Il Soccorritore – Madre.
Dal
latino succurrere composto da sub (sotto) e currere (correre), il termine
soccorso significava in origine correr sotto, divenendo poi accorrere,
venire in aiuto quando il bisogno incalza. Il “soccorso” è un
intervento attivo mediante il quale una persona viene tratta in salvo da
una situazione di pericolo a cui non può sottrarsi da sola e che gli ha
anche causato del danno. L’attività di soccorso si caratterizza per il
coinvolgimento della sfera delle emozioni e delle strategie di coping
utilizzate dal Soccorritore stesso, per cui egli finisce chiaramente per
essere implicato attivamente dalla vittima e dall’emergenza stessa
derivandone la necessità di essere pertanto in grado di saper gestire
responsabilmente le emozioni proprie ed altrui. E questo è per
l’appunto il paradosso di chi opera come Soccorritore nelle emergenze:
dover cioè necessariamente “funzionare in modo sano” in una
condizione in cui a tutti gli altri è invece concesso di “funzionare in
modo anomalo”. Le ricerche in campo scientifico sugli effetti a breve e
lungo termine sulle reazioni psicologiche nei Soccorritori sono piuttosto
recenti; pionieristico è il lavoro di Lifton del 1967 volto a verificare
gli le conseguenze delle devastazioni conseguenti allo sgancio della bomba
atomica su Hiroshima: gli operatori del soccorso tendevano a mostrare
reazioni di rabbia, ostilità, odio e risentimento che interferivano nella
vita quotidiana. Ad oggi possiamo affermare con certezza scientifica che
ripetute esperienze di esposizione a situazioni drammatiche portano gli
Operatori dell’Emergenza (soprattutto quelli che arrivano per primi sul
luogo) al rischio di sviluppare diversi disturbi, proprio per il reiterato
ed inteso contatto nel tempo con i fattori di stress. Tra gli eventi
maggiormente stressanti che il Soccorritore deve fronteggiare ritroviamo
in primis la morte o il ferimento grave di un collega; seguono gli eventi
che coinvolgono bambini o neonati; gli eventi che coinvolgono molte
persone; scenari particolarmente cruenti; la perdita di una vittima dopo
ripetuti tentativi di trarla in salvo o di mantenerla in vita; la presenza
di stimoli particolarmente angosciosi. Come fattori stressanti tipicamente
legati all’attività del soccorso ritroviamo inoltre la necessità di
agire e prendere decisioni in breve tempo e con lucidità, insieme al
notevole carico fisico e mentale che ciò comporta; la possibile carenza
di risorse necessarie rispetto a quelle realmente disponibili sul luogo;
l’esposizione diretta del Soccorritore a condizioni rischiose o
pericolose per la propria salute; non riuscire nel proprio intervento, con
la possibile imputazione a se stesso del fallimento. Inevitabilmente
possono in aggiunta innescarsi meccanismi di identificazione proiettiva
con la vittima o con le circostanze che portano il Soccorritore a rivivere
eventi passati o a stabilire un legame psichico con la persona soccorsa,
un legame talora così rigido da non volerla lasciarla andare o vivere la
sua guarigione come una vera e propria perdita affettiva. Da non
dimenticare poi la possibile eventualità che il Soccorritore non possa
sentirsi adeguato all’emergenza o al contesto d’azione, sia dal punto
di vista professionale che umano: chi mai, dei soccorritori intervenuti
l’11 settembre 2001 a Grund Zero, avrebbe potuto dirsi pronto ad
affrontare un’emergenza dai risvolti umani e professionali al di fuori
di ogni scenario immaginabile dalla mente umana. Ecco dunque che il
Soccorritore è chiamato a dover gestire attivamente e responsabilmente la
propria condotta non soltanto durante l’azione ma anche dopo che essa
sia esaurita: il dopo comporta infatti la rielaborazione del carico
emotivo represso durante l’azione, l’insieme dei vissuti indotti dalla
separazione dagli altri soccorritori e le aspettative relative al ritorno
alla vita quotidiana. E’ dopo l’azione di soccorso che l’Operatore
può trovarsi a sperimentare sentimenti e desideri ambivalenti oscillanti
tra la voglia di tornare a casa insieme al timore della conflittualità
con i familiari che teme non possano capirlo. Inevitabilmente
l’esperienza del soccorso cambia profondamente l’Operatore che a casa
non sarà più lo stesso; avrà difficoltà nel distendersi, nel
rilassarsi, nell’addormentarsi; potrà sentirsi triste, teso, o rivivere
ancora gli episodi trascorsi accompagnati dai relativi vissuti emotivi
particolarmente forti. Possiamo dunque immaginare il ruolo del
Soccorritore rapportandolo a quello di una madre alle prese con il suo
bambino: la Vittima e l’emergenza generano emozioni intollerabili,
elementi beta, terrore senza nome, che proiettate nel Soccorritore - Madre
necessitano di accoglienza, tolleranza, trasformazione in elementi alfa.
Le implicazioni che ne derivano sono difficilmente controllabili e minano
continuamente l’equilibrio psichico dell’aiutante generando spesso una
sintomatologia psicosomatica con disturbi comportamentali quali
depressione, stanchezza, irritabilità, insonnia, ansia, affaticamento
eccessivo, isolamento, fino allo sviluppo di veri e propri disturbi
psichiatrici, tra cui il Disturbo Post Traumatico da Stress, il Disturbo
Acuto da Stress, la Depressione, lo Sviluppo della sindrome del Burnout,
lo sviluppo di Condotte di Abuso di Sostanze. L’esperienza del
Soccorritore che è empaticamente vicino alla vittima è per questo stata
definita come una traumatizzazione vicaria: un processo cumulativo tramite
cui l’esperienza interna del Soccorritore risente negativamente
dell’esperienza traumatica della Vittima nella sfera cognitiva (con
comparsa di pensieri intrusivi, eccessiva preoccupazione), nella sfera
somatica (aumento della frequenza cardiaca, del respiro e della pressione,
nausea, vomito, diarrea, sudorazioni), nella sfera emotiva (da una
massiccia identificazione con la vittima fino a stati depressivi,
tristezza, insieme a disturbi del sonno, apatia, debolezza, vulnerabilità
e senso di inadeguatezza); nella sfera relazionale (allontanamento dalla
famiglia, dagli amici, dal partner perché ritenuti non in grado di
comprendere; insieme all’aumento delle condotte di abuso di sostanze
come alcool, droghe, fumo). E’ chiaro dunque che da una normale
condizione di stress positivo, un comportamento adattivo volto alla messa
in allarme di tutto l’organismo utile alla sopravvivenza, il
Soccorritore rischia nel tempo di sviluppare stress negativo,
caratterizzato da un prolungarsi dello stato di allarme dovuto alla
continuità della percezione del pericolo con ripercussioni sul fronte
psicologico e sul fronte fisico. Il processo elaborativo Soccorritore -
Madre può dunque non funzionare quando il contenitore è troppo fragile,
stanco, impreparato, spaventato, o rigido, così da non riconoscere le
emozioni, ignorandole, non elaborandole, con ripercussioni profonde e
significative delle aree dell’identità personale e professionale, il
sistema dei valori e delle credenze, il livello di autostima personale,
dell’autoefficacia personale, la percezione della propria competenza.
E’ per questo che è necessario ricorrere a fattori di prevenzione e di
protezione contro la traumatizzazione vicaria quali:
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