IL PANICO NELL’ATTIVITA’ SUBACQUEA di Salvo Capodieci (da www.terapiedigruppo.info )
Premessa Numerosi studi hanno dimostrato che oltre la metà dei sub esperti ha sperimentato almeno una volta un attacco di panico [1,2,3]. In una situazione di panico, il sub ha una sola cosa in mente: raggiungere la superficie il più rapidamente possibile; in simili circostanze dimentica di respirare normalmente, con il risultato di una possibile embolia gassosa arteriosa. Il panico può essere un segnale quando si presenta uno stimolo oppure può insorgere in modo spontaneo se si presenta in assenza di un elemento scatenante (a parte, forse, un semplice pensiero o un’idea); in confronto con “l’attacco o fuga” dell’ansia, i segni e i sintomi del panico sono più pronunciati. L’attacco di panico ha un esordio improvviso, raggiunge molto rapidamente un picco sintomatologico (10 minuti o meno dall’insorgenza), svanisce entro 60 minuti ed è spesso accompagnato da un senso di catastrofe imminente e dall’urgenza di allontanarsi. La sintomatologia del panico è molto più debilitante della crisi d’ansia; il pensiero razionale viene sospeso e le persone possono restare bloccate, ad esempio rimangono fisse in una posizione oppure reagiscono in modo imprevedibile o in modo da mettersi in pericolo [4]. L’attacco di panico Uno studio [5], tra chi pratica attività subacquea, ha evidenziato che il panico è più alto fra le donne (64%) rispetto agli uomini (50%), ma che sono maggiormente questi ultimi (48%) che percepiscono questo evento come una minaccia alla propria vita (nelle donne la percentuale è del 35%). Anche subacquei con molti anni di esperienza possono sperimentare un attacco di panico. Una possibile spiegazione è data dall’ipotesi che in tali situazioni il subacqueo, perdendo la familiarità con gli oggetti dell’ambiente circostante, sperimenti una forma di deprivazione sensoriale. Questo fenomeno è stato definito “Blu Orb Syndrome”, che ha delle caratteristiche che lo avvicinano all’Agorafobia (ovvero la paura degli spazi aperti) che può accompagnare il panico sulla terraferma [6]. Gli attacchi di panico si suddividono in: a) attacchi di panico inaspettati (non provocati): il subacqueo non ha alcun fattore di stress e avverte l’attacco a “ciel sereno”; b) attacchi di panico causati dalla situazione (provocati); ad esempio, la perdita d’aria o altri malfunzionamenti dell’attrezzatura, il disorientamento in un relitto o in una grotta, una visibilità molto ridotta o il non vedere più il compagno di immersione. c) attacchi di panico sensibili alla situazione; ad esempio, un attacco di panico si manifesta dopo mezz’ora in cui si è incrociato uno squalo o dopo aver effettuato una discesa nel “blu” lontano dalla parete. E’ stato osservato che individui ansiosi, sottoposti ad esercizio fisico intenso mentre indossano una maschera, se la strappano via dal viso se credono di non poter respirare adeguatamente. E’ stato riferito di subacquei in preda al panico, che si toglievano l’erogatore e resistevano se il compagno cercava di rimetterglielo in bocca, nonostante avessero le bombole cariche ed un sistema di erogazione perfettamente funzionante.
La gestione del panico La gestione del panico deve comportare qualcosa in più del semplice non immergersi oltre i propri limiti e deve richiede una buona conoscenza delle proprie debolezze e caratteristiche personologiche. Il “panic behavior” del subacqueo ha spesso un fattore scatenante, come una diminuzione della visibilità, una perdita d’aria, il restare intrappolato in un letto d’alghe e così via. Utilizzare un attrezzatura inadeguata o programmare un’immersione molto impegnativa sono aspetti che possono accrescere le possibilità di un episodio di panico. Questi problemi possono essere prevenuti o ridotti al minimo con un buon addestramento e un’adeguata prudenza. Le persone, nelle quali l’ansia è una caratteristica stabile e perdurante della personalità, hanno maggiori probabilità di sviluppare un disturbo d’ansia o un attacco di panico durante un’attività subacquea. Questi soggetti dovrebbero effettuare un addestramento più prolungato, meglio se personalizzato con un istruttore e limitare la propria attività alle immersioni ricreative che non comportano l’obbligo di tappe di decompressione. Attualmente non esiste una tecnica psicologica che escluda il rischio dell’insorgenza di un attacco di panico. Trattamenti con biofeedback, ipnosi, imagery e tecniche di rilassamento sono state utilizzate per ridurre la risposta ansiosa in subacquei esposti a vari stressor, ma non sono risultate sempre efficaci. Alcune ricerche hanno mostrato, per esempio, che l’ipnosi riesce a ottenere un rilassamento nel subacqueo, ma che può avere effetti indesiderati come una mancanza di energia. Le tecniche di rilassamento, infine, devono essere attentamente valutate perchè possono portare ad un incremento dell’ansia e degli attacchi di panico in soggetti ipercontrollati o molto ansiosi. Conclusioni Individui con una storia di disturbo d’ansia e di panico dovrebbero essere identificati e sottoposti ad un addestramento specifico che riduca il rischio potenziale di riacutizzazione del disturbo. Il problema è proprio che le persone che aderiscono a questa attività ricreativa, che sta diventando sempre più popolare, non conoscono i rischi e i pericoli che può comportare. E’ fondamentale che chi pratica attività subacquea possa riuscire ad avere un dialogo interiore relativo ai propri sentimenti d’ansia in una determinata situazione. Aspettative, fantasie negative, preoccupazioni, sono tutti aspetti che possono trarre in inganno facendo sperimentare una situazione in modo più negativo di quello che dovrebbe essere e solitamente ancor prima che ci si imbatta nella situazione stessa.
Bibliografia
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