L’ESPERIENZA
CHE RIESCE AD ELEVARE LA CONSAPEVOLEZZA
Dott.
Matteo Simone
Siamo
abituati, culturalmente, a vedere le cose da punti di vista condivisi, e,
a trovare sempre delle spiegazioni a tutto ciò che succede intorno a noi.
Non accettiamo il verificarsi di fenomeni ai quali non vi è una
spiegazione chiara e condivisa.
CASTANEDA, studioso,
antropologo, interessato alla scoperta del mondo e di più mondi, incontra
un vecchietto, sembrerebbe per caso, questo vecchietto è definito un
esperto, saggio, sciamano, stregone che affermerà che l’incontro non è
stato un caso, ma un incontro deciso da forze/energie superiori, e, tra
loro, inizia una relazione maestro – allievo, ma inizia un percorso non
accademico solamente, ma ricco di esperienza vera, quella in grado di
causare un cambiamento, nella persona, una trasformazione, e non sarà
solamente un semplice passaggio di nozioni dal maestro all’allievo.
Si tratta di quel tipo
di esperienza che riesce ad elevare la consapevolezza.
Don Juan, avendo poco
tempo a disposizione per trasmettere tutto il suo sapere all’allievo
Castaneda, ha utilizzato metodi stravaganti per demolire le rigide
barriere mentali di Carlos - uomo accademico.
Secondo la visione
degli antichi veggenti, riportata da Castaneda, l’essere umano è
essenzialmente una creatura la cui prima ragion d’essere consiste nel
percepire. La percezione è il senso della vita, è su di essa che si
fonda e prende forma la realtà. Il problema è che l’essere umano si è
ridotto a percepire un’unica realtà, quando invece fu creato per
percepire e per vivere anche in altre realtà, in altri mondi sviluppando
così il proprio essere in un continuo processo evolutivo.
Altre realtà, mondi
paralleli… i “veggenti” descrivono la vita come differenti livelli
di esistenza, sovrapposti l’un l’altro similmente agli strati che
compongono una cipolla. Il fine ultimo della conoscenza sciamanica è la
conquista della libertà, atto che richiede di infrangere le barriere che
limitano la percezione delle realtà (o mondi) possibili.[1]
Castaneda sostiene che
Edmund Husserl è il primo occidentale che abbia ipotizzato la possibilità
della “sospensione del giudizio”. In Idee per una fenomenologia pura e
per una filosofia fenomenologia (1913), Husserl affronta il problema della
“epochè” o “riduzione fenomenologia”. Il metodo fenomenologico
non vuol negare, ma solo “porre tra parentesi” quegli elementi su cui
si fonda la nostra ordinaria percezione.
Castaneda afferma come
la fenomenologia gli abbia offerto la struttura teoretico-metodologica cui
è ricorso per apprendere gli insegnamenti di don Juan. Secondo questa
disciplina, l’atto del conoscere dipende dall’intenzione, non dalla
percezione. Quest’ultima è sempre soggetta alle mutazioni storiche,
vale a dire alla conoscenza acquisita dall’individuo che,
inevitabilmente, si trova a vivere in una determinata cultura.
“Il compito che don
Juan mi aveva affidato”, dice, “consisteva nell’incrinare, a poco a
poco, i pregiudizi percettivi, fino ad arrivare a una loro completa
rottura”. La fenomenologia “sospende” il giudizio e pertanto si
limita alla descrizione del puro atto intenzionale.”[2]
Ci capita di stare con
qualcuno, davanti a qualcuno, di vederlo, di guardarlo, ma di non stare
veramente in contatto con questa persona, di non cogliere aspetti
interessanti, fondamentali.
Secondo Castaneda, il
fatto più significativo nella vita di una persona è la propria
consapevolezza dormiente. L'obiettivo primario di un guerriero è di
elevare la propria consapevolezza. Incrementarla richiede disciplina, e
questa disciplina costituisce il modo di vita del guerriero. Don Juan
spesso utilizzò la metafora del guerriero, e disse a Castaneda, "Un
uomo va alla conoscenza come va alla guerra, con gli occhi aperti, paura,
rispetto e assoluta fiducia. Andare alla conoscenza o andare alla guerra
in ogni altro modo è un errore, e chiunque faccia questo tornerà sui
suoi passi."[3]
Don Juan Matus e gli
sciamani della sua stirpe intendevano la consapevolezza come l’atto di
essere deliberatamente consci di tutte le possibilità percettive
dell’uomo, non solo di quelle dettate da una determinata cultura il cui
ruolo sembra quello di ridurre le capacità percettive dei suoi membri.
Secondo don Juan, il
culmine della ricerca degli sciamani è ciò che considerava l’ultimo
fatto energetico, non solo per gli stregoni, ma per ogni essere umano.
Chiamò questo fatto il viaggio finale.
Il viaggio finale
consiste nella possibilità che la consapevolezza individuale, portata
alla sua massima espansione dall’adesione individuale alla cognizione
degli sciamani, potrebbe essere mantenuta oltre il punto in cui
l’organismo è in grado di funzionare come unità coesa, vale a dire
oltre la morte. Questa consapevolezza trascendentale fu interpretata dagli
sciamani dell’antico Messico come la possibilità della consapevolezza
degli esseri umani di andare oltre lo scibile, arrivando così al livello
dell’energia che fluisce nell’universo. Gli sciamani come don Juan
definirono la loro ricerca come il tentativo di diventare, alla fine, un
essere inorganico, vale a dire energia consapevole di sé, che agisce come
unità coesa, ma senza un organismo. Chiamarono questo aspetto della loro
cognizione libertà totale, uno stato in cui esiste la consapevolezza,
libera dalle imposizioni della socializzazione e della sintassi.[4]
Ne L’isola del tonal,
Castaneda presenta una descrizione dettagliata del tonal e del nagual. Il
tonal viene mostrato come lo spazio in cui agisce e si orienta l’uomo
comune durante la sua vita, esso include tutto quello che l’uomo pensa o
fa: il pensiero e la descrizione ordinaria della realtà sono il forte del
tonal, il quale comprende di fatto tutta la gamma del conosciuto. Secondo
Castaneda, per l’uomo della società scientifica non esiste
nient’altro che il conosciuto, tutta la sua esperienza cosciente si
restringe all’ambito del tonal, il quale inizia con la nascita e termina
con la morte.
Il nagual, invece, è
tutto ciò che resta fuori dal tonal. Castaneda descrive il tonal come
un’isola in cui l’uomo trascorre tutta la sua vita, senza sapere nulla
di ciò che si trova oltre i suo confini. Il nagual è tutto lo spazio di
mistero che circonda l’isola. Benché esso non possa essere compreso o
verbalizzato – dato che la comprensione e la parola corrispondono al
tonal – se ne può tuttavia essere testimoni, sperimentarlo. E questo è
uno degli obiettivi dello stregone, al quale non importa tentare di capire
o razionalizzare l’esperienza del nagual.
Intento, di questo
articolo, penso sia quello di provocare un effetto in chi lo legge che
credo possa essere diverso per ognuno.
Un effetto potrebbe
essere, ad esempio, quello di valutare la possibilità che ci possano
essere altre possibilità di esistere al mondo oltre a quello nostro
solito, tramandato di generazione in generazione e che è solo una modalità
tra le tante e non da considerare la migliore, né la peggiore.
Relazionarsi con altri
non è solamente una ricerca di conferma su se stessi o sull’altro ma
una ricerca delle proprie potenzialità considerando anche le ricchezze
dell’altro.
Carlos CASTANEDA,
partito per le terre messicane per uno studio sull’uso di droghe, ha
avuto la possibilità, la fortuna, di incontrare don Juan, uno sciamano
divenuto suo maestro, che ha ritenuto poter trasmettere i suoi saperi a
una persona che possa essere in grado di comprendere al di là del tonal,
considerata un’isola felice ma limitante perché nasconde tutto il resto
considerato irrazionale e denominato nagual.
Con don Juan è
iniziato un apprendistato attraverso metodi non soliti, non usuali,
rispetto a quelli accademici occidentali, che lo hanno permesso di
ampliare la consapevolezza su se stesso e il mondo che lo circonda,
portandolo a mettere in discussione l’unica possibilità sperimentata
fino ad allora di esistere che ha a disposizione l’uomo considerato
“comune, “banale”, che è all’insegna esclusiva della razionalità,
e quindi della “cecità”.
Queste sue esperienze,
CASTANEDA le ha volute descriverle attraverso dei libri, dei quali, in
quest’articolo, sono riportati alcuni brani che testimoniano i suoi
incontri con il maestro don Juan.
Queste poche righe
potrebbero offrire una riflessione sulla propria esistenza e
sull’eventualità che ci possano essere modi diversi, alternativi, altri
di stare al mondo.
[3]
C. Castaneda, Gli Insegnamenti di don Juan, Milano, Rizzoli, 1999:43
[4]
C. Castaneda, Gli Insegnamenti di don Juan, Milano, Rizzoli, 1999:19-21
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