UNA
ESPERIENZA MISTICA
Dott.
Matteo Simone
Educhiamo
i nostri figli a vivere seguendo determinati binari riconosciuti,
approvati dalla società. Capita di avere delle potenzialità, degli stati
di consapevolezza che teniamo ben nascosti, spesso anche a noi stessi,
perché ci potrebbero causare problemi esistenziali a causa
dell’incomprensione da parte degli altri. Fortunatamente capita anche
che alcuni, per caso o per una loro forte determinazione, riescano a
sperimentare una percezione fuori dal normale che porta a una maggior
consapevolezza e a ri-scoprire così il proprio potenziale nascosto.
Un esperienza che considero mistica l’ho sperimentata personalmente
nell'area archeologica di Roca, comune di Melendugno (Lecce), dove si
trovano le due Grotte della Poesia. La grotta della Poesia Grande è una
enorme buca circolare, collegata al mare mediante un tunnel e profonda
poco più di tre metri.
La grotta era, in origine, un luogo di culto, probabilmente chiuso; vi si
entrava dal mare o dalla scaletta posta lungo il fianco della grotta,
scavata nel tenero tufo calcareo. In tempi più recenti, la volta è
crollata dando alla grotta l’aspetto attuale. Dalla grotta è possibile
imboccare un tunnel, largo tre metri e profondo due, ed uscire in mare
aperto.
La grotta della Poesia Piccola è un buco profondo una decina di metri.
Recenti ricerche hanno permesso il rinvenimento di numerose iscrizioni,
probabilmente in lingua messapica; narrano diverse leggende che gli
antichi abitatori di questi luoghi, prima di intraprendere una qualsiasi
iniziativa, scrivevano sulle pareti rocciose di questa grotta le loro
preghiere ed i loro desideri.
E’ una cavità scavata dal mare nel corso dei secoli che ha offerto
rifugio alla gente del tempo. Il nome della grotta deriva da posia un
termine della lingua greca del medioevo che indica sorgente di acqua
dolce, ed infatti nella grotta ci sono i segni di una fonte che scorreva
nel passato: la grotta si snoda nel sottosuolo in corrispondenza di una
fonte sorgiva di acqua dolce, che in passato le ha meritato il nome di
"Grotta della Fonte". Anticamente era adibita a luogo di culto
(collegato a due grotte contigue), dedicato a una divinità maschile
connessa a pratiche di guarigione, Thaotor Audirahas, successivamente
latinizzato in Tutor Adraius. Dalla grotta della poesia grande è
possibile accedere alla grotta della poesia piccola attraversando una
grotta buia che le separa.
Ho sperimentato questo passaggio durante l’intensivo del IV anno della
Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della Gestalt dell’Istituto
I.G.F. di Roma..
Ciò è potuto avvenire attraverso una serie di delicati passaggi che ho
affrontato grazie all’aiuto di persone di cui ho deciso di fidarmi.
L’intero percorso mi ha illuminato nel vedere ciò che è dentro di me
ed attorno a me, e mi ha permesso di utilizzare questa esperienza per
affrontare altre situazioni della mia vita non definite o lasciate in
sospeso.
Il primo passaggio è stato dalla grotta della poesia grande alla caverna
buia: questo passaggio è avvenuto con l’aiuto di Sol, una collega
dell’intensivo, con la quale abbiamo percorso, fidandoci l’uno
dell’altro, la grotta della poesia grande. L’ingresso nella grotta è
stato lento e graduale; l’interno è all’inizio totalmente buio, per
cui siamo entrati andando all’indietro, in modo da poter vedere la luce.
Alla fine dello stretto passaggio che entrava nella grotta, abbiamo
sentito del vento venire dalla nostra destra: con coraggio ho spostato la
gamba sulla destra ed ho constatato che non si toccava più; Sol, che è
più alta di me, ha allungato la gamba ed ha scoperto che ad un certo
punto il piede usciva dall’acqua. A quel punto, sempre indietreggiando
in modo da poter vedere la luce, mi sono spostato all’interno della
grotta mano nella mano con Sol e ci siamo ritrovati in questa grotta
totalmente buia.
E’ stata un’esperienza molto intensa: eravamo da soli in questa grotta
buia ed abbiamo indietreggiato fino a che si poteva toccare il fondo
sabbioso con i piedi, sempre rivolti alla luce proveniente dall’entrata.
Dopo la scoperta della grotta, siamo ritornati con altri amici con
accendini e candele ed abbiamo illuminato l’enorme caverna buia.
L’esperienza l’ho ripetuta con altre persone, e con ognuno è stata
diversa: c’era chi era più coraggioso, chi si fidava di più, chi aveva
paura del buio, chi che la grotta crollasse, chi aveva paura dell’alta
marea, chi aveva bisogno di andare adagio, chi aveva bisogno di fare più
tentativi.
In questi accompagnamenti ho potuto sperimentare l’unicità di ogni
persona: ognuno è un soggetto diverso dall’altro, ha un modo di porsi
in una situazione in base al proprio vissuto. Non posso non citare la mia
maestra A. Ravenna: “In Gestalt il contenuto del lavoro psicoterapeutico
è dato dai vissuti del cliente e del terapeuta ed in particolare dai
vissuti emozionalmente connotati. La parola vissuto può essere
considerata un’abbreviazione dell’espressione “esperienza così come
vissuta dalla persona” contrapposta alla obbiettività dei fatti.
Il vissuto, che per i gestaltisti si fonda su sensazioni e percezioni, si
realizza attraverso l’esperire”[1].
Alla caverna buia ci tornavo da solo e scoprivo sempre più cose, ad
esempio la vista si adattava sempre di più al buio e mi permetteva di
vedere la sabbia, o altre persone che riuscivano ad entrare; l’ultimo
giorno ho visto perfino la mia ombra riflessa su una parete dalla fioca
luce dell’ingresso!
Il giorno dopo la scoperta della gratta buia, una persona del posto che mi
aveva riconosciuto come frequentatore del suo bar, è entrata nella
caverna con due maschere ed una torcia subacquea dicendomi che c’era un
ulteriore passaggio nella caverna buia, che permetteva di accedere alla
grotta della poesia piccola, chiamata anche “grotta della fonte”,
affermando che gli sembrava che io potevo essere in grado di fare quel
passaggio. Mi ha spiegato che sarei dovuto andare in profondità per un
paio di metri per passare sotto una roccia e, facendo attenzione a non
graffiarmi, sarei poi dovuto risalire in superficie dall’altro lato. Lui
è andato per primo e dall’altro lato mi faceva luce; allora anch’io
mi sono immerso, sono passato sotto la roccia e sono risalito in
superficie dall’altra parte. Quando sono uscito con la testa fuori
dall’acqua, ho emesso un urlo che per me rappresentava, in quel momento,
uscire da alcuni secondi di incertezza, da uno stato non chiaro, di
rischio. Questo passaggio è stato significativo per me: è stato come
uscire da una sospensione, da un nascondiglio, come se in quel momento
potevo essere capace, potevo permettermi, potevo fidarmi di più delle mie
capacità. E’ stato un insieme di sensazioni piacevoli: ero stato
guidato da un quasi sconosciuto di cui mi sono fidato, che mi ha guidato
scendendo lui per primo e illuminandomi la strada; mi sono fidato di me
stesso e con tutto me stesso ho sperimentato di poter riuscire. Quando
sono riemerso, ho sentito il mio torace come se si fosse dilatato, e
questa dilatazione fosse da attribuire ad una consapevolezza maggiore: era
come se avessi una visione nitida, come se avessi fatto una scoperta, come
se quella esperienza fosse illuminante per me.
Dalla poesia piccola ho poi fatto il passaggio inverso, e da quel momento
tutto mi è stato più chiaro: era come essere entrato in un’altra
dimensione. Attraverso il tunnel ero entrato nella grotta della fonte, e
tornando indietro era come se mi fossi abbeverato alla fonte della vita,
della conoscenza, della saggezza; come se mi fossi portato qualcosa di
utile con me, qualcosa che mi permetteva di vedere con una visione più
chiara, più ampia, sia in me stesso che attorno a me. Sono tornato alla
mia vita di tutti i giorni con più entusiasmo, con la consapevolezza che
potevo tornare in mare aperto, potevo affrontare le situazioni, le
difficoltà, le cose in sospeso, potevo permettermi; insomma, potevo
vivere, esistere di più, e questo anche grazie ad una persona di cui mi
sono potuto fidare; anzi, è stata una fiducia reciproca che in poco tempo
ci ha permesso di condividere i nostri stati d’animo, un nostro spazio
condiviso. Nel vedere l’altro spiegarmi l’attraversamento, nel vedere
l’altro attraversare il passaggio, ho capito che potevo farlo anch’io,
“come se” l’avessi già sperimentato per due volte: la prima
ascoltando le sue spiegazioni; la seconda vedendolo fare a lui prima di
me.
In una intervista Edward Smith ha dichiarato: “Credo che la crescita si
verifichi in qualsiasi momento in cui io, con successo, vado più a fondo
di quanto non abbia fatto nella mia precedente esperienza. Perciò, quando
aumenta la densità delle mie esperienze positive, grazie a questo, io
cresco. Secondo ciò che dicono i Polster: Il confine del mio Io si è
ampliato per racchiudere in sé il più possibile di ciò che si può
sperimentare nel mondo. Ora, la parola con successo è vitale in questo
costrutto. Non significa solo sperimentare sempre di più, perché alcune
esperienze possono essere opprimenti. Posso non avere il supporto interno
necessario per sostenere certe esperienze. Oppure potrei essere oppresso
da queste.”[2]
Questa che ho descritto la considero un’esperienza prototipica,
iniziatica; la base, il punto di forza per le altre esperienze, quasi
un’esperienza sciamanica, intesa come evoluzione verso una nuova
conoscenza.
Come ha scritto B. N. Banstola: “Caratteristica peculiare dell’attività
sciamanica è il ‘viaggio’ in uno stato alterato di coscienza dentro
la realtà non ordinaria con l’aiuto di spiriti guida, generalmente
sotto forma di animali e il ritorno con conoscenze e poteri che servono
per la comunità e il singolo individuo. Gli spiriti guida, suoi alleati,
hanno diversi compiti: possono riconoscere la causa della malattia, essere
utilizzati per recuperare parte della forza vitale che si è persa,
accompagnare lo sciamano verso la luce nell’intricato labirinto di
ostacoli che percorre nel viaggio sciamanico. Ma gli spiriti alleati
rappresentano anche l’alter ego dello sciamano, la sua controparte
psichica, le forze mentali, gli archetipi a cui ricollegarsi per trovare
chiarezza. Dentro ognuno di noi c’e una parte sciamanica che aspetta di
essere risvegliata, un ‘bambino sciamano’ pronto a muovere i primi
passi in una realtà non ordinaria. Con un lavoro di sinergia tra corpo e
mente possiamo trascendere i soffocanti limiti della realtà ordinaria e
recuperare le conoscenze sciamaniche. Affinché si realizzi il viaggio
sciamanico nella realtà non ordinaria dobbiamo affrancarci dal legame
mente-corpo che caratterizza lo stato di coscienza ordinaria ed entrare
nello stato alterato di coscienza dove il mondo immaginale prende forma,
crea uno spazio senza spazio, un tempo senza tempo. Per risvegliare la
nostra coscienza sciamanica è importante riprendere il contatto con la
parte sacra della Natura, considerata come essere vivente, come fonte di
ispirazione per la nostra anima in cerca di spazi da esplorare. Attraverso
l’espansione della consapevolezza oltre a quello che viene vista come
‘ordinaria’ realtà individuale, possiamo scoprire che ciò che
occorre per affrontare le sfide della vita è dentro di noi. Ristabilendo
una consapevole connessione con il nostro vero essere scopriremo la nostra
natura multidimensionale e saremo in grado di capire il senso e lo scopo
della nostra vita e sapremo coltivarla nella sua unicità. Praticare lo
sciamanesimo vuol dire scoprire il senso trascendentale della vita,
affrancarci dalla schiavitù di schemi mentali rigidi che intrappolano in
spazi ristretti, diventare alchimisti delle nostre energie, pellegrini
dentro una foresta di emozioni, stati d’animo, traumi e trovare la
strada che porta alla luce, al divino”[3].
Tornando all’importanza dell’esperienza, soprattutto all’importanza
nell’accompagnare una persona nell’esperienza, ancora una citazione di
A. Ravenna: “Aristotele aveva differenziato due tipi di insegnamento: le
opere scritte e le opere tramandate oralmente.
Le opere tramandate oralmente fanno capo ad un tipo di insegnamento
particolare, che si chiama iniziazione. Non c’è per esempio nessuna
maniera di spiegare ad una persona che non lo conosce il sapore di una
mela, ma la si può accompagnare nell’esperienza di mangiare una mela.
L’iniziazione non è l’insegnamento di una conoscenza che viene
travasata da una persona all’altra, ma è un accompagnamento
dell’altra persona alla scoperta di qualcosa che solo lui può scoprire,
perché l’esperienza appunto non si travasa. La mia esperienza non
diventerà mai l’esperienza di qualcun altro, ma posso accompagnare
qualcun altro, con la mia esperienza, a fare la sua esperienza.
La conoscenza esperienziale, a differenza di quella concettuale, è
differente per ognuno”[4].
P
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