
costituiscano equipe per il supporto psicosociale alla popolazione colpita
da calamità.
-
I
destinatari degli interventi
le
vittime dirette;
i
testimoni diretti;
i
familiari delle vittime;
i
soccorritori, volontari e professionisti, che abbiano prestato il proprio
aiuto alle vittime e ai sopravvissuti.
-
Gli
scenari d’azione:
Evento
catastrofico a effetto limitato
Caratterizzato dalla integrità
delle strutture di soccorso del territorio in cui si manifesta e da una
limitata estensione nel tempo delle operazioni di soccorso sanitario (meno
di 12 ore).
Evento
catastrofico che travalica le potenzialità di risposta delle strutture
locali.
Situazione
caratterizzata da devastazione di ampi territori, da un elevato numero di
vittime e da un coordinamento delle operazioni spesso estremamente
difficile.
-
FORMAZIONE
I professionisti, che operano in
campo psicosociale, devono essere formati a svolgere attività che sono
proprie di un contesto di emergenza collettiva.
COSA FA LO PSICOLOGO NELLE EMERGENZE?
-
si
documenta;
-
è
presente;
-
incontra
l’altro, diverso da lui;
-
è
disponibile all’ascolto empatico;
-
si
adatta al contesto e al setting;
-
utilizza
tecniche di mediazione, negoziazione e gestione dei conflitti;
-
promuove
il lavoro di rete.
In
una emergenza, lo psicologo deve valutare il contesto dove andrà ad
operare e sapere:
-
cosa
trova;
-
chi
trova;
-
con
chi opera;
-
di
cosa ha bisogno;
-
quali
problemi potrebbe avere.
Arrivato
al luogo di intervento lo psicologo può:
rendersi
visibile
farsi
conoscere
essere
“tra”
essere
“con”
essere
disponibile
Incontra
l’altro diverso da lui
L’incontro
con l’altro avviene non solo mediante il linguaggio delle parole, ma
anche mediante il linguaggio del corpo, quello dei gesti e quello del
silenzio.
Nel
momento in cui si incontra una persona, prima di ogni parola, è il volto
e lo sguardo, il modo di salutare e di dare la mano, il linguaggio del
corpo insomma, a consentire, o a rendere difficile, una comunicazione e
una reciprocità relazionale significativa.
Lo
psicologo è disponibile all’ascolto empatico
Si
parla di empatia come qualcosa che serve a comprendere l’altro, a
mettersi nei panni dell’altro, per capire il suo stato, la sua
situazione, la sua sofferenza, il suo vissuto.
Lo psicologo si adatta al contesto e al setting
Tra
lo psicologo e la persona si crea uno spazio protetto, si condivide uno
spazio ed un tempo esclusivo, si abita una distanza ottimale per entrambi,
per un tempo stabilito o necessario; questo permette alla persona di
fidarsi, affidarsi, parlare delle proprie sensazioni, emozioni.
Lo psicologo utilizza tecniche di mediazione, negoziazione e gestione dei
conflitti
Nei
i campi di accoglienza si verificavano conflitti:
-
tra
gli ospiti;
-
tra
ospiti e i volontari;
-
tra
i volontari;
-
tra
i ospiti e operatori dei COM.
Si
interveniva:
-
ascoltando
le parti;
-
invitando
ciascuna parte a riflettere sulla propria situazione, in quel posto in
quel momento;
-
proponendo
eventuali soluzioni.
Lo
psicologo promuove il lavoro di rete
Studia
il contesto e contatta i vari attori:
-
Amministratori
locali;
-
Professionisti
socio-sanitari;
-
Associazioni
di volontariato, culturali, sportive.
TECNICHE DI INTERVENTO PER
FRONTEGGIARE SITUAZIONI DI EMERGENZA E PER IL TRATTAMENTO SUCCESSIVO DEL
TRAUMA
Sono
particolarmente utili per il trattamento del trauma:
-
Il
Defusing;
-
Il
Debriefing;
-
L'E.M.D.R.
(Eye Movement Desensitizzation and Reprocessing).
DEFUSING:
si tratta di un intervento breve (20-40 minuti) che viene organizzato per
le persone (6-8) che hanno vissuto una circostanza particolarmente
disturbante/traumatica. Essendo una tecnica di gestione dello stress da
evento critico viene utilizzata a “caldo” e cioè subito dopo
l’evento.
Si
fa parlare il gruppo dell'esperienza traumatica vissuta, lo scopo è di
diminuire la tensione e lo stress traumatico attraverso la condivisione
verbale dell'esperienza, ridurre il senso di isolamento, attraverso
l’appartenenza al gruppo che ha subito il trauma, aiutare il gruppo a
ritornare alla normalità fornendo soluzioni a breve termine.
Il
defusing è strutturato in tre fasi:
fase
introduttiva:
si spiega il motivo dell’incontro e si concordano delle regole di base
relativamente al rispetto reciproco, alla riservatezza, ecc..;
fase
esplorativa:
viene chiesto ad ogni membro di parlare dell’esperienza e di condividere
le reazioni e le emozioni vissute;
fase
informativa: la fase tende a normalizzare
le reazioni ed i vissuti, rassicurare in ordine alle angosce causate
dall’evento ed agli “sfoghi” più intensi che alcuni hanno
manifestato, valorizzare gli atteggiamenti positivi manifestati durante
l’evento.
DEBRIEFING
o CISD
- Critical Incident Stress Debriefing
E’ un intervento più
sistematico e strutturato per aiutare i superstiti e i soccorritori a dare
un senso alle loro esperienze e prevenire lo sviluppo di problemi.
Lo
scopo è comprendere e gestire emozioni intense, identificare strategie di
fronteggiamento efficaci e ricevere sostegno.
Nel
’44 lo psichiatra Kaufman utilizzò il debriefing (bilancio psicologico)
individuale o in gruppo durante la campagna nelle Filippine,
l’intervento prevedeva 4 fasi:
a)
verbalizzazione
dell’esperienza traumatizzante;
b)
l’ipnosi;
c)
la
prescrizione di sedativi;
d)
sedute
di terapia.
Il
termine debriefing, dunque, mutuato da pratiche utilizzate
dall’aviazione militare per designare le riunioni tecniche degli
equipaggi dei bombardamenti al ritorno dalla missione, fu introdotto
formalmente nell’ambito dell’intervento psichiatrico su scenari di
guerra. Il termine debriefing, infatti, era utilizzato in particolare
nell’aviazione.
Prima
di partire per la missione di guerra, infatti, gli equipaggi degli aerei
da combattimento, erano convocati, in una riunione detta briefing, per
prendere atto della natura del loro incarico ufficiale (obiettivo, mezzi
messi a disposizione, orario, svolgimento previsto etc.)
Al
rientro in sede, erano nuovamente convocati per una riunione detta di
debriefing, per commentare la riuscita della missione e quali erano stati
gli inconvenienti, tecnici e procedurali riscontrati e contare le perdite
subite. Insomma fare un bilancio della situazione.
Durante
la campagna militare USA in Kuwait denominata ‘tempesta nel deserto’
altri psichiatri si adoperarono per assistere i militari coinvolti in
scenari di guerra.
Koshes
e Rowe introdussero la figura del ‘debrifer’ opportunamente preparato
per svolgere mansioni d’intervento di sostegno psicologico.
Secondo
questi autori l’intervento di assistenza psicologica non poteva essere
considerato alla stregua di una qualsiasi procedura sanitaria praticata
sul campo anche da medici generici, bensì doveva essere considerato al
pari di un intervento specialistico condotto da personale specializzato o
comunque opportunamente formato.
Essi
introdussero dei team stabili, composti da uno psichiatra, uno psicologo,
un assistente sociale e “tecnici psichiatrici” (forse infermieri).
Il
debriefing è da considerare una tecnica di pronto soccorso emotivo “a
freddo” (24-76 ore dopo l’evento), dura circa 2-3 ore, può
coinvolgere fino a 15-20 persone offre alle vittime di un trauma la
possibilità di esternare e confrontare con altri i pensieri, i ricordi e
le emozioni più disturbanti, in modo tale da comprenderli e
normalizzarli, ridurne l’impatto emotivo e contenerne le reazioni,
combattere le convinzioni erronee e favorire il recupero della funzionalità
delle persone e del gruppo, è un incontro strutturato in sette fasi:
1)
Fase dell’Introduzione:
breve introduzione al metodo di lavoro che viene utilizzato
2)
Fase dei Fatti:
i partecipanti vengono invitati a descrivere i fatti e il ruolo avuto
nell’evento e ogni membro del gruppo espone il proprio diverso punto di
vista
3)
Fase dei Pensieri:
il soggetto viene sollecitato ad esprimere i pensieri “negativi” fatti
durante l’evento, ed in particolare quello dominante. Questa fase
rappresenta il momento di passaggio dall’ambito cognitivo (fase dei
fatti) all’ambito emotivo (fase della reazione).
4)
Fase della Reazione:
far verbalizzare le emozioni, le reazioni emotive avute durante l’evento
e gli aspetti emotivi con cui è stato più difficile convivere dopo
l’evento. Questa è la fase più carica di contenuti emotivi.
5)
Fase dei Sintomi:
descrizione dei sintomi fisici avvertiti durante l’evento traumatico,
immediatamente dopo ed al momento attuale.
6)
Fase della Formazione:
consigli utili alla gestione dello stress emozionale e tecniche di
distensione psicofisica, utili a ridurre l’ansia e l’eccitamento
7)
Fase del Reinserimento e della Conclusione:
si dà spazio ad eventuali domande, si forniscono informazioni, si danno
ulteriori indicazioni su come combattere stress, tensione e traumi, per
aiutare le persone a reinserirsi, si prendono accordi per successivi
incontri, si conclude congedandosi.
L'E.M.D.R.
(Eye Movement Desensitizzation and Reprocessing)
La
focalizzazione dell’EMDR è sul ricordo dell’esperienza o esperienze
traumatiche che hanno contribuito a sviluppare la patologia o il disagio
che presenta il paziente. Si tratta di una metodologia che utilizza i
movimenti oculari o altre forme di stimolazione ritmica destro- sinistra
per trattare disturbi legati ad esperienze passate o a disagi presenti dei
soggetti.
La desensibilizzazione e il cambiamento di prospettiva in ambito cognitivo
osservabili durante una seduta di EMDR riflettono l’elaborazione del
ricordo dell’esperienza traumatica e quindi si osserva che il paziente
per la prima volta “vede” il ricordo lontano, distante, modifica le
valutazioni cognitive su di sé, incorporando emozioni adeguate alla
situazione ed eliminando le sensazioni fisiche disturbanti. Al termine di
una seduta completa di EMDR il paziente è in grado di pensare
all’evento traumatico senza alcun disagio emotivo, facendo una
valutazione positiva su di sé come persona e senza alcun disturbo a
livello corporeo. In genere viene percepito come qualsiasi altro ricordo
di situazioni che sono state altamente stressanti o traumatiche che
appartengono alla sua storia e che sono state elaborate nel tempo.
P
S I C T V
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