Verso
un approccio Mitologico-Zen: Teoria e Metodo.
di
Stefano Coletta
TEORIA:
La
nostra cultura ha idealmente represso tutto ciò che è oltre il
razionale. “L’inconscio, - dice Galimberti,- è ciò che non ha avuto
luogo, da quando ogni luogo, ogni regione, ogni patria sono stati occupati
per intero da quel linguaggio diurno che ha nominato tutte le cose secondo
la sua logica disgiuntiva” .
Infatti,
“quanto maggiore è l’unilateralità dell’atteggiamento cosciente,
tanto più i contenuti provenienti dall’inconscio si oppongono ad
essa” ci dice Venturini.
Questa
unilateralità del pensiero razionale, il nostro affidarci esclusivamente
ad esso, ha messo a tacere quell’Altrove, che non può essere catturato
da alcun linguaggio, perché pre-esistente al linguaggio stesso, perché
impronunciabile.
Morelli
dice “ritengo che all’interno del cervello esista uno spazio eterno
che appartiene a qualcosa di impronunciabile, indicibile”.
Soprattutto
lo Zen, con l’utilizzo dei Koan (paradossi assurdi usati per andare
oltre la mente razionale) ci sussurra l’idea di un mondo altro, al di là
della mente razionale, dove regna la “coincidentia oppositrum”: “Il
mondo fenomenico è il mondo della scissione, della differenziazione e una
diversa configurazione che presenti gli opposti (…) uniti e riconciliati
rimanda necessariamente ad un mondo altro” ci suggerisce Venturini.
I
Koan sono paradossi, domande senza senso, su cui l’allievo deve meditare
anche per svariati anni, al fine di andare oltre la mente dicotomica, al
di là della mente razionale.
La via verso questa mèta è simboleggiata dal toro, che rappresenta il sé,
e da diverse tappe finalizzate a trovare il toro mediante le sue orme,
lasciate in ogni dove.
Ma,
nella nostra cultura, attraverso quali mezzi possiamo sperimentare la
ricongiunzione degli opposti? Attraverso i Miti.
Essi,
come simbolo (sym-bàllein, tenere
assieme) compongono gli opposti in quella cosiddetta “Funzione
trascendente” come la chiama Jung, e
sono il luogo dove le divinità si presentano contemporaneamente benevoli
e terribili, unendo così i contrari.
L’Occidente,
ci dice ancora Galimberti, si è separato dai miti per “esprimersi in
quella unilateralità in cui sono le radici della sua alienazione” e
dove la razionalità relativizza e relega sullo sfondo tutte le immagini
simboliche che l’uomo si era fatto per orientarsi nel mondo e dominarlo.
Tra
le cose che la nostra cultura ha represso v’è senz’altro la morte, e
con essa la principale coppia di opposti Vita-Morte, che abbiamo
definitivamente separato: la vita è qui, ora, la morte sarà tra
cent’anni, e nello spazio tra Vita e Morte si consuma l’abisso di un
esistenza senza senso. Osho, come molti altri mistici, ci mette in guardia
da questo: “di solito si pensa che la morte arrivi al termine della vita
(…) ma se lo ritenete tale, significa che non siete riusciti a conoscere
la vita. La morte e la vita sono due polarità dello stesso fenomeno; la
morte accade in ogni istante”.
Quindi
non più la morte come fatto in sé ma come esperienza del morire e del
rinascere, “che la nostra cultura, impegnata solo ad esorcizzare la
morte, più non concede” aggiunge Galimberti; la morte la si vive
anticipatamente nei limiti dei progetti, nei confini che circoscrivono la
mia presenza, nell’anticiparsi del mio esserci,nell’heideggeriano
essere-per-la-morte.
La
morte come realtà psichica è la fine in sé, ma non può avere fine: si
manifesta in quelle cose, come guardare un quadro o affacciarsi alla
finestra, dove l’immagine non ha ne una fine ne un inizio, ne prima ne
dopo.
In
fondo, i disagi, facendoci avvertire fragili ed insicuri, ci fanno sentire
mortali, ed è forse questa la paura più grande: “tutte le paure sono
connesse alla morte” dice Osho.
Anche
il vissuto dell’attacco di panico, con la sua ”paura di morire”, ci
ricorda questo.
Se
quindi, provassimo ad avvicinare
la Vita
e
la Morte
, comprendendo che in questo istante sono contemporaneamente, allora
l’abisso si chiude, e giunge il senso dell’esistere.
Questo
“mondo-altro” che nella nostra concezione racchiude idealmente tutto
ciò che la nostra cultura ha represso, tutto ciò che la parola non può
dire e tutto ciò che è al di là del pensiero razionale, lo abbiam
chiamato Altrove.
Anche
la psicologia, con la figura sfondo, ci indica quell’ambivalenza,
quell’Altro senso, che la nostra vita ha.
Anzi, i confini della nostra vita sono tracciati proprio da
quell’infinito indicibile che è il mondo dell’Altrove.
Le
illusioni “figure-sfondo” (vd. Figure reversibili di Rubin) le useremo
come immagine-simbolo del disagio: così come quella brocca è formata dai
profili e viceversa, così il nostro mondo è delineato da tutto
quell’Altrove che la nostra mente non può afferrare.
Quando non diamo spazio a questo altro che ci accoglie e ci delimita,
quando cessano i significati simbolici, quando ci concentriamo solo sul
nostro Io che governa il nostro mondo, l’Altrove prorompe con i disagi.
Allora i disagi ci dicono che ci stiamo “limitando” al nostro mondo,
ci stiamo rinchiudendo lì, credendo che esista solo il nostro mondo non
dando spazio al regno dell’impronunciabile. Allora nasce il problema di
come ricongiungerci con questo altro, come farlo entrare nel nostro mondo.
METODO:
Come
dare spazio a questo Inquietante, a questo Invisibile?
I
miti Greci e lo Zen ci aiutano: i primi trasformano esperienze ed eventi
in entità, in dèi: Ares è il padre di Armonia, di Fobos (la paura) e di
Deimos (il terrore), dove non c’è la
fobia, ma Fobos, un entità, una divinità; un altro aspetto che li
caratterizza è poi la capacità di assumere diverse sembianze: e forse è
proprio in questo che si nasconde la loro capacità terapeutica. Lo Zen
invece, con la sua ricerca del “toro” o del sé, ci insegna a trovarne
le “orme” nel nostro quotidiano.
Cercheremo
di fare la medesima operazione con i disagi, ma senza riferirci
direttamente ad essi, poiché lo faremo col pensiero razionale; in fondo
Ade, re degli Inferi, è invisibile e non vuole e non può essere visto.
Allora
il primo passo è capire il carattere
del disagio, con quale espressione esso si manifesta, qual’ è la
caratteristica che più spaventa del disagio.
In questo sono importanti le parole con il quale è descritto.
Infatti
l’ansia, seppur chiamata con lo stesso nome, è differente per ciascuno,
anzi “ l’ansia non assomiglia mai a quella del giorno prima o di un
ora prima” specifica Morelli.
Una
volta scoperto il carattere con il quale il disagio si rappresenta,
scoprire nella vita quotidiana in quali altre forme si manifesta, oltre
che sotto forma di disagio.
Facciamo
un esempio: spesso ciò che maggiormente colpisce di un attacco d’ansia
è il fatto che colpisce improvvisamente, la sua imprevedibilità.
In
tal caso, “Imprevisto” ( e non l’
imprevisto) è la nostra “divinità”, e da qui considerarlo
soggettivamente.
Ora
si dovrà cercare nel quotidiano in quali altre forme si palesa
Imprevisto, in quali piccolezze; magari durante quel gesto banale, in
quella azione che facciamo sempre.
Quindi
l’obiettivo è cercare il “carattere” del disagio nella nostra vita
quotidiana, sotto altre vesti; è importante prendere atto che il
“carattere” del disagio è presente in altre forme per riconoscerlo
come parte di noi, del nostro mondo.
Dare
spazio a queste diverse manifestazioni significa da un lato comprendere il
carattere simbolico (che tiene assieme due significati) del disagio, che
si esprime sia attraverso il disturbo sia sotto altre forme, e
dall’altro apre i nostri confini a quell’Altrove, che preme per
entrare, e per portare in noi quel tanto temuto cambiamento.
BIBLIOGRAFIA:
Galiberti, U.,
“L’ospite inquietante”, Feltrinelli, 2007 (pg 20, pg 94)
Galimberti,U.,
“
La Terra
senza il male”, Feltrinelli, 2003 (pg 31, 49, 75,)
Galimberti,
U., “Psichiatria e Fenomenologia”, Feltrinelli, 2003
Morelli,
R., “Ciascuno è perfetto”, Mondadori, 2006 (pg 71)
Osho,
“L’arte di morire”, Giuntina, 1995
Osho,
“L’amore nel tantra”, Mondadori, 2009
Venturini,
R., “Coscienza e cambiamento”, Cittadella, 1998.
Per un maggior
approfondimento dell’uso dei miti in psicologia vedere:
Hillman,
J., “Il codice
dell’Anima”, Adelphi, 1997
Hillman,
J., “Vana fuga dagli dèi”,
Adelphi, 1991
Per
un maggior approfondimento dei miti Greci vedere:
Graves,
R., “I miti greci”, Longanesi, 1983
Per
un maggior approfondimento dei Koan e della cultura Zen:
Tetsugen
Serra, C., “Vivere Zen” Xenia,
1998
Mumon,
“La porta senza porta”, Adelphi, 1987
Per
un maggior approfondimento sulle illusioni ottiche:
Del
Miglio,C., “Manuale di psicologia generale”, Borla, 1998.
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