Coping
e adattamento psicosociale in pazienti diabetici Vincenzo
Poerio e Maria Teresa Merenda
Riassunto Il
coping (fronteggiamento)
è definito da Perlin e Shooler
(1978) come “…quel comportamento che protegge le persone dalla
pressione psicologica dovuta a situazioni sociali problematiche”. A
questo proposito Lazarus e Folkman
(1984) affermano: “…il coping permette
alle persone di utilizzare diverse abilità per gestire le difficoltà
(stressor) che si presentano loro durante
l’esistenza…”. Quando lo stressor
è il diabete, le richieste e le pressioni dovute alla malattia stessa
e alle sue conseguenze fisiologiche e psicosociali
sono continue e si cronicizzano. In
numerosi studi, il coping, adeguato e non,
è stato associato a diverse conseguenze mediche del diabete:
cambiamenti nei livelli di emoglobina glicolizzata,
della funzionalità fisiologica, della sintomatologia specifica, del
peso e dell’indice di massa corporea. In altre ricerche, come nel
presente contributo, il coping è stato
correlato alle conseguenze psicosociali
del diabete: cambiamenti dello stato di ansia,
di depressione, della c.d. qualità di vita e
dell’adattamento psicologico e sociale (APS). Quest’ultimo
concetto si riferisce, nella malattia e in senso molto ampio, al
raggiungimento di quegli obiettivi comportamentali e psicologici
caratteristici del processo di guarigione. Lo
scopo del presente lavoro è individuare le modalità di coping
nei diabetici e rilevarne le conseguenze sulla percezione degli stressor
e sull’APS, rispondendo ad una serie di quesiti sintetizzabili in:
“Quali sono le modalità di coping più
frequenti? Esse sono correlate, e come, ai processi di
APS funzionali?”. A
41 pazienti diabetici (21 Ss. con diabete
tipo1; 20 Ss. con diabete tipo2), con
un’età media rispettivamente di 63.7 e 59.3, sono stati
somministrati, in sequenza, due questionari: un adattamento del Bernese
Coping Modes (BCM)
e il Multidimensional Diabetes
Questionnaire (MDQ) di
Talbot e Nouwen,
1997. I
risultati, ottenuti utilizzando analisi statistiche multivariate,
sembrano indicare che, nei due gruppi di pazienti diabetici, è
possibile identificare modalità diverse di coping
che favoriscono sia livelli differenti di APS
che categorie di APS dissimili. Parole
chiave: Diabete, Coping, Adattamento psicosociale,
Stressor, Analisi statistica multivariata.
Summary The
purpose of the present job is to individualize the formalities of
coping in the diabetics and to notice its consequences on the
perception of the stressors and on the APS, answering to a series of
questions synthetizable in: "Which
the modalities of more frequent coping are? Are they correlated, and
as, to the processes of APS? ".
To
41 patient diabetics (21 Ss. with diabetes type1; 20 Ss. with diabetes
type 2), with a middle age respectively of 63.7 and 59.3, have been
administered, in sequence, two questionnaires: an adaptation of the Bernese
Coping Modes (BCM) and the Multidimensional Diabetes Questionnaire (MDQ)
of Talbot
e coll. (1997). The
results, gotten using statistic analysis multivariate, they seem to
point out that, in the two groups of diabetic patients, it is possible
to identify different modalities of coping that favors
both different levels of APS and categories of dissimilar APS.
Key
words: Diabetes, Coping,
Psychosocial adjustment, Stressor, Multivariate
statistical analysis. INTRODUZIONE
“Non ce la faccio più a tirare avanti in questo stato”,
“Non me la sento più di affrontare questa situazione”, “Non
posso resistere a vivere in questa maniera, basta!”. Quante volte
abbiamo ascoltato queste parole (o quante volte ci
è capitato di dirle noi stessi) in situazioni di lavoro e/o
vicende domestiche che sembravano schiacciarci. Quante
volte abbiamo sentito dire cose simili dai pazienti diabetici: “Io
assolutamente non posso gestire il mio diabete oltre a tutte le altre
cose che devo fare quotidianamente. Semplicemente non ce la
faccio ad affrontarlo!”. Avete mai provato a comprendere quello che
una persona diabetica cerca di esprimere con queste affermazioni? E
avete mai pensato come aiutarlo a fronteggiare la sua malattia?
Una comune definizione del fronteggiamento
(coping) è quella che si riferisce ad una
serie di complesse capacità cognitivo-comportamentali
che permettono alle persone di utilizzare diverse abilità per gestire
le difficoltà che incontrano nella vita (Lazarus
e Folkman, 1984). Il coping
è un concetto dinamico, un processo che cambia con il tempo, la
natura dello stressor e l’esperienza.
Questo modello ci permette di lasciare distinti il coping
dai risultati ottenuti o favoriti dallo stesso ed evita che lo
si confronti con le abilità di padroneggiamento.
In altre parole il coping è un processo
che aiuta a gestire un problema ma, di per
sé, non corrisponde al totale padroneggiamento
di esso. Lazarus e Folkman
sono convinti che ogni persona rappresenti una combinazione unica di
fattori personali ed ambientali e che gli stressor
risultino da una interazione tra variabili
di natura cognitiva e variabili di natura “obiettiva”: questo
porta le persone a valutare la situazione, le risorse disponibili di coping
personale e ad attuare modalità di fronteggiamento
comportamentale.
Conseguenze a breve termine di
questo meccanismo includono, ad esempio, le reazioni psicofisiologiche;
cambiamenti a più lungo termine si riferiscono al raggiungimento del
benessere psicosociale, a un buono stato
di salute e ad un adeguato funzionamento interpersonale. A livello globale,
l’efficacia nell’affrontare lo stress è individuabile nella
maggiore resistenza e minore vulnerabilità a futuri eventi stressogeni.
Il potenziale umano per far fronte a pressioni è maggiore di quello
che comunemente si pensa e raramente una persona si affida ad un unico
modo di coping: in genere attinge ad una
gamma piuttosto articolata e di volta in volta secondo le esigenze del
momento. Il repertorio di fronteggiamento,
insomma, risulta piuttosto ricco in genere,
ma non stabile come utilizzo di modalità. Inoltre l’impegno a
moderare o mediare può avere solo parzialmente
successo, giacchè i tentativi di
fronteggiare possono risultare inadeguati e non arrivare a buon fine,
se non arrivare a produrre conseguenze negative.
La priorità dei pazienti con malattia cronica è
di raggiungere un equilibrio intrapsichico ed interpersonale
accettabile (vedere tabella n.1).
Adattarsi alla malattia può così essere concepito come un
processo di gestione di una serie di pressioni e richieste provenienti
da più parti e spesso in conflitto tra loro. Nel
contesto dell’analisi dei meccanismi di coping,
il termine aggiustamento o meglio adattamento si riferisce in senso
molto lato a quegli obiettivi psicologici e comportamentali tipici del
processo di guarigione. I fattori che mediano questo processo possono
essere sia intrapsichici (cognitivi ed emotivi) che comportamentali.
Tutti i pazienti con malattia cronica fronteggiano le numerose
pressioni prima menzionate, sebbene diversi di loro possono fallire
nell’obiettivo di adattarsi. Diviene quindi importante comprendere,
accuratamente, in quale modo la qualità di vita dei pazienti
diabetici è condizionata dagli stili di coping
personali (vedere tabella n.2) e come
questi possono essere migliorati. ·
Riacquistare
il benessere psicofisico dopo il disagio, il disorientamento, i
malesseri, il dolore ·
Recuperare
e/o preservare l’equilibrio emotivo dopo lo stress subito ·
Adattarsi
ai cambiamenti dovuti alla malattia e/o recuperare l’integrità fisica ·
Superare
l’insicurezza dovuta alla perdita di controllo nei confronti della
propria identità e del futuro ·
Adattarsi
a situazioni e pratiche mediche inusuali ·
Gestire
serie minacce alla propria salute ·
Preservare
un’eccellente qualità di vita Tabella
1 - Obiettivi adattivi espressi dal
paziente nel processo di guarigione Ora
che sono stati delineati sia i processi e
gli obiettivi di adattamento psicosociale
che gli stili/modalità di coping, diventa
possibile chiarire in quale modo questi ultimi possono influire sui
primi. Sinteticamente il coping può
ricoprire tre funzioni nei confronti
dell’APS: di
prevenzione, di ammortizzazione, di
recupero.
Il ruolo preventivo assolve, in modo particolare, quegli
aspetti riguardanti l’impatto emotivo dovuto per esempio alla
scoperta della malattia. Un coping
caratterizzato da negazione o rifiuto, in questa fase, può dare un
effimero ma immediato sollievo nei confronti di emozioni
spiacevoli. Altri cercheranno sostegno e attenzione per valutare in
modo più realistico i rischi della propria malattia. Probabilmente il
ruolo più efficace che il coping
ricopre nel processo di malattia, è quello di “ammortizzatore”:
infatti, sebbene a volte l’impatto sia tremendo, è durante il corso
della malattia che si prospettano difficoltà che riguardano il
futuro. La ricerca di attenzioni e cure
presso i propri cari e i propri amici e lo spostare l’attenzione
dagli aspetti più negativi della malattia, possono dare un
considerevole sollievo e la sensazione di riguadagnare il controllo
della situazione. Infine, il coping è estremamente
importante per l’APS a lungo termine, assicurando una riabilitazione
ottimale e un recupero ottimale: in questa ultima fase l’obiettivo
è di raggiungere un adeguato equilibrio intrapsichico ed
interpersonale.
Sin qui si è parlato di esempi di
effetti positivi del coping sull’APS.
Noi sappiamo, d’ altraparte,
che diversi pazienti potrebbero reagire alla malattia negandola o
reprimendo le emozioni o ancora rimuginando o auto-biasimandosi: tutto
ciò potrebbe non solo aumentare le loro preoccupazioni ma anche
scoraggiarli dall’aderire (compliance)
ai trattamenti medici e farli rassegnare, in modo passivo, a destini
fatalistici. Quanto finora affermato, ci porta a considerare come i
processi di adattamento siano fortemente
dipendenti dagli effetti mediatori del coping.
Le persone con diabete spesso concludono
che il compito di gestire la propria malattia è difficile se non
impossibile, cosicché hanno bisogno di trovare delle soluzioni per
rendere vivibile la loro condizione di malattia. Il diabete richiede
una gestione continua: di conseguenza il fronteggiamento
di questa malattia è un impegno a tempo pieno. Il diabete come
malattia, è di per sé uno stressor
primario e comporta una serie di conseguenze croniche che fungono da stressor
secondari, in ordine di tempo, certo non di importanza.
Il paziente con diabete si vede costretto a fronteggiare per tutto il
resto della vita la propria malattia e i
suoi effetti medico-fisiologici e psico-sociali
(in particolare i diabetici di 1° tipo, insulino-dipendenti,
che in genere acquisiscono la malattia, sembra di natura auto-immune,
già in età giovanile).
In molti studi e ricerche il coping
è stato correlato agli effetti organici e
metabolici della malattia. In altri, come il presente studio, il coping
è stato concepito come variabile interveniente che può avere la
capacità di influenzare aspetti psicologici e sociali come l’umore,
la qualità di vita e l’adattamento psicosociale. Scopo
della ricerca
L’obiettivo della presente ricerca è di tentare di
rispondere ai seguenti cinque quesiti:
·
Quali
modalità di coping vengono
utilizzate in prevalenza, nelle 2 tipologie di pazienti diabetici?
·
Ci
sono delle differenze, nell’uso delle modalità di coping,
tra pazienti diabetici di tipo1 e 2 ?
·
Le
due tipologie di pazienti diabetici differiscono per processi di
adattamento psicosociale (APS)?
·
Esiste
una qualche forma di interdipendenza tra
stili di coping e processi di adattamento psicosociale
(APS)?
·
E’
possibile individuare stili di coping
favorevoli e non favorevoli a
processi di APS funzionale? Soggetti
41 soggetti, di cui 21 pazienti con diabete di tipo 1, insulino-dipendente
(12 donne e 9 uomini) e 20 pazienti con diabete di tipo 2, acquisito o
non insulino-dipendente (13 donne e 7
uomini) con età media rispettivamente di 63.7 e 54.9. I soggetti
partecipanti alla ricerca sono stati “reclutati” presso un Centro Diabetologico
Convenzionato della ASL 2 di Roma e presso
il Servizio per il Diabete della ASL 1 di Napoli. I partecipanti sono
stati informati dello scopo della ricerca e dell’interesse a
conoscere ed approfondire alcune caratteristiche delle loro modalità
di fronteggiare la malattia e del loro adattamento alla stessa e alle
sue inevitabili conseguenze psico-sociali.
Procedura
Sono stati utilizzati e somministrati in sequenza due
questionari. Il “Multidimensional Diabetes
Questionnaires” (MDQ) di Talbot
e coll.,1997,
qui presentato in un formato adattato e tradotto in italiano, è
articolato in tre parti. La prima parte (riferita alla categoria
benessere/stress) comprende 13 item e
vuole verificare la presenza di tre processi: interferenza percepita,
gravità percepita e sostegno sociale. La
seconda parte (riferita alla categoria supporto relazionale/coniugale)
prevede 11 item e intende verificare in
che misura sono presenti supporto relazionale funzionale e supporto
relazionale negativo. Infine, la terza parte (riferita alla categoria
efficacia) che è composta di 13 item,
vuole valutare i livelli di auto-efficacia
e delle aspettative per le conseguenze nel confrontarsi con la
malattia (vedi tabella n.2).
Nell’insieme, il MDQ vuole essere una misura dei processi che
conducono ad un più o meno buono adattamento psicosociale:
l’autore ha concepito un modello dell’APS formato da 7 variabili o
processi tra loro, in qualche modo, correlati. La nostra back-version,
ad un’analisi della fedeltà a distanza di 6 mesi, ha rilevato per
le 7 variabili coefficienti di correlazione medi di r = 0.65. BENESSERE/STRESS 1.Interferenza
percepita (condizionamenti,
vincoli, limitazioni, ecc.) 2.Gravita’
percepita (preoccupazioni,
timori, paure, pessimismo per il futuro, ecc) 3.Sostegno/aiuto
sociale (punti
di riferimento socio-affettivi, dai conoscenti ai centri medici) SUPPORTO
RELAZIONALE/CONIUGALE 1.Supporto
relazionale positivo (incoraggiamenti,
congratulazioni, accudimento
gratificante, ecc.) 2.Supporto
relazionale non funzionale (insistenze,
pressioni, critiche, ecc.) EFFICACIA 1.Senso
di auto-efficacia (fiducia
in se stessi nel
controllare e gestire il diabete e i suoi effetti)
2.Aspettative
riguardo i risultati (aderenza
al trattamento e alle attività salutari pro-diabete) Tabella
2 - I 7 processi di APS utilizzati nella
ricerca e organizzati in 3 categorie L’altro
questionario impiegato nella ricerca è un’adattamento
del “Bernese Mode Coping”
di Helm e coll.,1987.
Gli autori utilizzarono per la prima volta questa misura per
verificare quali stili o modalità di coping
(fronteggiamento) adottassero i pazienti
malati di cancro (in particolare donne con tumore al seno ) per
tentare di gestire la loro malattia. Nel nostro lavoro, pur
impiegandolo nella valutazione di pazienti diabetici e non oncologici,
abbiamo voluto mantenere il questionario il più possibile fedele
all’originale. Lo strumento è composto di 26 item
che individuano 3 diverse categorie di coping:
comportamentale, cognitivo ed emotivo (vedi tabella n.3).
COPING
COMPORTAMENTALE 1.
Comportamento
diversivo (vengono attuate una o più
attività distraenti) 2.
Altruismo
(vengono privilegiate le esigenze altrui
a scapito delle proprie) 3.
Evitamento
attivo (non vengono sottovalutati i
necessari interventi medici specialistici) 4.
Compensazione
(fare qualsiasi cosa di piacevole:acquistare,
mangiare, bere alcolici, ecc.) 5.
Attività
costruttive (programmare di fare qualcosa, ritenuto utile e
funzionale) 6.
Isolamento
sociale (il bisogno di rimanere soli per ricaricarsi, per riflettere,ecc.) 7.
Contrastare
(cercare informazioni utili e aiuto per migliorare l’esito della
terapia) 8.
Attenzione
e cura (sentirsi presi in carico, essere ascoltati, avere un
supporto) COPING
COGNITIVO 1.
Pensiero
diversivo (l’attenzione viene
indirizzata verso aspetti diversi dalla malattia) 2.
Accettazione-Stoicismo
(la malattia è accettata con pazienza, come un segno del destino) 3.
Dissimulazione
(il diabete non è preso seriamente ma negato, minimizzato e/o
ignorato) 4.
Auto-controllo
(si trasmette agli altri un atteggiamento ferreo di controllo sulla
malattia) 5.
Analisi
del problema (analisi cognitiva del diabete e delle sue conseguenze) 6.
Relativizzare
(considerare il proprio destino, tutto sommato, fortunato rispetto
ad altri) 7.
Religiosità
(la religione come supporto per tollerare la malattia mandata dal
buon Dio) 8.
Rimuginazione
(la malattia diventa un “ossessione” attorno a cui la mente gira
e rigira) 9.
Dare
un senso/significato (una possibilità di cambiare i propri valori,
la propria visione) 10.
Valorizzazione
(si è convinti dei propri atteggiamenti positivi
nei confronti della malattia) COPING
EMOTIVO 1.
Ribellione
(si manifesta resistenza, protesta e fastidio nei confronti della
malattia) 2.
Manifestazione
emotiva (si manifesta abbattimento, paura, rabbia, rassegnazione,
disperazione; altre volte coraggio, amore per la vita e speranza) 3.
Repressione
(vengono manifestati esclusivamente
sentimenti di adeguatezza) 4.
Ottimismo
(fiducia sul fatto che il momento di crisi passerà) 5.
Collaborazione
passiva (ci si affida alle cure di altri, di persone qualificate) 6.
Rassegnazione/fatalismo
(si assume un atteggiamento senza speranza alcuna ormai) 7.
Auto-accusa
(ci si rimprovera per aver fatto qualche
errore che adesso va espiato) 8.
Reazione
rabbiosa (viene dato libero sfogo a
espressioni di rabbia, di irritazione, di collera) Tabella
3
- Le 26 modalità di coping utilizzate per
la ricerca e raggruppate in 3 categorie
Come abbiamo precedentemente detto,
la finalità della ricerca ruota attorno al soddisfacimento di 5
quesiti principali. Per quanto riguarda il primo quesito, “Quali
modalità di coping vengono
utilizzate in prevalenza, nelle 2 tipologie di pazienti diabetici?”,
utilizzando le canoniche statistiche descrittive, che fungono da dati
preliminari nelle analisi inferenziali,
abbiamo individuato, prendendo in considerazione i punteggi ottenuti
nella versione adattata del questionario BCM, le medie per ciascuno
degli stili di coping per entrambe le
tipologie di diabete. Nella seguente tabella ,
riportiamo tutte le medie enfatizzando, in neretto, i 10 stili
prevalenti per ognuno dei due tipi di diabete.
Tabella
4 – I valori medi dei 26 stili di coping
per le due tipologie di diabete Inoltre,
per evidenziare le graduatorie di prevalenza degli stili di
coping per ciascuna delle due tipologie di
paziente diabetico, abbiamo voluto “trasformare” in grafico i dati
appena riportati: i grafici che abbiamo ritenuto più funzionali per
questo fine sono gli istogrammi tridimensionali che riportiamo di
seguito e in sequenza (vedi figure1 e 2). Passando
al secondo quesito, che si domanda “Ci sono delle differenze,
nell’uso delle modalità di coping, tra
pazienti diabetici di tipo1 e 2 ?”, abbiamo utilizzato l’analisi
della varianza per misure ripetute (le 26
modalità di coping in questo caso fungono
da variabili dipendenti e le tipologie di diabete sono i fattori di
gruppo o variabili indipendenti). Abbiamo ottenuto i seguenti
risultati, tutti rapportati ad una p = o < 0,05: la variabile
tipologia di diabete è risultata essere significativa
avendo avuto una F = 11,92 pari ad una p = 0,0014. Anche la variabile
modalità di coping è risultata
altamente significativa: la F infatti ha ottenuto un
punteggio di 14,60 pari ad una p = 0,00001. Infine gli effetti
specifici post-hoc tra le modalità di coping
appaiate per le
due tipologie di diabete presentano interessanti differenze
significative per 12 appaiamenti su 26. Per i risultati appena
descritti, come per l’interazione tra le suddette due variabili
principali, risultata anch’essa
significativa ( F = 4,88; p = 0,0001), abbiamo approntato il grafico
delle interazioni che possiamo apprezzare nella figura 3.
Anche per rispondere al terzo quesito, “Le due tipologie di
pazienti diabetici differiscono per processi di adattamento
psicosociale (APS)?” abbiamo utilizzato
la procedura statistica dell’analisi della varianza
multivariata per misure ripetute, (i 7
processi di adattamento psicosociale
fungono da variabili dipendenti e le tipologie di diabete sono i
fattori di gruppo o variabili indipendenti). Le analisi statistiche
hanno prodotto i seguenti risultati: la variabile tipologia di diabete
non è risultata
essere significativa avendo ottenuto una F = 0,068 equivalente ad una
p = 0,796. Al contrario, la variabile processi di APS
è risultata estremamente
significativa: la F infatti ha raggiunto un
punteggio di 2,95 che corrisponde ad una p = 0,0085. Per
ultimo, gli effetti specifici post-hoc tra le modalità di coping
appaiate per le due tipologie di diabete presentano notevoli
differenze significative per 2 appaiamenti
su 7 (in questo caso la significatività supera di gran lunga una p =
0,01). I dati su descritti e gli effetti di interazione
( quest’ultima non risultata
significativa F = 1,69 per una p = 0,1239) tra le suddette due
variabili principali, possiamo apprezzarli nel grafico delle
interazioni che abbiamo preparato nella figura 4.
Per tentare di dare delle risposte esaurienti al 4° e al 5°
quesito, “Esiste una qualche forma di interdipendenza
tra stili di coping e processi di
adattamento psicosociale (APS)? e
“E’ possibile individuare stili di coping
favorevoli e non favorevoli a processi di APS funzionale?”, abbiamo
necessariamente dovuto approntare un apparato metodologico e
statistico senza dubbio più sofisticato di quello finora utilizzato
per la presente ricerca.
Per prima cosa, dato che per la prima volta abbiamo voluto
considerare tutte le variabili, cioè stili
di coping e processi di APS e dato che lo scaling
utilizzato dai questionari è differente, abbiamo reso i valori
omogenei sottoponendoli a processo di standardizzazione. Successivamente,
poiché il nostro intento era quello di verificare, esplorando i
legami tra le 2 variabili principali, eventuali correlazioni, abbiamo
deciso di sottopporre i dati ad una cluster
analysis
o analisi dei gruppi. Nello specifico, considerate le finalità
esplorative ed organizzative della ricerca, abbiamo scelto di
utilizzare il metodo definito unione o raggruppamento gerarchico. Il
metodo di unione gerarchica o ad albero usa
le dissomiglianze o distanze tra oggetti nel formare i gruppi.
Queste distanze si possono basare su una singola o più
dimensioni. Per esempio,
se si vogliono raggruppare i “piatti tipici” preparati in
ristoranti, si dovrebbero tenere in considerazione le calorie che
contengono, il loro prezzo, la palatabilità
soggettiva riguardo il gusto e così via.
La maniera più diretta per calcolare le distanze tra
oggetti/variabili in uno spazio multidimensionale
è quella di calcolare le distanze Euclidee.
Se si hanno spazi bi- o tridimensionali
questa misura è la distanza geometrica tra gli oggetti nello
spazio (cioè, come se fossero misurati con un righello). In ogni
caso, il metodo statistico di unione non
discrimina se le distanze siano effettivamente reali o derivate da
qualche altro tipo di misura, considerata in un certo frangente più
significativa dal ricercatore. Nel nostro caso abbiamo deciso di
utilizzare direttamente nella procedura statistica una matrice delle
distanze. L'obiettivo di questo metodo è quello di unire tra loro
oggetti/variabili (per es.,
stili di coping e processi di APS) in
gruppi successivamente più ampi, utilizzando alcune misure di
somiglianza o distanza. Un tipico risultato di questa modalità di
raggruppamento è il dendrogramma. In
un grafico a dendrogramma si
immagini che, per passi molto piccoli, si “abbassi” il
criterio per cui definire (o meno) unico un oggetto.
Detto in altro modo, si abbassa sempre più la soglia relativa
alla decisione di quando dichiarare due o più oggetti membri
di uno stesso gruppo. Come risultato si uniranno
sempre più oggetti e si aggregheranno (amalgameranno) gruppi sempre
più ampi di elementi sempre più dissimili tra loro.
Infine, nell'ultimo passo, tutti gli oggetti saranno riuniti
insieme. Nei dendrogrammi verticali, come
quello da noi scelto, sarà l'asse verticale a
indicare le distanze dei legami. Quindi, per ogni nodo nel grafico (
punto in cui si forma un nuovo gruppo) è possibile leggere il
criterio di distanza per cui i rispettivi
elementi sono stati uniti tra loro in un singolo gruppo. Quando i dati
contengono una chiara “struttura” in termini di gruppi di
oggetti simili tra loro, allora questa struttura si rifletterà
spesso nel dendrogramma con ramificazioni
distinte. Il risultato della nostra analisi, che riteniamo
relativamente ben riuscita con il metodo d'unione (gerarchico), è
stato in grado di individuare gruppi (ramificazioni) ed anche di
tentare una iniziale, non definitiva né esaustiva interpretazione.
Nelle figure 5 e 6 presentiamo i dendrogrammi,
rispettivamente per le tipologie diabetiche di tipo 1 e tipo
2. Figura
6 – Dendrogramma derivato dal metodo
di unione/raggruppamento gerarchico che si
riferisce alle possibili interdipendenze tra coping
e APS nei pazienti diabetici di tipo 2. Le ipotetiche interdipendenze
si basano sul criterio delle distanze. Sull’ascissa, in minuscolo, i
processi di APS.
Come si potrà evincere dalla semplice visione dei grafici, risulta
evidente che le ipotetiche interdipendenze nei due gruppi di pazienti
diabetici sono notevolmente diverse: queste dissimilarità
riguardano sia la struttura generale dell’albero e delle sue
ramificazioni sia le distanze tra le singole variabili. Il
coping, nel modello qui adottato, è
concepito come una variabile interveniente atta ad “ammortizzare”
l’impatto violento dovuto alla malattia. I risultati che si
riferiscono agli stili di coping indicano
chiaramente, per quello che riguarda il primo quesito, la compresenza
di alcuni stili che ritroviamo sia nei diabetici di tipo1 che di
tipo2: Ottimismo, Relativizzazione,
Diversione mentale, Accettazione/Stoicismo, anche se non nello stesso
ordine di prevalenza (come si può evincere dalla lettura dei grafici
nelle figure 1 e 2). Relativamente al
secondo quesito, abbiamo riscontrato una differenza significativa (F =
11,92 per una p = 0,0014) a favore del gruppo dei diabetici di
tipo 1: nel dettaglio 12 risultano le modalità di coping
particolarmente
significative (vedi grafico nella figura 3) e due di esse, ottimismo e
relativizzazione, sono tra le 4 modalità
di coping compresenti nelle 2 forme di
diabete. Per
ciò che riguarda il terzo quesito e l’APS, nella presente ricerca concettualizzato
come variabile dipendente, abbiamo rilevato notevoli differenziazioni
nei processi che lo caratterizzano ( F = 2,95 per una p = 0,0085), in
particolare per le sub-variabili aspettative
per i risultati, auto-efficacia, gravità percepita. Al contrario,
l’APS, globalmente inteso e confrontato tra le due tipologie di
diabete, non presenta risultanze
significative (F = 0,068 per una p = 0,796), nonostante le 2
sub-variabili sostegno sociale e supporto relazionale positivo
figurino ben differenziate. Pertanto, riteniamo necessario prevedere ulteriori
indagini sui processi di APS e sulle specifiche aree che li
compongono. Per
quello che riguarda il quarto e quinto quesito, i risultati hanno
individuato diverse interdipendenze tra alcuni stili di coping
e alcuni processi di APS: le distanze del
metodo di raggruppamento gerarchico esprimono il grado con cui gli
effetti di mediazione del coping hanno
avuto più o meno successo. E’ per questo motivo che abbiamo fatto
uso del concetto di coping come
“favorevole/non-favorevole” per la manifestazione di
adattamento psicosociale. Come si
può evincere dalla attenta lettura dei dendrogrammi
(figure 5 e 6) e soprattutto dalle matrici delle distanze riportate
nelle due tabelle più sotto (tabb.5 e 6),
ci sono stili di coping, il più delle
volte diversi nelle due tipologie di pazienti diabetici, che risultano
nella pratica favorevoli o sfavorevoli per un buon adattamento psicosociale. PROCESSI
DI ADATTAMENTO PSICOSOCIALE
Tabella
5 - Matrice delle distanze dei pazienti diabetici tipo 1: le misure
esprimono prossimità (quanto più gli indici numerici sono bassi) tra
le variabili coping e APS, utilizzando il
metodo delle distanze euclidee. Legenda:
gli indici numerici in “neretto” indicano sia le interdipendenze
più forti che le modalità di coping
più favorevoli; i dati in
“corsivo” indicano legami deboli e coping
non favorevoli ad un buon APS. PROCESSI
DI ADATTAMENTO PSICOSOCIALE
Tabella
6 - Matrice delle distanze dei pazienti diabetici tipo 2: le misure
esprimono prossimità (quanto più gli indici numerici sono bassi) tra
le variabili coping e APS, utilizzando il
metodo delle distanze euclidee. Legenda:
gli indici numerici in “neretto” indicano sia le interdipendenze
più forti che le modalità di coping
più favorevoli; i dati in
“corsivo” indicano legami deboli e coping
non favorevoli ad un buon APS. Gli
stili o modalità di
coping che risultano più favorevoli alla
evoluzione funzionale dei processi di adattamento sociale nei pazienti
diabetici di tipo 2 sono: altruismo, compensazione, contrastare
e attenzione e cura (stili di coping di
natura comportamentale); il contributo dato dagli stili di coping
più squisitamente cognitivi è irrisorio, in ogni caso dare un senso,
relativizzare e diversione mentale sono le modalità che
contribuiscono al processo di adattamento; valorizzazione, ribellione,
ottimismo, collaborazione passiva e reazione collerica (tipici stili
del fronteggiamento di natura emotiva)
sono presenti anche nei modi di gestire la malattia utilizzati dai
pazienti diabetici di tipo 1. Per riassumere: 4 stili comportamentali,
3 cognitivi e 5 emotivi. Concepite “in toto”
queste modalità di coping incidono
favorevolmente, nell’ordine, sui seguenti processi di
adattamento: auto-efficacia, aspettative per il risultato,
supporto relazionale positivo, supporto relazionale negativo, sostegno
sociale, gravità percepita, auto-efficacia. Per quello che riguarda
gli stili di coping che sono risultati
non-favorevoli, troviamo: 2 stili comportamentali (esitamento attivo
ed isolamento sociale); 3 stili cognitivi (diversione mentale,
accettazione/stoicismo, religiosità); 2 stili emotivi (auto-accusa,
reazione rabbiosa). Nell’insieme tali modalità ritenute
non–favorevoli incidono soprattutto nel frenare lo sviluppo dei
processi di APS. In questa ricerca l’APS è concettualizzato
come la somma di sette diversi processi, incluso il benessere o
assenza di distress (quando
i punteggi della interferenza e gravità percepite e del supporto
relazionale negativo sono bassi e i punteggi sulle restanti
sub-scale/processi sono alti). I risultati come abbiamo già detto
indicano chiare ed inequivocabili interdipendenze tra certi processi di
APS e certi stili di coping
e questo, anche se con notevoli differenze, per entrambe le
tipologie di diabete. Nell’insieme, quindi, i dati che abbiamo
ottenuto fotografano un panorama abbastanza diversificato
tra le modalità di coping dei diabetici
di tipo 1 e 2 e non confermano l’esperienza quotidiana che individua
nel negare/reprimere/ignorare le emozioni negative l’ateggiamento
che può contribuire a tenere a distanza lo stress (benessere
superficiale a breve termine?). Risulta
anche evidente che certi tipi di modalità di coping,
come accennato, non solo non possiedono le tipiche caratteristiche di
“ammortizzatore” ma aumentano probabilmente le esperienze negative
di natura emotiva. Le
correlazioni tra i punteggi totali di APS e
di coping sono senz’altro meno
conclusive e chiarificatrici delle correlazioni tra i punteggi
parziali delle singole sub-scale. Inoltre, e questo ci sembra uno
degli aspetti più importanti da considerare, l’impatto del coping
varia nel tempo e ciò potrebbe modificare di non poco i
risultati ottenuti in questa ricerca che non ha utilizzato una
metodologia longitudinale. Tale metodologia, che auspichiamo possa
essere impiegata in successive più approfondite ricerche sul tema,
avrebbe permesso di determinare i reciproci effetti tra coping
e APS, le differenti aree evolutive dell’ adattamento
e le differenti fasi della malattia. Per quest’ultimo
punto c’è da ricordare che i “nostri”
pazienti diabetici di tipo 1 avevano mediamente una storia di malattia
della durata di 47 anni contro i 9 anni dei pazienti con diabete di
tipo 2: questo è un aspetto da non sottovalutare e può spiegare,
almeno in via ipotetica, il perché di una così notevole differenza
negli stili di coping tra i due gruppi.
Con il tempo si impara ad adattarsi alla
malattia cronica: certe modalità di fronteggiamento
si consolidano e si raggiungono notevoli livelli di adattamento (vedi
quesiti 2 e 3, risolti a favore del gruppo diabetico tipo 1). Nel
gruppo diabete tipo 2, forse a causa di tempi non lunghissimi di
malattia e di rappresentazione mentale della stessa differente da
quella dei diabetici tipo1, il fronteggiamento
è in via di evoluzione e un adattamento psicosociale
esauriente ancora lontano, anche perché fattori come l’occupazione
lavorativa, le condizioni economiche, le dinamiche familiari e la vita
sociale giocano un ruolo fondamentale nel definirlo completamente.
Infine, i dati
ottenuti suggeriscono delle implicazioni di natura clinica, come
l’impiego di strategie di intervento
finalizzate ad aiutare i pazienti a migliorare il proprio bagaglio di
risorse di fronteggiamento,
prevalentemente attraverso l’addestramento alle abilità di problem-solving,
di comunicazione assertiva, di risoluzione dei conflitti, e tecniche
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