I
MEDICI E LA PSICOTERAPIA
Valentina
Sciubba
I termini
“diagnosi, prognosi e terapia” sono tipici del linguaggio medico. La
diagnosi è il primo obiettivo che il medico si prefigge poiché
ovviamente gli è necessaria per poter impostare il trattamento
terapeutico e al fine di pervenire ad essa egli si avvale di vari
strumenti: raccolta della storia del paziente, visita, analisi, esami
ecc.. Solo in una minoranza dei casi e nella mancanza di una diagnosi
certa il medico può ricorrere a una diagnosi “ex iuvantibus” vale a
dire formulata sulla base del tipo di cura che ha funzionato. Dovrebbe
pertanto essere particolarmente chiaro ai medici che anche la psicoterapia
abbisogna di una diagnosi per essere correttamente impostata e condotta.
Orbene di quale tipo di diagnosi abbisogna una psicoterapia? Certamente
non sono sufficienti i criteri dettati dal DSM IV per la classificazione e
il riconoscimento dei disturbi mentali. Questo manuale infatti fornisce
criteri obiettivi, osservazionali che permettono di distinguere un
disturbo dall’altro, ma che nulla ci dicono
sulla soggettività dell’ammalato, ovvero su come il paziente
vive le proprie relazioni con se stesso, gli altri e l’ambiente in senso
lato, né ci parlano se non molto raramente del tipo di possibili traumi
subiti dallo stesso o delle effettive situazioni relazionali patologiche o
comunque disturbanti in cui è coinvolto.
Una
descrizione obiettiva del comportamento e persino del tipo di relazioni
instaurate dall’individuo non sono sufficienti per arrivare a una
diagnosi che sia soprattutto
“relazionale” nel senso sopraindicato e che sia pertanto squisitamente
psicologica: l’unica che può permettere l’impostazione di una
psicoterapia. Quest’ultima infatti si propone il cambiamento di
comportamenti, sentimenti, percezioni ecc. e a tal fine deve andare ad
incidere sul Sistema Percettivo Reattivo dell’individuo vale a dire su
come esso percepisce se stesso e il mondo e reagisce a queste percezioni.
In altre parole è indispensabile indagare sulla “soggettività”, non
solo su ciò che appare obiettivamente. Ugualmente indispensabile è
indagare sul contesto interattivo-relazionale dell’individuo, sulle
situazioni di disagio sociale e ambientale e spesso sui traumi subiti,
semprechè abbiano un’influenza sullo stato presente.
Persino
gli approcci psicoterapeutici che dichiarano di disinteressarsi dei traumi
del passato, a mio avviso hanno successo solo se le problematiche
scatenate da quegli stessi traumi e tutt’ora operanti vengono comunque
superate e aggirate, pur non essendo prese in esame direttamente.
La
cura farmacologica può prescindere da una diagnosi psicologica (pur con
le dovute riserve in campo psicosomatico), la psicoterapia no. Qualunque
psicoterapia che proceda senza almeno un’ipotesi psicodiagnostica,
un’indagine e una diagnosi psicologica procederebbe alla cieca.
Gli
psicologi sono tenuti a superare un esame di stato in cui devono
dimostrare, non solo di conoscere la psicologia generale, ma di saper
effettuare una diagnosi psicologica clinica e persino psichiatrica;
infatti devono saper anche classificare i disturbi secondo la nosologia
del DSM IV, pur non rientrando questa classificazione nello
“specifico” della diagnosi psicologica. Nella stessa prova devono
inoltre dimostrare di conoscere le linee guida del trattamento
psicoterapeutico, in altre parole di saper impostare una psicoterapia
precisandone non solo il tipo (individuale, familiare ecc.), ma gli
obiettivi e le strategie di carattere generale per la cura delle relazioni
interpersonali patologiche, il
cambiamento del contesto
socio-ambientale ecc.
Quale
garanzia con le norme attualmente in vigore hanno gli utenti
e lo Stato che i medici autorizzati alla psicoterapia sappiano
effettuare diagnosi non solo psichiatrica, intendendo per essa quella che
soddisfa i criteri del DSM IV, ma anche psicologica? Attualmente nessuna,
infatti i medici non sostengono alcun Esame di Stato che verifichi
il possesso di questa capacità, essendo il loro Esame di Stato incentrato
su tutt’altre materie specificamente mediche e chirurgiche. Pertanto, a
meno di prevedere norme che colmino questa gravissima lacuna, allo stato
attuale dovrebbe essere loro impedito di esercitare la psicoterapia. Se a
ciò si aggiungono considerazioni sulla loro vocazione
squisitamente medica, pertanto sulle loro attitudini e la generale
predisposizione a curare farmacologicamente, la situazione si presenta
ancora più grave. Infatti la psicoterapia è per definizione una cura che
usa come strumenti le parole e le relazioni; quale preparazione in questo
campo possono dimostrare legalmente di avere i medici?
E’ lecito domandarsi a quali gravissimi rischi sono stati e sono
tutt’ora esposti i cittadini che si rivolgono agli psicoterapeuti
medici.
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