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IL METODO DEL GENOGRAMMA

Gloria Bova

L’utilizzo del Grafico del Genogramma, disegnato dal paziente, come “Test dello stato dell'arte” e come “Strumento di Valutazione del Cambiamento in Psicoterapia”

Il Genogramma è uno strumento grafico utilizzato dai terapeuti familiari per sistematizzare cronologicamente e trigenerazionalmente la composizione della famiglia in esame e le relazioni parentali presenti al suo interno. Il terapeuta familiare disegna il genogramma della famiglia e “ragionandoci in èquipe” trae ipotesi su aspetti disfunzionali e su soluzioni strategiche che andrà poi a verificare in seduta. Il Genogramma trae certamente origine dall’idea dell’Albero Genealogico, ma la sua attribuzione di paternità non è chiaramente condivisa. Secondo Anne A. Shutzenberger[1], per alcuni è fatta risalire al Genososciogramma di Henry Collomb, da Genealogia (albero genealogico) e Sociogramma (rappresentazione di legami e relazioni), che egli sviluppò a Dakar ed espose a Nizza nel 1978 partendo dalle riflessioni di J. L. Moreno; per altri è fatta risalire a Murray Bowen (in riferimento alla conferenza sulla terapia familiare del 1967) e quindi alle concettualizzazioni del Gruppo di Palo Alto[2] in California. In realtà, per entrambe le vie di elaborazione del genogramma, le distanze epistemologiche sembrano accorciarsi trovando in se stesse un anello di unione in Frieda Fromm-Reichman, la prima ricercatrice che iniziò a filmare le sedute famigliari con pazienti schizofrenici nel 1948, e che nel 1956 lavorò sia con Moreno a Stanford[3] scrivendo con  lui un libro a quattro mani[4], che con il Gruppo di Palo Alto[5], segnando la nascita della Terapia Familiare. In verità, afferma ancora Shutzenberger, la genesi del Genogramma sembra affondare le sue radici in terreni più antichi, contenedo in sé i concetti di “das Umbewusste” e di “Psiche Collettiva” di S. Freud, e di “Inconscio Collettivo” di C. G. Jung.

Rimandando altrove gli interessantissimi approfondimenti sulle origini della Tecnica del Genogramma, facciamo un salto negli utilizzi che nel tempo sono stati documentati, sottolineando che fin qui si è sempre parlato del genogramma costruito dal terapeuta e non dal paziente, sulla base dei dati acquisiti in seduta. In seguito, sono stati tentati usi più complessi del genogramma, come è avvenuto nel Family Life Space[6] e nel Test della Doppia Luna[7], ma senza riuscire a rispondere pienamente alle riflessioni offerte da Montàgano[8] che osserva come “la drammatizzazione insita nella pratica del disegno del genogramma, offra rappresentazioni vive e complesse, richiamando le componenti emozionali e affettive delle relazioni familiari e parafamiliari così come sono state vissute in quel momento”, ma anche come “l’utilizzazione del genogramma sia … limitata al suo impiego come tecnica, mentre … il genogramma presenta possibilità molto più ampie, tanto da poter essere considerato come una espressione di terapia”. Infatti E. Lemaire-Arnaud[9] scrive, che schema e forma grafica del genogramma “rispecchiano visivamente le relazioni tra i veri membri” e che “ogni genogramma presenta una sua scrittura, assolutamente originale” perché “lo schema geometrico diviene disegno libero”. Infine, raccogliamo l’invocazione di V. Cigoli[10] per un “genogramma come strumento poliedrico, staccato dall’anamnesi, che attivando il sistema della memoria emotiva e immaginativa favorisca la presa di coscienza circa la propria famiglia interiore”.

Il Metodo del Genogramma qui presentato risponde a tali invocazioni, rendendo il genogramma un utile strumento che parla della “famiglia interiore”, informa delle dinamiche relazionali presenti al suo interno ed entra nella terapia quale strumento di consapevolizzazione. Il Metodo prevede che sia il paziente a disegnare il proprio genogramma, secondo gli specifici criteri di consegna dati dal terapeuta, ed in precisi momenti del percorso terapeutico, come di seguito specificati. Inoltre, è sfruttando gli aspetti interpretativi del segno grafico, che sono stati verificati i criteri di base per una traduzione simbolica generalizzabile del disegno del genogramma fatto dal paziente. E’ così che il Genogramma, disegnato dal paziente all’inizio del percorso terapeutico, acquista il significato di Test dello stato dell’arte. Esso risulta cioè utilizzabile come un test grafico che proiettivamente fornisce al terapeuta informazioni aggiuntive, o conferme, su determinati aspetti della situazione di partenza.

Quando alla fine del percorso terapeutico o in momenti significativi di questo, viene data al paziente la seconda consegna di disegnare il proprio genogramma, questo acquista anche il significato di un test proiettivo grafico per la verifica qualitativa del cambiamento terapeutico, la cui lettura, viene completata attraverso la comparazione, in seduta, con-il e per-il paziente, dei due grafici da lui eseguiti in tempi terapeutici diversi. Infatti, la lettura comparativa dei due grafici disegnati dal paziente, all’inizio ed alla fine della terapia, definisce con chiarezza il punto iniziale e il punto finale del suo percorso terapeutico. Definisce “da dove siamo partiti” e “dove siamo arrivati”. Informazione utile per il terapeuta, che disponendo di uno strumento in più per fare il punto della situazione sul percorso fino a quel punto compiuto, può decidere, da solo o nel lavoro d’èquipe, se e come continuare la terapia (terapia finita e congedo, obiettivo parziale raggiunto, definizione del prossimo obiettivo, riaggiustamento della strategia terapeutica, ecc.), basando le proprie riflessioni su dati oggettivati, e non da meno, l’informazione risulta utile per il paziente che, attraverso il lavoro interpretativo congiunto di questa comparazione, “fissa” un essenziale momento di autoconsapevolezza, perchè questo procedimento gli permette di “oggettivare”, di “vedere fuori da sé” in concreto, nero su bianco, i suoi cambiamenti. Gli permette addirittura di leggerli, interpretarli, e fissando un prima e un dopo (chiari, riconosciuti e condivisi), può aggiungere alla sua esperienza evolutiva una nuova consapevolezza di sé e della sua storia: in quei due disegni del prima e del dopo, messi davanti ai suoi occhi, potrà abbracciare con un solo sguardo l’intero percorso fatto in terapia e diventare padrone del suo cambiamento (inteso come “kunesis” verso “entelechia”). I suoi cambiamenti sono reali, sono lì davanti a lui, nero su bianco, può rispecchiarsi in essi, e lui ne è stato l’artefice, sotto la guida e con l’aiuto della psicoterapia.

Nella sperimentazione clinica eseguita si sono effettivamente riscontrati, nelle due diverse rappresentazioni grafiche, dei cambiamenti significativi in rapporto al cambiamento terapeutico raggiunto. Si è verificato che questo cambiamento nel tempo, nella rappresentazione grafico-simbolica del genogramma, è effettivamente il risultato di una nuova rappresentazione del proprio mondo familiare, riflesso di una diversa immagine della propria famiglia (e quindi di un sé relazionale, sia affettivo che cognitivo), risultato di una nuova concezione del proprio grafico familiare che la persona si è costruita nella sua mente, in virtù di un cambiamento terapeutico che, in tal modo, può essere verificato anche qualitativamente e condiviso con lo stesso paziente in seduta.

All’idea di partenza, quindi, di verificare se l’utilizzo del disegno del genogramma fatto dal paziente poteva avere un senso come strumento grafico per la verifica del cambiamento terapeutico, e cioè, dal punto di vista non solo sistemico, dei cambiamenti relazionali, o meglio, della visione soggettiva e relazionale che la persona ha di sé e del suo mondo familiare e affettivo, è stato dato positivo riscontro. Attualmente la ricerca si apre alla strutturazione di un progetto che porti ad una validazione statisticamente significativa dei risultati qualitativamente ottenuti finora.

In conclusione, il Metodo del Genogramma elaborato e sperimentato dall’autrice, permette di guardare al genogramma come una vera risorsa terapeutica, uno strumento evolutivo, una sorta di procedimento grafico di verifica svolto lungo l’asse temporale, facendolo comporre al paziente all’inizio ed alla fine del percorso terapeutico, o comunque all’occorrenza, evitandone però una controproducente familiarizzazione da parte della persona. Infatti, sull’uso ripetuto o a distanza troppo ravvicinata, ci sono decise riserve. E’ preferibile che esso resti uno strumento proiettivo abbastanza sconosciuto alla persona. Se essa ne diventa padrona, rischia di diventare per lei come un gioco e di perdere la sua intensità emotiva e l'impegno nel disegnarlo. Non deve diventare come il termometro, usato ad ogni accenno di rialzo febbrile! Ovviamente, l'intervallo tra le due applicazione segue la durata e l’andamento della terapia, ma si è osservato che comunque non è quasi mai prima di un anno, a meno che essa non si concluda prima o non si raggiungano prima dei cambiamenti così significativi da segnare l’inizio di una nuova fase nel percorso terapeutico, e che quindi val la pena di “fissare”.

Nella ricerca condotta, la consegna del secondo genogramma ha seguito di parecchio la prima, e in tutti i casi si è osservato che la persona non se ne ricordava più. In effetti il primo grafico non viene commentato in seduta, e questo non dà modo alla persona di conservarne un particolare ricordo. Il primo grafico è solo un Test dello Stato dell’Arte che informa dello stato attuale. Il terapeuta lo tradurrà, fuori seduta, secondo il Modello di Riferimento e poi lo leggerà comparativamente con questo e quindi lo interpreterà, dopodiché sarà semplicemente archiviato in cartella, per poi essere ripreso, nella seduta di consegna del secondo grafico, per una lettura comparativa fatta con il paziente nella seduta conclusiva di congedo.

 

SPUNTI BIBLIOGRAFICI:

Ackerman N., Psicodinamica della vita familiare, Bollati Boringhieri, Torino, 1968

Andolfi M., Manuale di psicologia relazionale, A.P.F., 2003

Bateson G., Verso un'ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1972/1976

Bertrando P., Toffanetti D., Storia della terapia familiare. Le persone, le idee, Cortina, Milano, 20

Boszormenyi-Nagy I., Spark G.M., Lealtà invisibili, Astrolabio, Roma, 1988

Bowen M., Dalla famiglia all'individuo. La differenziazione del sé nel sistema familiare, Astrolabio, Roma, 1979

Fivaz-Depeursinge E., Corboz-Warnery J., Il triangolo primario, Raffaello Cortina, Milano, 2000

Framo J., Terapia intergenerazionale, Raffaello Cortina, Milano, 1996

Malagoli Togliatti M., Telfener U., Dall'individuo al sistema, Bollati Borighieri, Torino 1991

Minuchin S., Famiglie e terapia con la famiglia, Astrolabio, Roma, 1976

Selvini Palazzoli M., Cirillo S., Sorrentino A.M., I giochi psicotici della famiglia, Raffaello Cortina, Milano, 1988.

Selvini Palazzoli M., Selvini M., Sorrentino A.M., Cirillo S., Ragazze anoressiche e bulimiche, Cortina, Milano, 1998

Stern D., Il mondo interpersonale, Bollati Boringhieri, Torino, 1987

Stern D., La costellazione materna, Bollati Boringhieri, Torino, 1995

Ugazio V., La costruzione della conoscenza, Franco Angeli, Milano, 1988

Whitaker C., Considerazioni notturne di un terapeuta della famiglia, Astrolabio, Roma, 1990


[1] Schutzenberger A. A. (1993), La sindrome degli antenati, ed. Di Renzo, Roma, (pp. 17-31).

[2] G. Bateson, J. Haley, D. Jackson, poi P. Watzlawick, V. Satir.

[3] presso il Center for Advanced Study in The Behavioral Sciences, dal 1955 al 1965.

[4] Fromm-Reichmann, F., Moreno, J.L. (1956), Profress in Psychotherapy, Grune & Straton, N.Y.

[5] è da questo gruppo che poi nasce il MRI (Mental Research Institute) dove attualmente lavora Paul Watzlawick con Diana e Louis Everstine et al.

[6] Bozzoli, C., Tamanza, G. (1998), Family Life Space. L’analisi metrica del disegno, FrancoAngeli ed., Milano.

[7] Greco, O. (1999), La doppia luna. Test dei confini e delle apparenze familiari, ed. Vita e Pensiero, Milano.

[8] Montagàno,S., Pazzaglia,A. (1989), Il genogramma. Teatro di alchimie familiari, FrancoAngeli ed., Milano, pp.29-30.

[9] Lemaire-Arnaud, E. (1985), Utilitè du genogramme pour la mise au jour des phénomènes transformationnelles, in Dialogue, n° 89, p. 152.

[10] Prefazione, in O. Greco, 1999, pp. 18-19.

 

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