CONSIDERAZIONI
SULL’INDULTO ANNO 2006
SI
FA PRIMA A DIRE CHE LA GIUSTIZIA NON C’E’
Barbara
Rossi
La
storia. Il 1 agosto 2006 viene approvato l’indulto.
Cos'è
l'indulto? Si tratta di un provvedimento generale di “clemenza”,
degenerato nella prassi in strumento di periodico sfoltimento delle
carceri. In sostanza con questo provvedimento il Parlamento condona la
pena o sconta parte di essa (in base all’art. 174 del codice penale).
Vale per i reati commessi prima della presentazione del disegno di legge
di indulto.Per Legge, dal 1992 è necessaria una maggioranza dei due terzi
dei componenti di ciascuna Camera, per la sua approvazione. Hanno votato a
favore, dicono i giornali, Unione, Forza Italia, e Udc. Contrari erano
Italia dei Valori, Lega Nord e parte di An.
Lo sconto di pena deciso in questa occasione dal Parlamento è di tre
anni, mentre in passato è stato al massimo 2 anni.
Non tutti i detenuti hanno potuto usufruire di questo sconto di pena.
Infatti sono rimasti esclusi dall'indulto i reati di mafia, terrorismo,
riduzione in schiavitù, sfruttamento della prostituzione, pedofilia e
stupro. Sono stati invece condonati reati come: omicidio, rapina, scippo,
furto, violazione della legge della droga, ecc. Per la prima volta con la
nuova Legge sono stati indultati anche i reati contro la Pubblica
Amministrazione e l'Amministrazione della Giustizia.
Che
effetti ha avuto l’indulto? Alcune considerazioni
Queste
considerazioni non hanno una natura politica, ma vogliono solo aprire
alcune riflessioni da parte di chi in carcere ci lavora, e quindi ha
potuto toccare con mano gli effetti dell’indulto, prima e dopo la sua
applicazione.
Chi è stato interessato da questo provvedimento? Il numero è difficile
da calcolare, per via di tutti quelli che hanno beneficiato di uno sconto
parziale della pena, che quindi continuano man mano ad uscire. Si calcola
che circa 30.000 usciranno dai penitenziari d’Italia per effetto
dell’indulto tra agosto e dicembre. Circa 16.000 in esecuzione penale
esterna verranno liberati.
Cui vanno aggiunte le centinaia di persone che in carcere non entreranno
mai (circa 100.000).
Si tratta di persone dalle più svariate caratteristiche, persino persone
che il “giorno prima” erano considerate così “pericolose” da non
poter usufruire di alcun beneficio.
Ne deriva il messaggio disorientante, emotivamente, di uno Stato che
sconferma se stesso.
Il dato più sconcertante riguarda il numero, piuttosto elevato, di
persone che erano in programma o si accingevano ad entrare in programma in
base alla Legge 309/90, cioè persone con problemi di tossicodipendenza.
Questa Legge infatti prevede che le persone con questo problema possano
usare il tempo della carcerazione per “curarsi” dalla dipendenza da
sostanze, uscendo dal carcere “a condizione che” abbiano certe
caratteristiche giuridiche, motivazionali e che seguano un certo percorso
che viene definito insieme a operatori psico-sociali formati per questo
lavoro.
Una sorta di contratto educativo che viene messo in atto per aiutare
questi detenuti a superare le loro difficoltà di adattamento sociale.
Questa importantissima Legge ha permesso a molti di seguire dei percorsi
di cura, a volte poi conclusisi con successo, grazie alla possibilità di
affrancarsi da valori, ideologie, relazioni, modelli negativi, in favore
di modalità positive, attente al proprio e altrui benessere. Questo
processo di cura, tuttavia, come è logico intuire, richiede tempi lunghi,
un paziente lavoro a fianco della persona in modo che diventi consapevole
delle proprie difficoltà e delle proprie risorse, fino ad uscire dal
“tunnel”.
Così, è successo che anche le persone che erano in comunità o comunque
in programma hanno beneficiato dell’indulto, con il risultato che
proprio chi era più fragile non è riuscito a proseguire il proprio
programma, tornando alla vita di prima. Un grosso danno per loro, una
protezione mancata.
Altri non avevano un posto dove andare, e la scarcerazione ha coinciso con
il loro essere “buttati fuori”, sulla strada.
Questo ha significato per molti trovarsi senza un posto dove andare, senza
casa, magari senza residenza, quindi senza tessera sanitaria, quindi senza
la possibilità di essere curati se necessario, senza soldi. Ed in agosto,
con molti degli operatori che se ne occupano in ferie. Un vero stato di
emergenza.
Ci sono stati detenuti che si sono informati su come potevano non
beneficiare dell’indulto, spaventati all’idea di finire in strada a
ricominciare la vita di prima! Chiedevano di avere il tempo di costruire
un progetto di cura che tenesse conto dei loro problemi, ma non era
possibile non avere l’indulto.
Altri che avevano programmi pronti ed erano motivati, hanno potuto entrare
in comunità o comunque seguire il percorso scelto. Altri ancora ne hanno
approfittato per tornare alla loro vita, senza render conto a nessuno.
Molti stanno già rientrando in carcere. Alcuni sono rimasti fuori una
sola settimana, poi hanno commesso uno-due-sette…vari reati, fino
all’arresto.
Risultato: ritorno al punto -1. Azzerato anche il lavoro di circa un anno
(forse di più..), svolto da operatori socio-sanitari, dalle Forze
dell’Ordine, dai Magistrati, e da tutti gli operatori delle varie
Amministrazioni che operano in relazione a questo campo. Un vero spreco.
Le reazioni dei detenuti quindi sono state le più varie.
Mi preme sottolineare soprattutto la reazione di chi, con caratteristiche
evidentemente anti-sociali, “ha goduto per averla fatta franca”.
Questo sul piano psicologico apre una grossa ferita.
Che l’Autorità trasmetta, più o meno consapevolmente, il messaggio che
si può uccidere, rubare, spacciare, fare assegni a vuoto, truffare o
altro, e restare impuniti, è un fatto psicologicamente anti-educativo e
fonte di angoscia e rabbia per chi quel reato l’ha subito. Le vittime si
sentono umiliate una seconda volta, gli altri restano a guardare sgomenti,
non potendosi più sentire sicuri nella propria casa, nel proprio Paese.
Al limite, basta aspettare il prossimo indulto, così alcuni detenuti
pensano. E’ drammatico.
Il perdono è qualcosa di molto più complesso. Nella religione cattolica,
anche il figliol prodigo viene perdonato, quando torna pentito; non è il
padre che lo rincorre per perdonarlo!!
Chi può tutelare i valori morali, il rispetto per la persona e per la
dignità umana, se non il Padre e quindi lo Stato in prima persona? E che
pensare se lo Stato abdica a questa tutela?
Certo, le carceri erano sovraffollate, mettendo le persone in condizioni
poco dignitose. Ma il rispetto dell’uomo passa anche attraverso il
rispetto delle regole, dei valori, ed eventualmente anche del recupero,
perché no? A certe condizioni.
Ci sono tanti modi per fare le cose. Come diceva il grande
psicosocioanalista Luigi Pagliarani, “la differenza tra una carezza e
uno schiaffo è solo una questione di velocità”.
Lo schiaffo, quindi la violenza, fa male a tutti.
Bilancio
dopo 2 mesi.
Quel
che vedo, è che il 30% è rientrato. E spesso non ha commesso un solo
nuovo reato. Quini il rientro significa un nuovo fallimento, un altro peso
da aggiungere ad una vita difficile.
La TV parla di un aumento degli episodi di violenza.
E’ inevitabile fare un collegamento.
Sul piano psicologico, per una persona che cerca una “punizione”,
nulla è meno improbabile e imprevedibile.
Con l’augurio quindi che la clemenza ideologica possa lasciare il posto
ad una maggiore attenzione per le persone.
P
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