Salbitano
Eduardo
I
recenti progressi compiuti nella comprensione della fisiologia del
dolore acuto hanno portato alla creazione di una serie di modelli
concettuali che suggeriscono che il dolore è un'esperienza
pluridimensionale.Per esempio, il modello " onion ring " di
Loeser a strati concentrici
sovrapposti suddivide il dolore in quattro categorie:
- nocicezione ;
- dolore ;
- sofferenza ;
- comportamento di reazione al dolore.
La nocicezione è la fase che da inizio all'esperienza dolorosa
nell'uomo e consiste nel rilevamento di un danno tissutale da parte dei
recettori
localizzati in varie parti del corpo e la trasmissione di tale
informazione al SNC.Il dolore rappresenta la percezione e
l'interpretazione umana di questo input nocicettivo a livello
cerebrale.La sofferenza è la risposta negativa al dolore o ad altri
eventi emotivi quali paura, ansia, isolamento o depressione. Il
comportamento di reazione al dolore è ciò che una persona fa o dice, o
non fa o non dice, e indica a un osservatore esterno che quella persona
sta soffrendo a causa di uno stimolo doloroso.Le prime tre categorie di
questo modello sono caratterizzate da eventi interni e pertanto la loro
esistenza può soltanto essere dedotta, mentre il comportamento di
reazione al dolore è reale e quantificabile e può essere utilizzato
per stabilire l'efficacia di trattamenti volti a fornire sollievo dal
dolore. Tuttavia, la comprensione dei complessi meccanismi della
nocicezione si è notevolmente ampliata negli ultimi anni, grazie
soprattutto alle conoscenze derivanti dalla ricerca sperimentale. Il
dolore è sempre soggettivo. Ogni individuo impara l'uso appropriato del
vocabolo attraverso esperienze associate a lesioni vissute durante
l'infanzia. E' senza dubbio una sensazione relativa ad una parte o più
parti del corpo, ma è sempre spiacevole, per cui costituisce anche
un'esperienza emotiva. Può essere diviso in due tipi distinti di
dolore: il dolore fisiologico, che proviamo tutti i giorni, e il
dolore patologico, che si prova quando si è verificato un danno
tissutale importante.
DOLORE FISIOLOGICO
Esso agisce come un sistema protettivo che mette in guardia dal
contatto con stimoli potenzialmente dannosi. Ciò richiede una
specializzazione funzionale dei recettori , in modo tale che le risposte
ai vari stimoli possano essere differenziate.I recettori a bassa soglia
rilevano gli stimoli innocui, come quelli di posizione o tattili, mentre
i recettori con soglia elevata, detti nocicettori, rilevano stimoli
dolorosi. Gli stimoli richiesti per attivare ciascun tipo di recettore
sono sufficientemente diversi da consentirci di predire, in maniera
affidabile, se siano innocui o potenzialmente dannosi.
DOLORE PATOLOGICO
A differenza del dolore fisiologico, il dolore patologico non prevede un
sistema di avvertimento precoce ed è quasi sempre associato a danno
tissutale o del SNC. Se lo stimolo doloroso è prolungato la
soglia di questi nocicettori viene modificata provocando un
aumento del dolore ad ogni successiva stimolazione e un'espansione del
campo percettivo.Per chiarire meglio, anche se in modo molto
approssimativo, il processo nocicettivo può essere scomposto e studiato
in tre parti distinte ed ugualmente importanti: la periferia, il nervo e
il midollo spinale. A livello periferico il danno tissutale porta al
rilascio di sostanze chimiche endogene algogene che causano
vasodilatazione, infiammazione ed edema influenzando, a loro volta, il
rilascio di altre sostanze dolorifiche.Questa "miscela" di
sostanze chimiche può modificare la sensibilità dei nocicettori e
provocare iperalgesia primaria, ovvero un'aumentata risposta ad
un'esperienza dolorosa. Può portare anche ad allodinia, per cui
uno stimolo che normalmente non provoca dolore inizia a farlo.Gli
impulsi, nocicettivi e non, viaggiano verso il SNC lungo diversi tipi di
fibre nervose afferenti che possono essere classificate in base alle
loro dimensioni, al grado di mielinizzazione e alla velocità di
conduzione. In condizioni normali gli impulsi dolorosi vengono
trasportati da fibre mieliniche sottili A-delta, e dalle fibre
mieliniche C .Gli impulsi sensoriali innocui, come quelli tattili
e pressori, sono trasportati dalle fibre mieliniche di maggiori
dimensioni A-beta. Gli impulsi nocicettivi penetrano nel midollo spinale
attraverso il corno posteriore, dove vengono sottoposti ad influenze
modulatorie provenienti dai centri superiori.Queste, a loro volta,
determinano a quale successiva elaborazione il segnale verrà
sottoposto. Alcuni impulsi percorreranno il midollo in direzione
cefalica fino al tronco ed al cervello, dove verranno ulteriormente
elaborati, mentre altri passeranno direttamente al corno anteriore,
provocando risposte riflesse di tipo simpatico.
LE COMPONENTI DEL DOLORE
Con il termine dolore si fa dunque riferimento ad un particolare insieme
di fattori che contribuiscono alla percezione soggettiva di questo
fenomeno. La varietà nella percezione di questa sensazione è
testimoniata dalla grande diversità nella descrizione soggettiva del
dolore. Già Melzack e Torgenson (1971) avevano individuato ben 92
espressioni diverse usate per descrivere il dolore. Ciò dimostra come
ogni dolore abbia delle qualità uniche e non si possa pensare ad esso
come un'unica esperienza che varia solo nella sua intensità. Già si è
accennato, seppur brevemente, ai significati di nocicezione e
dolore, ma la IASP (Associazione Internazionale per lo Studio del
Dolore) riferendosi proprio al dolore, ha scelto la seguente
definizione:"Il dolore è un'esperienza sensoriale ed emotiva
associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritto in
termini di tale danno". Quest'ultima definizione ci fa capire
l'importanza che viene attribuita ai fenomeni emotivi e psicologici
nella determinazione del dolore, lasciando intendere che tale fenomeno
va ben oltre le specifiche descrizioni mediche. Il dolore e la sua
percezione, è un fenomeno soggettivo e l'esperienza quotidiana ce lo
insegna. Ci sono persone con una cosiddetta soglia del dolore più alta
di altre che riescono a sopportare delle stimolazioni nocicettive che
per altri sarebbero insostenibili.Il dolore è solo in parte un fenomeno
biologico e non è certo assimilabile a quei fenomeni clinici
oggettivamente misurabili come la temperatura corporea, pressione
arteriosa etc. La percezione del dolore è determinata da fenomeni
biologici strutturali, da modelli di apprendimento familiari, da norme
sociali e da descrizioni culturali del fenomeno. Molte persone
riferiscono dolore in assenza di danno tissutale o di una qualsiasi
causa fisiopatologica. Spesso la causa di questo tipo di percezione può
essere ricondotta a fattori psicologici. Ciò non svaluta questo tipo di
dolore né lo rende in qualche modo diverso da quello legato ad un danno
tissutale visibile. La pura stimolazione delle vie nocicettive non può
essere considerata come sola espressione del dolore in quanto esso è
sempre e anche uno stato psicologico legato ad un particolare processo
percettivo. Alcuni studi indicano come il dolore sia un comportamento
appreso, evidenziando come la risposta caratteristica al
dolore, presente già nei neonati, si amplifichi e si associ ad altre
emozioni man mano che il bambino cresce fino a formare una vera e
propria evoluzione espressiva. Alcuni lavori di Izard (1980) dimostrano
che l'espressione di dolore causata da uno stimolo nocicettivo appare in
tutti i bambini al di sotto dei quattro mesi di età, per poi,
crescendo, lasciar posto ad una sempre più evidente espressione di
rabbia. Questo non significa che durante l'evoluzione individuale la
percezione del dolore si modifica ma che, probabilmente, le espressioni
facciali sono usate sempre più in un'ottica relazionale. Anche Bandura
(1962) sottolinea, con le sue ricerche, l'importanza dell'apprendimento
per osservazione nell'amplificazione dell'espressione del dolore. I
primi modelli di reazione al dolore vengono forniti dall'ambiente
familiare che, se eccessivamente preoccupato per l'incolumità del
bambino può facilmente trasmettere dei modelli reattivi e relazionali
disfunzionali. Ci sono degli interessanti studi di Craig (1978) che
sottolineano come certi bambini possano essere maggiormente predisposti
a lamentarsi per il dolore quando questi abbiano qualche familiare
portatore di una qualsivoglia sintomatologia algica. La cosa più
interessante è che in certe famiglie il bambino può imparare specifici
modelli di risposta al dolore anche in assenza di un'esperienza diretta.
Come abbiamo detto ci sono anche delle importanti variabili psicologiche
e psicosociali che mediano la percezione e l'espressione del dolore. Tra
le variabili psicologiche più importanti nella modulazione del dolore,
che ha anche un particolare valore per la ipnositerapia, abbiamo
l'attenzione intesa come un orientamento selettivo ad una stimolazione.
Il grado di attenzione prestato allo stimolo doloroso può modificare
sensibilmente l'intensità dell'esperienza dolorosa, se esso è alto può
amplificare la percezione nella stessa misura in cui lo spostamento
intenzionale o casuale dell'attenzione su qualcosa di diverso può
ridurre notevolmente la percezione del dolore. Alcuni esperimenti
di Hall e Stride (1954) hanno dimostrato come l'inserimento del termine
"dolore" in una presentazione che precedeva una stimolazione
elettrica produceva l'esperienza del dolore, che non veniva invece
riferita quando questa parola non veniva usata. Questa è una
dimostrazione indiretta della possibile efficacia delle tecniche di
disseminazione nel trattamento ipnotico del dolore. Infatti, la
disseminazione di suggestioni che facciano riferimento all'analgesia
contenuti all'interno di un'induzione ipnotica produce una stimolazione
di quel particolare stato percettivo. Non si devono sottovalutare
neanche gli aspetti culturali legati al dolore. Studi antropologici ci
offrono un'idea dell'influenza che i valori culturali attribuiti
ad una certa esperienza possono esercitare sulla percezione e
manifestazione di tale esperienza. Molti riti di popolazioni tribali ci
mostrano come i loro appartenenti, specie i giovani ed i giovanissimi,
sono in grado di sopportare i dolori più atroci e le più cruente
mutilazioni senza mostrare dolore. Altro elemento fondamentale nella
modulazione del dolore è il significato che il soggetto attribuisce a
quest'ultimo un dolore toracico sarà interpretato diversamente da chi
abbia avuto già un infarto rispetto a chi non abbia avuto mai avuto
problemi di questo genere. Ci sono delle interessanti osservazioni fatte
da Beecher (1959) su dei combattenti la seconda guerra mondiale il
rapporto tra le ferite e richiesta di analgesici tra i soldati era
ovviamente molto più basso rispetto a quello riscontrabile tra i
civili. E' evidente che la principale differenza tra i due gruppi
consisteva nel diverso significato attribuito alle ferite rispetto al
loro contesto di appartenenza. Altro elemento importante nell'analisi
delle componenti modulatrici la percezione dolorosa è la personalità
del soggetto colpito da sintomatologia algica. Il dolore è
un'esperienza complessa comprendente dimensioni emotive, cognitive,
motivazionali e sensoriali. Per ognuna di queste dimensioni le
caratteristiche psicologiche individuali rivestono un ruolo fondamentale
nella percezione, modulazione, espressione e costruzione del dolore.
L'ANALGESIA IPNOTICA NEL CONTROLLO DEL DOLORE
Ci sono molti studi ed altri se ne stanno facendo con frequenza
crescente, riportati su riviste scientifiche internazionali di indubbio
prestigio,
relativi all'ipnosi e ad una delle sue applicazioni potenzialmente più
interessanti: l'analgesia ipnotica. Essi tendono a dimostrare come
l'ipnosi sia una tecnica efficace nel ridurre la percezione del dolore,
anche se non sembra esserci un consenso univoco sul motivo di questa
riduzione.
I molti dubbi in proposito possono essere ricondotti alla larga
componente soggettiva del dolore che può essere difficilmente misurata
e standardizzata. In pratica ci sono due variabili in gioco che sono
difficilmente misurabili: il dolore percepito e l'analgesia ipnotica.
Entrambe queste variabili si basano su differenze individuali circa la
percezione del dolore e l'ipnotizzabilità. E' difficile capire infatti
la misura dell'analgesia ipnotica rispetto al dolore percepito dai
singoli soggetti. Nonostante queste difficoltà gli studiosi hanno
continuato ad analizzare il fenomeno individuando due classi di
meccanismi che sembrerebbero regolare la riduzione del dolore
nell'analgesia ipnotica: una classe di natura prevalentemente
psicologica ed un'altra comprendente meccanismi fisiologici legati a
questo fenomeno. Tra i meccanismi psicologici, di primaria importanza,
sembra essere la deviazione dell'attenzione che può arrivare ad
efficaci livelli di dissociazione. La teoria che fa riferimento ai
meccanismi dissociativi per spiegare la riduzione del dolore in ipnosi
si ispira al fatto che la situazione ipnotica non è l'unica occasione
in cui il soggetto può percepire meno il proprio dolore. E' lo stesso
Kandel a sottolineare l'aspetto evolutivo di questo fenomeno descrivendo
come in alcuni casi lo stress comportamentale possa di per sé indurre
analgesia:" Un'importante componente della risposta dell'organismo
a situazioni di emergenza è rappresentata dalla riduzione della
risposta dell'organismo agli stimoli dolorifici. Per un organismo che
deve far fronte alle esigenze comportamentali indotte dall'esposizione a
situazioni stressanti, quali le attività di predazione, di difesa,
quelle tendenti al predominio intraspecifico e gli adattamenti alle
condizioni ambientali estreme, le normali reazioni al dolore possono
essere svantaggiose. Il dolore evoca normalmente riflessi di retrazione,
reazione di fuga ed altre forme del comportamento di difesa. In presenza
di una situazione stressante queste reazioni possono essere soppresse
per favorire forme di comportamento più adatte. Le suddette situazioni
di stress comportamentale possono essere considerate momenti in cui il
soggetto si distrae dal proprio dolore per cercare di evitare o
modificare eventi potenzialmente fatali per la propria sopravvivenza. E'
molto frequente sentir parlare di soldati che in battaglia non si sono
accorti del dolore provocato da una profonda ferita o ad atleti che
riescono a continuare a correre con lesioni muscolari importanti non
provando il minimo dolore. In questo modo si può intendere l'ipnosi
come una strategia che distoglie l'attenzione del soggetto dalla
percezione del dolore concentrandola su qualcosa che in quel momento
appare come maggiormente interessante. In opposizione a questa teoria ce
n'è un'altra che sostiene come nella ipnosi avviene qualcosa di diverso
e specifico che attiva un sistema di elaborazione addizionale del dolore
Come la prima ipotesi della deviazione dell'attenzione, si rifà al
modello sociopsicologico, quest'ultima può essere ricondotta al modello
neodissociativo di Hilgard. Entrambe le ipotesi partono dall'assunto che
l'analgesia ipnotica si origina da un impegno consapevole del soggetto
in quella direzione, sebbene la teoria neodissociativa sottolinei il
fatto che in questo fenomeno siano inclusi livelli superiori di
elaborazione dell'informazione. Lo stato ipnotico darebbe forma ad un
diverso sistema di elaborazione percettiva in grado di modulare la
percezione del dolore. Tale sistema percettivo sarebbe specifico
dell'ipnosi e non riscontrabile in altri stati di coscienza. Per quanto
riguarda i meccanismi nurofisiologici, l'analgesia ipnotica influenza
diversi sistemi. A livello spinale, l'analgesia ipnotica sembra avere un
effetto inibitorio sull'attività spinale periferica A questo proposito
sono state osservate modificazioni sia nella latenza che nell'ampiezza
dei riflessi spinali. L'analgesia ipnotica sembra anche correlata ad una
modificazione dell'attività elettroencefalografica. Da una lettura
neurofisiologica dei processi implicati nell'analgesia ipnotica
sembra che questa sia un processo inibitorio attivo che opera nella
riallocazione delle attività talamo-corticali. A conferma di questa
visione c'è il fatto che le persone altamente ipnotizzabili sono anche
quelle che possiedono dei sistemi inibitori più efficaci rispetto
a quelle meno ipnotizzabili. In ogni ricerca scientifica che tratti
dell'analgesia ipnotica ci si riferisce a questo processo come un unico
fenomeno. Naturalmente la questione è più complessa visto che non
esiste un unico stato ma una gradualità e le sue modalità di induzione
sono molte e qualitativamente diverse. Di per sé qualsiasi induzione
ipnotica, per le sue caratteristiche psicologiche e psicofisiologiche,
produce fenomeni dissociativi che contribuiscono alla capacità del
soggetto di sopportare meglio stimoli nocicettivi. La vasta casistica
contenuta nelle opere di Milton Erickson dimostra i vari possibili
usi dell'ipnosi con pazienti afflitti da patologie dolorose acute e
croniche e la capacità del grande terapeuta nel sapere valutare la
natura del dolore da trattare e la migliore delle strategie per ridurne
o annullarne l'intensità. In alcuni casi vediamo che Erickson si
accontenta di ridurre l'estensione della zona colpita dal dolore; in
altri, con approccio deciso, va al sottostante problema psicogeno
producendo una remissione completa. Le tecniche da lui usate
nell'induzione fanno riferimento alle normali procedure conosciute
come: confusione, disseminazione e, più avanti nel processo,
dissociazione, adattandole al paziente per utilizzare gli elementi che
lui stesso propone. In un recente editoriale del prof. G. DE
BENEDITTIS, comparso sul primo numero della rivista italiana di ipnosi
clinica e sperimentale, IPNOSI, si può leggere come, oggi, l'analgesia
ipnotica è frequente oggetto di studio e ricerca da parte del mondo
scientifico. Egli cita e commenta due articoli, a suo giudizio, epocali.
Il primo riguarda uno studio di neuroimaging con tecnica PET
del canadese Pierre RAINVILLE e pubblicato nel 1997 sulla rivista
SCIENCE. In esso si dimostra in modo convincente che la capacità
dell'ipnosi di modulare in maniera differenziale i diversi aspetti della
percezione dolorosa non è rigida, unidirezionale, ma flessibile e
dipendente dalla formulazione della suggestione ipnotica stessa. In
altri termini appare sempre più evidente come l'ipnosi sia in grado di
modulare non solo la componente motivazionale-affettiva, ma anche quella
sensoriale-discriminativa (più legata all'intensità dello stimolo
nocicettivo) sia pure in grado minore. Questa indagine è stata
ripetuta, confermandola, anche da altri studiosi dello
stesso gruppo e da ricercatori belgi Il secondo articolo, pubblicato
sull' International Journal of Clinical and Experimental Hipnosis (
MONTGOMERY ed altri, 2000 ) dimostra come l'ipnosi - sulla base di 18
studi controllati ed un campione di 933 partecipanti - sia in grado di
produrre un significativo sollievo del dolore acuto nel 75% del campione
in diverse condizioni cliniche. Gli Autori concludono che la riduzione
del dolore mediante ipnosi può essere considerata un " trattamento
affidabile e consolidato". In conclusione, l'aspetto più esaltante
di questi recentissimi studi effettuati, è che la comunità scientifica
internazionale non solo considera ormai l'ipnosi un campo di ricerca
dignitoso ed appetibile, ma anche, per la prima volta "un potente,
affidabile strumento fisiologico d'indagine sul sistema nervoso centrale
e periferico".