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La corsa dal punto di vista di un atleta psicologo

Matteo Simone

 

 

Perché uno corre?

Si inizia a correre per esempio perché invogliati da un amico, o su indicazione di un medico, o per partecipare a una corsa non competitiva.

Che succede dopo aver provato a correre?

In genere non si torna subito a correre perché la fatica ha lasciato il segno, ma, per pochi diventa un’occasione per fare qualcosa insieme, per stare con altri, per frequentare un gruppo, per stare all’aria, per tenersi in forma.

Cosa può succedere dopo un periodo di allenamento?

Capita che uno riesce nella corsa a non stancarsi subito, a stare al passo con altri che corrono da più tempo, che si viene invogliati ad allenarsi meglio e a partecipare a competizioni.

Cosa succede partecipando a competizioni sportive?

Può succedere che non si regge lo stress o che, al contrario, si arrivi al traguardo prima di altri, e si viene riconosciuti come persone in gamba che riescono.

Cosa si va incontro riuscendo nelle competizioni sportive?

Si sperimenta qualcosa di nuovo, si viene riconosciuti alle gare come persona da battere, si inizia a pensare a diventare sempre più forti, quindi si chiede ai più bravi come fare per migliorare le prestazioni, si chiedono programmi di allenamento, ci si mette d’accordo con i più forti per allenarsi assieme, la corsa diventa una cosa importante della propria vita, uno spazio e tempo da investire, qualcosa di prioritario nella giornata, quindi ci si sveglia pensando a quando ci si può allenare, come con chi e a quale gara partecipare per verificare il proprio potenziale.

Cosa succede nella propria famiglia?

Ci si allontana, perché per gareggiare a buoni livelli bisogna allenarsi giornalmente e quindi i familiari devono capire che uno ha questa esigenza, questo è il punto di vista dell’atleta. Mentre il punto di vista dei familiari è: “preferisce la corsa a noi”.

Cosa succede quando avviene un infortunio?

Per l’atleta è grave perché bisogna riposare e questo causa una caduta di forma e una non possibilità di migliorare le prestazioni, quindi si diventa nervosi perché gli altri vanno più forti, non potendosi allenare l’atleta rompe un abitudine considerata positiva, salutare, non può incontrare gli amici di allenamento che parlano delle sue prestazioni, non ha più le esigenze prioritarie di allenarsi. Si è disposti ad allenarsi anche con gli infortuni perché all’atleta non va giù di fermarsi, deve riempire lo spazio della giornata dedicato alla corsa, non può rischiare di perdere la forma. Al limite, si fa ricorso ad antiffiammatori, al ghiaccio, si chiede ad altri se gli è capitata la stessa cosa, una cosa è certa l’atleta non è disposto a fermarsi per nessun motivo, se si rivolge ad un medico specialista generico gli viene detto di fermarsi, ma lui non lo fa, non è d’accordo, se si rivolge ad uno specialista dello sport gli viene detto: “non ti dico di fermarti, perché conosco voi sportivi, ma ti invito ad usare una scarpa più protettiva, ad usare plantari, a fare nel frattempo delle indagini”.

Cosa succede quando si arriva ad un punto in cui non si migliora più?

L’atleta quando arriva al massimo delle sue prestazioni, delle quali se ne parla raccontando le prestazioni migliori, decide di fare qualcos’altro per fare in modo che gli si riconosca qualcosa nonostante sia fuori forma o per l’età o per infortuni cronici, un modo è quello di passare a gare estreme, in modo che si diminuisce la qualità della prestazione e aumenta la quantità, per esempio si passa a partecipare alle ultra, così si può parlare delle sue prestazioni estreme, per esempio corse di 100 km ecc., ci sono atleti che diventano dipendenti della corsa e non smettono mai, se non gli viene concessa l’idoneità all’attività agonistica, fanno carte false per partecipare a gare, diventano presuntuosi, loro si conoscono bene e decidono che un medico non può decidere sulla loro salute, ma devono solo rilasciare un certificato dietro pagamento di un corrispettivo, anche perché molti atleti decidono che la loro vita è la corsa, quindi non correre significa non vivere. Per non parlare degli integratori, fino all’assunzione di sostanze dopanti. Al corridore che corre perché correre significa vivere non importa gli effetti collaterali di sostanze dopanti, l’importante è che non si ferma e che continua a ben figurare nei confronti di se stesso e degli altri. Ma per molti correre significa stare con altri, confrontarsi con altri, partecipare a manifestazioni sportive, provare lo stress pre gara, la soddisfazione di portare a termine una gara, la possibilità di conoscere gente diversa e relazionarsi senza pregiudizi dandosi del tu a priori senza sapere lo status dell’altro, si va al parco, si incontra sempre le stesse persone e si parla di corsa e non solo, si incontra gente nuova e si approfondisce la conoscenza. Questo è il mondo del podismo amatoriale visto da un podista psicologo.

 

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