Sull’identità
personale
Giuseppe
Lavenia
Chi
siamo? O meglio…Cosa siamo? Da sempre l’uomo si pone domande riguardo
il tema dell’identità. E’ un elemento inscindibile dalla natura
umana, intimamente collegato al nostro continuo desiderio di scoperta e
conoscenza, un concetto in continua evoluzione.
La parola identità deriva dal termine latino “idem”, indicando la
relazione che l’Io intrattiene con se stesso e implicando la continuità
dell’individuo nel tempo e nello spazio in quanto distinto dagli altri.
Ma un concetto di identità così definito è un concetto nuovo, moderno.
Sono trascorsi secoli da quando Cartesio tentò di definire con la celebre
formulazione: "Cogito, ergo sum" (letterale "Penso dunque
sono") il gravoso dilemma dell’essenza umana. Partendo dal
principio che il pensiero possiede in se stesso la garanzia della propria
umana esistenza, giunse alla conclusione che l’attributo essenziale e
definente il soggetto è il pensiero stesso. Ma cosa vuol dire esistere?
Cos’è colui che pensa? Con una chiara risposta Cartesio chiarì il suo
pensiero “questo che dico io dunque, cioè l’anima, per cui sono quel
che sono, è qualcosa di interamente distinto dal corpo, ed è anzi tanto
più facilmente conosciuto, si che, anche se il corpo non esistesse, non
perciò cesserebbe di essere tutto ciò che è”. Cartesio quindi separa
l’anima (res cogitans) dal corpo (res extensa), ripone l’essenza
dell’io (l’identità del soggetto) nella res cogitans e relega il
corpo (senza anima), res extensa, nel campo della fisica dei corpi e delle
leggi biologiche che la governano. “L’io non è il corpo e il mio
corpo non sono io!”. In questa direzione si orientano le scienze
oggettivistiche e positivistiche moderne: un corpo-oggetto astratto dal
legame originario con il mondo in cui vive, un puro organismo facilmente
indagabile dalla fisiologia e dalla anatomia. Una persona è certamente
anche un’identità materiale (cioè costituita da materia) ma non è
descrivibile nei termini delle scienze materiali; esiste una dimensione
non riducibile, costituita dalla soggettività e dall’azione
intenzionale che cerca di rendere conto della complessità del reale più
di quanto non faccia il riduzionismo biologico. A tal proposito Husserl
diceva, due secoli più tardi, “non posso esistere senza il corpo, né
posso pensare di liberarmi da esso se non sopprimendo me stesso”[1],
“non esiste un uomo al di fuori del suo corpo perché il suo corpo è
lui stesso nel realizzarsi della sua esistenza”[2].
Fu il contributo psicoanalitico e in particolare il pensiero eriksoniano a
porre in luce la ricerca dell’identità come il tema principale della
vita di ogni uomo. Erikson, parla di un lungo e tortuoso percorso che
ognuno di noi compie dalle prime fasi dello sviluppo infantile sino a
consolidarsi nella vita adulta.
Come sicuramente avrete già intuito dal “saltare” tra secoli e
teorie, lo scopo qui, non è quello di ripercorrere la storia del
concetto d’identità, né tanto meno quello di sminuire teorie o
correnti di pensiero che molto hanno storicamente influito nella
comprensione dell’essere umano. Fino ad oggi l’uomo, la sua identità,
è stata vista secondo uno schema “narcisistico” in cui tutto è
centrato sull’“autobiografia”, sulla “nostra” storia di vita. Ma
varcando la soglia del nuovo mondo digitale questa concezione può essere
considerata attendibile? E’ possibile che si sia passati ad una nuova
forma “biografica” in cui deve esserci necessariamente qualcun altro a
“raccontare” e “confermare” la nostra storia personale per capire
che “ci siamo,”? La società moderna coinvolgendoci sempre
maggiormente nel circolo vizioso del “non fermarsi mai” ha evidenziato
maggiormente l'esistenza della solitudine e dell’emarginazione.
Sentimenti come la solitudine o l’emarginazione sembrano essere vissuti,
dalla società attuale, come patologie da cui tutti dobbiamo fuggire, mali
incurabili, ormai contesto del moderno storico. L’isolamento è vissuto
come una condizione di pericolo che pone l’uomo in allarme, una
sorta di meccanismo di difesa arcaico che muove l’individuo alla
continua ricerca dell’altro per la propria “sopravvivenza”. La
solitudine ci spaventa con quel senso di vuoto e di fragilità: un vuoto
che sembra non colmarsi mai, una ricerca continua di qualcosa che
non c’è!
L’utopistico
tentativo di raggiungere sempre qualcosa di più importante ha
“resettato” i già miseri contatti umani diffondendo e amplificando il
comune senso depressivo. Se questo è vero, allora depressione e
isolamento non esprimono altro che le “patologie” di un uomo insicuro
e ansioso alla ricerca “spasmodica” della sua vera identità. "La
vera autenticità non sta nell'essere come si è, ma nel riuscire a
somigliare al sogno che si ha di se stessi", afferma uno degli
emblematici personaggi del film Tutto su mia madre[3],
che col suo racconto paradossale riesce bene a raffigurare la nuova
grammatica della vita interiore.
Ecco allora che con lo sviluppo della grande rete l’uomo ha trovato una
nuova via per colmare questo senso di vuoto che da sempre lo assale,
“risocializzando e ricercando il proprio Sè” mediante comunità
virtuali.
Oltretutto gli Utenti[4]
incoraggiati dall’anonimato, offerto da internet, esprimono e
sperimentano tratti della propria personalità, che inibizioni e/o
controllo sociale spingono il più delle volte a reprimere, quello che ci
costituisce è il nostro rapporto col mondo. Il tessuto della nostra
identità è costruito attraverso il nostro specifico rapporto con le
singole persone. Bisogna saper riconoscere l’“essere umano” che è
nell’altro, la sua individualità, la sua “esistenza”. Questa
“esistenza” non si mette al mondo da sola come secoli fa predicava
Cartesio: è una soggettività nuova, esposta allo sguardo degli altri e
che solo attraverso l’altro possiamo sperimentare. Un “altro” a cui
non interessa il nostro cognome, il nostro ceto sociale o il colore della
pelle, un “altro” che ricerca noi per comprendere meglio la propria
“esistenza”. Siamo di fronte ad uno scenario del tutto nuovo…
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