La psicologia dell’addio Barbara Corte Distacco,
separazione sono temi ricorrenti nell’arte, nella poesia, nel
cinema.“Non lasciarmi!” (“ne me quitte pas”), è un grido
struggente che risuona in canzoni popolari di tutte le culture, a
rappresentare una delle paure più profonde radicate nella natura umana:
la perdita dell’oggetto d’amore.La propensione a stringere e mantenere
relazioni emotive intime è scritta nel nostro patrimonio genetico e
presente dai primi giorni di vita, all’inizio sotto forma di riflessi
innati (pianto, suzione, prensione, orientamento, sorriso) che
diventeranno, in seguito alle risposte dell’ambiente, schemi di
comportamento sempre più sofisticati.L’angoscia di abbandono compare
nel bambino piccolissimo non appena si rende conto di non essere un
tutt’uno con la madre. Non c’è niente di più angoscioso del pianto
di un neonato quando vede la madre allontanarsi e teme che non torni più.L’ansia
di separazione è sempre stata considerata una delle prime manifestazioni
psicopatologiche infantili, alla base di sintomi come la fobia della
scuola o di paure che possono gettare un’ombra sull’infanzia, come il
timore del divorzio dei genitori.Anche nell’adulto questo sentimento
atavico può riemergere in modo più o meno violento di fronte ad una
perdita, rievocando lo stesso senso di vuoto e l’angoscia in cui
precipitavamo da piccoli.La perdita rappresenta un “lutto” e può
essere vissuta come una grave minaccia alla propria esistenza,
un’amputazione di una parte di sé. Spesso si accompagna alla percezione
di non poter sopravvivere senza l’altro, e ad una visione catastrofica
della vita e del mondo.In questo momento possono venire a galla
inaspettati aspetti nascosti della personalità: attacchi di panico,
depressione o addirittura far esplodere la follia. Configurazioni di tipo B (sicuri/autonomi)I
soggetti sicuri/autonomi hanno vissuto nell’infanzia esperienze di
protezione, conforto, condivisione emotiva che gli hanno permesso di
costruire una base sicura. Essi riconoscono il proprio bisogno degli altri
e la propria autonomia. Configurazioni
di tipo A (distanzianti) Il modello interno di queste persone si costruisce intorno una figura genitoriale rifiutante rispetto alle loro richieste di conforto. Il genitore non è in grado di fornire empatia ma accudisce il bambino solo nei bisogni pratici. Questo bambino interiorizza il disagio del genitore di fronte all’intimità e al contatto emotivo e percepisce la distanza come l’unica modalità che sente efficace per relazionarsi all’altro. Le persone distanzianti affermano la propria indipendenza e la loro forza. Sono orientati al compito e cercano di fare tutto da soli, con difficoltà a chiedere aiuto. Si caratterizzano per un buono sviluppo cognitivo e una rabbia congelata. Mostrano un atteggiamento di distanza dalle relazioni intime delle quali cercano di minimizzare l’importanza, possono sviluppare forti difficoltà a comunicare sul piano dei sentimenti, difficilmente tollerano la vicinanza emotiva. La difficoltà a riconoscere ed esprimere le emozioni fa si che esse vengano spesso somatizzate dando luogo a disturbi fisici. Configurazioni
irrisolte/disorganizzate(D): Questa
categoria comprende soggetti classificabili nelle precedenti tre
categorie, differenziabili solo sulla base della presenza di lutti o
traumi non risolti, legati al maltrattamento infantile, o a lutti non
risolti nella vita del genitore (depressione della madre).La tendenza ad
avvicinarsi e quella ad allontanarsi inibiscono l’un l’altra e il
soggetto sperimenta emozioni che travolgono la sua capacità di
organizzare un comportamento coerente. Le separazioni possono rievocare
gli stati emotivi legati al lutto non risolto. Il tipo di attaccamento tende ad essere piuttosto stabile, può comunque modificarsi in seguito ad esperienze particolarmente significative. La psicoterapia può costituire un’esperienza emozionale correttiva in grado di modificare i vecchi schemi e interrompere i circoli viziosi che rinnovano le esperienze traumatiche del passato.
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