Il
percorso dell’ identità nel teatro Kabuki
Alessandro
Mirabilio Stefano Bisanti
Introduzione
Fin
dai tempi più remoti l’uomo, ha espresso la propria creatività, i suoi
stati d’animo, gli eventi di vita reale, gli avvenimenti a carattere
storico sociale e folkloristico nei modi e nelle forme più diverse. Un
esempio lampante di primitive forme di comunicazione artistica ci viene
fornito da parte della archeologia e della antropologia, basti pensare
alle pitture rupestri ritrovate in siti risalenti al neolitico oppure a
strutture altrettanto remote come Kakkadu in Australia o Stonehenge, Nazca,
etc.
L’arte nella sua poliedricità fin dagli albori dell’intelligenza
umana, ha accompagnato l’uomo segnando e testimoniando epoche e
stili di vita.
Con una serie di retroazioni circolari ha influenzato ed è stata
influenzata dagli eventi storici e dal livello tecnologico raggiunto in
ogni singola epoca, un esempio lo si è avuto concretamente negli anni 60
con i Beatles così come tuttora accade con i mass-media che sempre
più profondamente influiscono nella formazione dei pregiudizi,
stereotipi, idee e addirittura riuscendo a plasmare la personalità.
Dopotutto
la TV
può essere considerata a buon diritto un oggetto artistico. Casi
emblematici di come possono esercitarsi tali influenze ci vengono forniti
dalla letteratura specialistica (Mastronardi, 1996), in tema
di “contagio psichico” come risulta dalle conseguenze del film
“Assassini nati” (Natural Born Killers) che ha incrementato la spirale
di violenza negli U.S.A. ispirando direttamente giovani spettatori (l’
Espresso 22 Agosto 1996).
Ancora più vicino alla nostra realtà quotidiana è il caso Calderone di
Civitavecchia che il 10 marzo 1996, dopo aver visto in televisione un film
per lui altamente tensivo, uccide le sue tre figlie e tenta poi il
suicidio. Citiamo ancora dallo stesso autore «risulta chiaro che vi è
una concreta e reale possibilità da parte dei media di controllare i
comportamenti individuali [...] anche la cultura viene sempre più
“filtrata” e “manipolata” (Ibidem)».
Ma fortunatamente l’arte ha anche influenze positive e lo dimostra la
letteratura, la scultura, la pittura il teatro, etc. Quest’ultimo ha da
sempre testimoniato in forma di auto-rappresentazione le tensioni sociali,
le idee filosofiche e gli umori della società. Secondo gli specialisti
(Ibidem), l’esperienza diretta rappresenta il mezzo di comunicazione e
quindi anche di espressione artistica a maggior coinvolgimento. Nel corso
della nostra esposizione ciò che ci interesserà sarà l’indagine sul
tipo d’influenza che può ipoteticamente esercitare nella formazione
dell’identità l’esposizione prolungata e pluriennale del teatro
considerato non solo come arte, ma anche come mezzo comunicativo. E se
all’attore già in tenera età venisse imposta per “esigenze di
scena” una totale identificazione con personaggi del sesso opposto,
quali sarebbero le conseguenze? Per dare una risposta ai quesiti che
emergeranno di volta in volta attorno al tema dell’identità, parleremo
delle origini teatro Kabuki chiamando in causa un contesto socio-culturale
totalmente diverso dalla nostra realtà occidentale (il Giappone) e della
vita del suo massimo esponente.
Le
origini del teatro Kabuki
La
prima citazione documentata del kabuki odori (danza kabuki) risale al
1603, ma è chiaro che la danza data almeno fin dagli ultimi anni del
sedicesimo secolo. Si ritiene che questo tipo di intrattenimento provenga
dalla tradizione furyu, in particolar modo da un adattamento del nembutsu
odori. La parola nenbutsu indica la ripetizione della preghiera namu Amida
butsu (“omaggio al Buddha Amida”); verso la fine del sedicesimo secolo
le danze nembutsu erano diventate uno spettacolo popolare che usava ogni
sorta di abbellimenti, creando una tale oltraggiosa miscela di elementi
sacri e profani da meritare il nome di Kabuki.
Alla fine del XVI secolo “kabuki” era usato per identificare un tipo
di comportamenti fondati sull’ostentazione e la provocazione; kabukimono
erano coloro che animati da uno spirito di ribellione manifestavano il
loro dissenso verso le rigide regolamentazioni sociali: indossavano kimono
di colori insoliti, tagliavano i capelli in forme bizzarre, portavano
spade gigantesche e molto decorate, sfruttavano ogni occasione per
attirare su di loro l’attenzione degli altri concittadini.
È in questa atmosfera che fa la sua comparsa la figura della danzatrice
Okuni. Personaggio soprattutto raccontato più che documentato, Okuni
appare all’inizio in semplici abiti religiosi; più tardi prendendo in
prestito dalla tradizione Noh di
far apparire spettri sul palcoscenico, la danzatrice
sostituì gli spiriti di eroi storici con le figure di recenti idoli
popolari: il kabukimono Nagoya Sanza, che era stato il suo amante ed era
stato ucciso poco tempo prima. In questa rappresentazione il fantasma di
Sanza compariva sul palcoscenico e danzava con Okuni, rivivendo le
eccentriche imprese della sua vita di kabuki. Fra queste imprese c’erano
anche scene di vita sessuale con la signora della casa da tè e di
esplicito voyeurismo nei bagni pubblici, noti per assumere giovani donne
provocanti per attirare i clienti.
Il successo di questa prima forma di kabuki (Okuni kabuki) suggerì a
gruppi di prostitute di imitare il kabuki odori di Okuni, facendo delle
danze sessuali uno strumento per richiamare l’attenzione sulle loro
prestazioni. I costumi erano estremamente eleganti e specialmente nelle
scene del bagno pubblico molto scollati. Questo tipo di spettacolo fu
chiamato Onna kabuki (kabuki delle donne) o yujo kabuki (kabuki delle
prostitute). Lo shogunato, fin dall’inizio estremamente diffidente verso
questa forme di intrattenimento, già dal 1608 cominciò ad emettere dei
decreti contro il kabuki, chiamandolo “disturbo nazionale” della
moralità. Si ritiene che furono i decreti definitivi del 1629 ad aver
causato la fine dello Onna kabuki.
La proibizione per le cortigiane di apparire in scena lasciò il campo
libero alle compagnie di ragazzi, i wakashu, che già si erano esibiti
all’interno dello Onna kabuki e nei loro propri spettacoli di wakashu
kabuki prima del divieto. I wakashu erano ragazzi fra gli undici e i
quindici anni, ed il loro era un mestiere non molto diverso da quello
delle prostitute. Gli spettacoli wakashu introdussero nel kabuki alcuni
elementi nuovi come i giochi di destrezza, le acrobazie conosciute come
hoka e la camminata su di una corda tesa chiamata kumo mai.
Sotto la protezione dello shogun Iemitsu, amante di questo genere di
spettacolo, il wakashu kabuki prosperò e si diffuse ampiamente, ma provocò
gli stessi problemi dello onna kabuki. Quando il protettore Iemitsu morì
il suo successore proibì il wakashu kabuki in modo definitivo nel 1652.
La proibizione del wakashu kabuki fu aggirata attraverso la rasatura dei
maegami (capelli delle fronte), che rese i ragazzi ufficialmente uomini
adulti, privandoli di ciò che era considerata una delle più seducenti
caratteristiche del loro fascino. Inoltre, la proibizione delle scene
canzoni e danze più scabrose, portò allo sviluppo degli elementi
drammatici degli spettacoli.
Dichiarato dal governo giapponese Tesoro Nazionale Vivente, Nakamura
Utaemon VI rappresentò più di cinquecento ruoli durante la sua carriera
e portò la sua forma d’arte nazionale in tutto il mondo. Ultimo dei
“Vecchi Maestri” del Kabuki, Utaemon VI (fig. 1) fu un ammiratore
della cultura Occidentale, fu apprezzato da alcuni dei più importanti
attori di Hollywood, e cittadino onorario di Las Vegas. Il Maestro Attore
morì a Tokyo, in Giappone il 31 Marzo del 2001 dopo una lunga malattia.
Identità
tra identificazione e autorappresentazione una dimensione compresa tra il
biologico ed il sociale sociale
Il
teatro (dal greco théatron da theâsthai, guardare) può essere
con-cepito come l’edificio destinato alla rappresentazione di
opere drammati-che e musicali, a spettacoli di arte varia. Sembra
che in origine i primi spettacoli si
svolgessero all’interno di sacri recinti a Creta e che gli
esem-plari più antichi siano identificabili nelle strutture di Elusi e di
Torico, da-tabili al VII sec. a. C. Senza addentrarci in un
campo che non ci è noto possiamo ribadire
che il teatro costituisce, se non un’alternativa, un valido complemento
alle forme di spettacolo create dai nuovi mezzi di
comuni-cazione di massa. Al di fuori della tradizione occidentale, grande
sviluppo hanno avuto il teatro indiano, cinese e giapponese, nel cui
ambito si sono affermati generi come il Kabuki di singolare originalità.
Già ma che lega-me c’è tra questa forma di arte e la personalità.
Ebbene «il termine personalità deriva dal latino persona, che è la
“maschera” che si utilizzava per le recite teatrali, o
“personaggio”.
Ricordiamo che le dramatis personæ erano contemporaneamente i personaggi
della commedia e le maschere che gli autori
portavano sul volto per indicare visivamente, ed in modo immediato, la
propria caratterizzazione. E’ quindi giusto dire che la
concettualizzazione di personalita si riferisce alle apparenze esterne e
allo stile della condotta di un individuo quando egli è posto in rapporto
con gli altri e con l’ambiente (Caprara, 1988) ».
Moltissime sono le correnti teoriche in ambito psicobiologico a partire già
dallo stesso Ippocrate, che nel corso dei secoli hanno tentato di definire
un concetto molto complesso come quello di personalità, carattere o
temperemanto.
In neuropsicologia per Wallon (1973) lo sviluppo
dell’immagine corporea avviene di pari passo con la maturazione
neurologica e fisica, è per questo che egli distingue
varie fasi, in rapporto a differenti possibilità di maturazione
senso-percettiva del proprio corpo sotto il profilo psicologico.
Dai 0/2 mesi il bambino si trova a diretto contatto solamente con le
proprie sensazioni, questa predominanza dell’enterocezione, a tutto
discapito della esterocezione, è dovuta alla scarsa maturazione
neurologica (prima fase). Nella seconda fase 3/ 4,
mesi, si assiste ad una integrazione delle sensazioni
interne con quelle esterne grazie all’avvenuto
processo di mielinizzazione.La terza fase si situa tra i 5 e gli 8 mesi,
con l’aumento della percezione e con il raggiungimento
dell’equilibrio, il bambino ha già una seppur ancora
rudimentale, immagine del proprio corpo nello spazio che
lo circonda. Il processo di mielinizzazione, avviene
prima per gli arti superiori (la
mano sinistra dopo la destra), e dopo circa
tre settimane per gli arti inferiori.Come è possibile evincere
da quanto qui esposto, sembra che
l’infante arrivi al dominio
del proprio corpo solamente dopo un
lento processo che è insieme psicologico e neuro-
fisiologico dove la funzione motoria e percettiva sembrano essere
due facce della stessa medaglia.
Ma l’acquisizione dello schema corporeo non sembra essere solo la
risultante di una fusione tra percezioni interne – esterne, anzi è lo
stesso Wallon (Ibidem) ad affermare che il fanciullo arriva a scoprire se
stesso scoprendo prima l’atro e questo avviene nelle interazioni
sociali.
Nel secondo anno di vita il bambino è in grado di discriminare le
differenti parti del proprio corpo e nel terzo quasi tutti i bambini le
identificano correttamente, ciò accade anche in conseguenza di una
avvenuta maturazione del linguaggio, è a 6 anni che avviene la
discriminazione tra la destra e la sinistra. All’interno di questa
prospettiva vengono analizzati anche i processi che possono
intervenire nell’ acquisizione dello schema corporeo,
creando disorganizzazioni dello stesso. In linea con quanto si è detto
in precedenza, se un individuo non è in grado di apprendere una
nozione, né di interiorizzarla fino ad averla per sé
come schema mentale, e perché manca l’intervento dei
seguenti elementi strettamente collegati fra loro:
a)
possibilità di raccogliere gli stimoli attraverso i vari canali
percettivi;
b)
motilità intesa come strumento di esecuzione e come strumento mediatore
di un circuito a retroazione;
c)
maturazione della corteccia cerebrale per l’elaborazione e la
strutturazione in rapporto ai processi via via più complessi allora
potranno verificarsi delle deformazioni nel campo della
percezione e dell’apprendimento, che si ripercuotono poi su
tutta la sfera psichica e sulla maturazione generale
dell’individuo.
«Lo
sviluppo segue due direzioni principali. La prima
è definita cefalocaudale: parte quindi dalla testa
fino ad arrivare alla estremità inferiori.
La testa alla nascita rappresenta un quarto dell’intera altezza,
mentre
in età adulta è circa il 12%; le gambe, che rappresentano alla
nascita circa il 20% della lunghezza totale del corpo, raggiungono
il 50% negli adulti.
La seconda direzione di sviluppo è definita prossimo
– distale, nel senso
che la crescita avviene dal centro alla periferia […], gli organi
interni si formano prima degli arti, nel corso del primo anno di vita
si sviluppa prima il tronco e successivamente gli arti (Ferraris et al,
1997)».
Come detto in precedenza, l’immagine
corporea e di qui l’identità è il risultato di un
insieme di fattori che interagiscono tra loro, ed è opportuno ribadire
che non si tratta solamente di fattori psico – fisiologici, ma
anche di fattori socio – culturali e storici, come ad
esempio il rispecchiamento sociale della propria immagine
corporea oppure, i modelli di bellezza estetica che vengono trasmessi dai
mass – media, etc.
Secondo il modello psicofisiologico clinico: l’Io rappresenta il
livello funzionale più alto e contemporaneamente
è una sintesi di tutti i livelli. L’Io è in grado anche di
riflettere su se stesso, come su un’unità funzionale
sintetizzata astrattamente …Alla sintesi astratta
dell’esperienza su cui l’Io riflette diamo il
nome di Sé. In altri termini il Sé è, per noi, un
modo di concettualizzare dell’ Io» ( Ruggieri, 2001).
Conclusioni
Da
quanto detto sul complicato intrecciarsi di elementi plurifattoriali,
emerge una nota che in Psicologia Clinica suonerebbe stonata.
Infatti, relativamente agli attori del teatro Kabuki (sottoposti o
auoimpostisi una forma di condizionamento) sarebbe dovuto ottenersi
quell’epifenomeno che i comportamentismi definiscono carattere o
personalità secondario ad un meccanismo di modellamento comportamentale
sottoposto a rinforzo vicario (Skinner, 1938) in grado, di ingenerare
quello che in clinica verrebbe comunemente definito come Disturbo dell’Idenità
di Genere (DSM IV TR). In realtà non sono documentati casi di
omosessualità manifesta o condotte parafiliche ma anzi, il ben noto
Nakamura Utaemon VI, che da bambino come altri suoi colleghi futuri attori
era stato sottoposto ad un tale condizionamento, ebbe molti figli ed era
universalmente accettato. Questa riflessione non vuole porsi come
eccezione nei confronti del modello comportamentista ma anzi, ha lo scopo
di raccontare come talvolta in Psicologia Clinica potrebbero ottenersi dei
falsi positivi e quanto sia invece molto complessa la personalità
intessuta da varie trame che spesso assumono cloloriture e tonalità
folkloristiche non ingenerando tuttavia esiti “abnormi”. In
psicoantropologia ed in psicologia evolutiva è ben noto proprio l’uso
di pratiche e comportamenti omosessuali come riti di passaggio tra l’età
infantile e quella simil-genitale. E’ nostro parere che si demandi
proprio alla psicoantropologia lo studio e la definizione di quei fenomeni
così peculiari da sfuggire ai nostri usuali metri valutativi. Sarebbe
molto interessante ed utile condurre delle ricerche proprio in merito alle
nuove modalità di formazione dell’identità nei giovani in
considerazione delle novissime mode di costume come il body painting, il
piercing, gli impianti sottocutanei, etc.
Note bibliografiche
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S I C T V
La
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