PORTARE
UN BAMBINO ADDOSSO:
IL
CONTATTO PELLE A PELLE CHE CREA LEGAMI D'AMORE TRA GENITORI E FIGLI
Federica
Mattei
In
tutto il mondo fin dall’alba dei tempi i bambini vengono portati sul
corpo dei genitori o dei fratelli più grandi.
Ai giorni odierni questo modo di accudire i bambini rimane
soprattutto nelle culture ancorate alla tradizione.
Questo contatto continuo avviene semplicemente sorreggendo i piccoli con
le braccia o, molto più comodamente, tramite altri mezzi quali fasce,
amache o imbragature di tessuto, ceste, reti, culle con i manici e altri
ausilii.
Purtroppo nel corso dei secoli in Italia e in Europa questo modo di cura
si è perso perché si è lentamente insinuato l'assurdo convincimento che
portare un bambino addosso sia un modo di "viziarlo" e di
compromettere la formazione del suo carattere e della sua autonomia.
Questa convinzione probabilmente è nata e viene continuamente rafforzata
dal fatto che tutti i genitori possono constatare che un bambino dorme
beatamente in braccio e si risveglia non appena viene messo nella culla;
che il posto preferito di tutti i bambini sono le braccia dei propri
genitori.
Si è perso però di vista il fatto che questa reazione dei bambini non è
che l’espressione del loro istinto di sopravvivenza, iscritto nella
parte più atavica del cervello e così i genitori, influenzati anche dai
pareri dei nonni e di molta letteratura sull'infanzia, scambiano per un
“vizio” il pianto di richiamo dei figli e si ritrovano a cercare di
contrastare l’istinto che li spinge a tenere in braccio i propri figli.
PERCHE’ E’
DELETERIO PRIVARSI DELLA GIOIA DEL CONTATTO.
Rinunciare a portare addosso il proprio figlio per paura di nuocergli,
oltre a non avere un fondamento né scientifico, né psicologico, né
sociologico, significa rinunciare ad avere a disposizione un valido
strumento di relazione per entrambi.
Studi
scientifici suggeriscono che il contatto pelle a pelle porta innumerevoli
benefici sia alla madre (che ha una migliore e più prolungata lattazione
e cade meno nella depressione post-partum), sia al padre (che si sente
realizzato come care-giver competente), ma soprattutto al bambino che può
compiere felicemente la sua esogestazione, ha un maggiore incremento
ponderale, meno coliche gassose e soprattutto molti benefici psichici.
Di contro l’evidenza maggiore del mancato contatto è la fatica che
provano sia genitori che figli:
-
I genitori sono stanchi e stressati da un bambino che piange e che chiede
fortemente che venga soddisfatto il suo bisogno di contatto; questo fa si
che essi sentano di avere una capacità inadeguata di prendersi cura del
proprio bambino.
-
Il bambino viene spossato dalle frequenti crisi di pianto (che sono il
modo con cui cerca legittimamente di comunicare il disagio che provoca in
lui il distacco e di richiamare l'attenzione dei genitori per aiutarlo...ecco
perchè smette di piangere quando lo si prende in braccio, perché la sua
richiesta di aiuto è stata accolta!), a causa dei suoi richiami
inascoltati
immagina ed interiorizza un mondo inospitale e indifferente ai suoi
bisogni e questo porterà sicuramente delle conseguenze, probabilmente
anche deleterie, per la sua psiche in formazione.
Insomma il mancato contatto porta sicuramente disagio, sofferenza e spreco
di energie.
Tutto ciò potrebbe essere risparmiato sia ai genitori che ai figli se un
maggior numero di operatori sapesse che la richiesta di vicinanza che il
bambino fa ai genitori è assolutamente naturale e fisiologica; che per il
bambino il contatto non è una dimostrazione di vizio ma un bisogno
fisiologico importante che va soddisfatto, comparabile a quello
dell'essere sfamato,
che se si informasse di questo i genitori molti problemi di
relazione col neonato sarebbero risolti o non sorgerebbero affatto.
DALLA PARTE DEI
BAMBINI
Immedesimiamoci in un neonato.
Per nove mesi il bambino è stato cullato dal movimento del corpo della
madre, dai battiti del suo cuore, dal suono della sua voce.
E' stato contenuto in un bozzolo che gli dava calore, sostegno, che gli
forniva un appoggio che gli rendeva possibile qualsiasi movimento.
Gli stimoli esterni, se passavano, arrivavano comunque filtrati e
attutiti.
Alla nascita il bambino viene catapultato in un mondo pieno di luci e di
rumore, viene esposto a sbalzi di temperatura, si ritrova impossibilitato
a muoversi in una culla che non offre quel dondolio,quel battito costante
che scandiva le sue giornate... Oltretutto la parte istintiva ed atavica
del suo cervello segnala la situazione di pericolo data dalla lontananza
della madre, l'unica fonte certa di cibo e protezione(Ad es. la permanenza
dell'oggetto, cioè la nozione che la madre esiste anche se si allontana,
non viene raggiunta prima di alcuni mesi di vita).
Mettendosi nei suoi panni direi che c'è di che piangere!
DALLA PARTE
DELLE MADRI
Immedesimiamoci
in una madre.
Per nove mesi la madre ha portato suo figlio in grembo, lo ha tenuto al
sicuro,lo ha sentito muoversi dentro di lei.
Si sentiva perfetta e completamente competente per accudire la nuova vita
in arrivo.
Dopo la nascita però la prospettiva cambia bruscamente.
Il bambino spesso viene allontanato subito dopo il parto per lunghi
periodi di tempo e lei si ritrova fisicamente svuotata e moralmente
privata della dolce compagnia di suo figlio.
Non menzioniamo poi i casi in cui il piccolo è prematuro e viene
allontanato anche per mesi! In questi casi capita che i genitori, al
momento delle dimissioni, si ritrovino di fronte un piccolo che quasi non
ha con loro dimestichezza al contatto fisico .
In ogni caso la madre soffre del distacco, anche se a volte questa
sofferenza si esprime solo a livello inconscio,e se prova ad esprimere il
disagio di questa situazione le viene detto che è meglio così, che si
deve riposare,che il bambino deve essere lasciato in pace e che non
bisogna viziarlo...
Il suo cervello evoluto può forse concordare con ciò che le viene
suggerito, anche perchè spesso nell’attuale società non si ha pratica
reale con i neonati; può essere che il suo bambino sia il primo neonato
che arriva in famiglia da decine di anni!
Al contempo il suo cervello atavico le manda segnali continui di
allarme per la lontananza del piccolo e ciò non fa altro che risvegliare
in lei sentimenti di inadeguatezza che,uniti al pianto incessante del
bimbo che richiede a gran voce la sua presenza, spesso portano alla
depressione post partum.
E
IL PADRE?
Il padre durante la gravidanza è stato il custode della diade
madre-figlio, presenza silenziosa e protettiva che sapeva soddisfare i
bisogni della sua donna e del suo piccolo in arrivo.Durante il parto è
stato di supporto, aiutando la respirazione della partoriente, tenendole
la mano, aiutandola a portare a compimento il miracolo della venuta alla
luce del figlio tanto atteso.
E dopo la nascita?
Ecco che egli spesso si trova schiacciato tra le richieste pressanti del
figlio e della madre senza sapere come essere d'aiuto.
Non ha mai potuto vivere la sensazione di suo figlio racchiuso nella
quiete del corpo e non sa perchè la sua compagna si senta così svuotata
e suo figlio così inquieto.
Spesso madre e figlio sono così presi dai loro bisogni insoddisfatti di
vicinanza che il padre si ritrova tagliato fuori e si sente messo in
discussione come compagno e come genitore.
LE CERTEZZE DEL PORTARE A CONTATTO.
Ma
perchè si può affermare con sicurezza che il posto ideale per un bambino
è addosso al genitore?
Un
neonato umano,secondo la definizione dei biologi comportamentali
Hassenstein e Kirkilionis,fa parte della categoria dei "portati
attivi".
Cosa
significa questa definizione?
Il
neonato umano è un essere abbastanza maturo dal punto di vista fisico e
può perciò sopravvivere nell'ambiente extrauterino, ma è al contempo
molto immaturo nello sviluppo motorio, tanto da avere la sopravvivenza
garantita solo se rimane a stretto contatto con la madre. Egli perciò
dispone di riflessi innati atti ad aggrapparsi al corpo della madre, allo
scopo che ella lo porti con se fino al raggiungimento delle competenze
motorie che lo renderanno autonomo e capace di sopravvivere anche lontano
da lei. Ecco perché si può affermare che un neonato è fatto per essere
portato addosso dal punto di vista biologico-comportamentale.
Dal punto di vista strettamente anatomico un neonato ha una curvatura
delle tibie tale da formare una sorta di tenaglia atta a far meglio presa
sul corpo del genitore, assume spontaneamente una posizione con le gambe
flesse e divaricate davanti al corpo in modo da facilitare l'essere
sollevato, ha una curvatura della colonna vertebrale che favorisce la
posizione rannicchiata sul corpo del genitore piuttosto che quella
sdraiata in culla.
Un neonato perciò è naturalmente predisposto (anche dal punto di vista
anatomico,fisico e psichico)a stare addosso al genitore e ad essere
portato.
Nonostante queste indicazioni siano conosciute da anni nel mondo
scientifico pochissimi genitori sanno che il bambino, nonostante sia sazio
e pulito, potrebbe piangere semplicemente per esprimere il bisogno
fisiologico di stare a contatto con loro.
IN BRACCIO COME PREVENZIONE, NON COME CURA.
In uno studio del pediatra svizzero Dr. Hunziker pubblicato su Pediatrics
nel 1986 è stato dimostrato che nel gruppo di bambini che era portato in
fascia per tre ore al giorno alla sesta settimana di vita la durata dei
momenti di pianto era ridotta del 48%.
Perciò portare un neonato riduce il suo pianto e con esso le cosiddette
"colichette" che spesso non sono altro che l'aria ingurgitata
nei momenti di pianto.
La mancanza di questo tipo di informazioni fa si che i genitori europei
stiano maggiormente a contatto con i propri figli solo come rimedio per
calmare il pianto delle prime settimane e non come efficace prevenzione.
I BENEFICI SCIENTIFICAMENTE RISCONTRABILI.
Il contatto corporeo con la madre è la condizione ottimale per il
corretto sviluppo fisico, psichico e sociale del bambino(cfr. A. Montagu
"Il linguaggio della pelle"). Essere portato addosso gli fa
percepire meglio se stesso e gli altri e lo fa sentire maggiormente amato.
A dimostrazione dell’ importanza di questo metodo di accudimento dei
neonati sono noti i benefici del contatto sotto forma di carezze o di
massaggi e/o di marsupioterapia soprattutto nei prematuri e nei pretermine.
Questi benefici (migliore regolazione della temperatura corporea, mancanza
di morte per infezioni, mancanza di bradicardie e apnee,aumento della
crescita ponderale) sono talmente evidenti in termini scientificamente
riscontrabili a breve scadenza che l’ Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS) nel
2003 ha
pubblicato le linee guida per la marsupioterapia.
Oltretutto numerosi studi confermano anche che il contatto favorisce il
legame genitore-figlio,favorisce l'allattamento al seno e un migliore
sviluppo generale del bambino.
COSA PROVA UN BAMBINO PORTATO A CONTATTO.
Il bambino portato a contatto è un bambino che non piange o si
tranquillizza in fretta e a lungo perchè si sente protetto e perchè
ritrova la sensazione di contenimento che conosceva così bene in utero.
Sente la voce della mamma e del babbo, il loro odore familiare, vede i
loro volti ed è nel posto in cui si sente meglio: le loro braccia...
E’ immerso in un’oasi di tranquillità ma non viene privato di stimoli
essenziali alla sua crescita.
Anzi il piccolo portato addosso partecipa più attivamente alla vita della
famiglia e ne assorbe i ritmi integrandosi facilmente.
Migliora la sua muscolatura e la sua coordinazione poiché ha la
possibilità di muoversi, come faceva in utero grazie alle sue pareti,
appoggiandosi al corpo del genitore ed alla fascia.
Il suo senso dell'equilibrio viene stimolato dai movimenti di chi lo porta
ed egli apprende così le sequenze motorie che gli faciliteranno
l'imparare a camminare.
Il ritmo del passo del genitore culla, rilassa ed equilibra il
sistema neurovegetativo del bambino portato a contatto, così il bambino
si rilassa, digerisce meglio e dorme tranquillamente. Inoltre nel sonno la
stimolazione sensoriale continua.
A livello psicosociale egli può sperimentare la presenza continua e reale
del genitore,che gli permetterà di avere col genitore un buon
attaccamento primario e che lo aiuterà a creare la "base
sicura" da dove imparare a lanciarsi per affrontare la vita con
maggiore autostima e fiducia nel mondo(cfr. Bowlby).
Con un inizio di rapporto con i genitori, con il mondo e con se stesso
positivo come è questo, appena le abilità psicofisiche glielo
permetteranno, il bambino tenuto a contatto si avventurerà più
facilmente di altri alla scoperta del mondo intorno a lui e conquisterà
presto e meglio la sua indipendenza, proprio perchè è stato soddisfatto
il suo bisogno di vicinanza e di accudimento quando ne necessitava.
COSA PROVA UN GENITORE CHE PORTA
A CONTATTO SUO FIGLIO.
Cosa fa istintivamente un genitore che sente piangere suo figlio? Lo
prende in braccio per calmarlo.
Eppure questo gesto naturale e spontaneo è molto spesso fonte di critiche
da parte di chi gli sta intorno…
Così lo vizi… non si staccherà mai da te… imparerà a conoscere le
braccia e dopo non te ne libererai più…lascialo piangere che gli fa
bene… così gli si allargano i polmoni...
Sono solo alcuni dei commenti che dispenseranno gli amici e i parenti ai
neo-genitori che poi non saranno più sicuri di aver fatto la cosa giusta.
Ma perchè questo dubbio viene interiorizzato così facilmente?
La maggior parte di noi è cresciuta in un contesto di separazione
precoce. Il contatto e l'allattamento prolungato venivano visti con
deplorazione. Lo psicoterapeuta Franz Renggli sostiene che il pianto del
bambino ricorda ai genitori i propri primi mesi di vita che spesso sono
stati carichi di angoscia, senso di perdita e abbandono, sofferenza per la
separazione dalla figura materna.
Questi ricordi vengono riportati alla luce dal pianto del bambino e
vengono esternati sotto forma di sentimenti di disagio, impotenza e
addirittura rabbia verso il piccolo e il suo pianto.
Per Renggli i genitori che riescono a sopportare il pianto del bambino e a
stare in contatto con lui tenendolo vicino, hanno la possibilità di
rimediare a queste loro ferite profonde che si portano dietro dalla
nascita.
Spesso è presente anche la paura di legarsi troppo al bambino,
soprattutto se poi si deve lasciarlo precocemente per andare a lavorare.
Occorre perciò sottolineare che è vero che portare un bambino addosso fa
si che si crei fra genitore e figlio un legame forte, basato sul contatto
e sull'ascolto, ma non che questo sia "troppo"forte. Anzi il
legame stabile interiorizzato dal piccolo fa si che esso sia più
indipendente di un coetaneo non portato addosso, proprio perchè ha
interiorizzato solo esperienze positive nel legame con i genitori, ha
capito che il genitore sarà lì per lui, disposto al dialogo e
all'ascolto e non ha mai sperimentato il senso di abbandono che assale i
neonati lasciati piangere in culla.
Portare un bambino a contatto lo tranquillizza e lo rende più consolabile
e solare anche nei momenti difficili. La facilità di calmare il piccolo
fa si che i genitori riacquisiscano sicurezza in se stessi e si sentano
maggiormente competenti; ne scaturisce un “circolo virtuoso” in cui il
bambino sente la sicurezza e la tranquillità dei suoi e si rasserena
ulteriormente e i genitori si sentono più sicuri e il bambino è più
serafico che mai e così via!
Altro fattore non trascurabile è che i genitori riescono a muoversi
insieme al piccolo con molta facilità. Non sono oberati dall'ingombro di
pesanti passeggini, sdraiette, carrozzine da caricare in macchina, da
trascinare sull'autobus o nelle scale del palazzo.
Possono fare agilmente slalom fra la giungla di macchine parcheggiate ma
ancora più piacevolmente passeggiare in montagna o sulla sabbia del mare.
Hanno le mani libere per poter tenere il fratellino maggiore per mano, per
portare la spesa, per scrivere al computer, per preparare il pranzo...Insomma,
per svolgere la loro vita di tutti i giorni insieme al piccolo invece che
nonostante il piccolo!
Dobbiamo infatti riflettere su di un punto molto importante e quasi
globalmente trascurato: nelle società tradizionali è l'intero nucleo
familiare che si prende cura del piccolo, sgravando la madre di molte
incombenze. Questo nella nostra società purtroppo non succede.
Portare il proprio figlio a contatto può aiutare i neo genitori a gestire
da soli la propria nuova vita e al contempo a permetterci di fare una
pausa rigenerante e trovare del tempo per noi.
CONCLUDENDO...
Perchè portare un figlio a contatto?
Certamente perchè fa bene sia a noi che al piccolo, a livello psichico e
fisico.
Perchè ci facilita la vita ed è una esperienza bella e divertante.
Perchè ci insegna ad ascoltarlo e ad ascoltarci di più, ad accettare i
nostri limiti ed i suoi e possibilmente a superarli insieme.
Ma soprattutto perchè proveremo l’esperienza impagabile dell’essere
uniti in un legame profondo che durerà anche quando nostro figlio
“camminerà sulle sue gambe".
P
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